Messico: dilagano i casi di femminicidio
Tra le donne che hanno partecipato alla mobilitazione vi erano molte madri che hanno perso le loro figlie poco più che adolescenti, a partire da Reina de la Torre Sánchez, madre di Isabel Cabanillas, desaparecida dal gennaio 2020. In particolare, è emersa ancora una volta una forte sollecitazione al governo messicano affinché l’impunità non regni più sovrana nel paese. «¡Grito por las que ya no tienen voz!» è stato uno degli slogan maggiormente ripetuti dalle manifestanti.
Secondo i dati divulgati dalla Comisión Nacional de Búsqueda, attualmente sono oltre 24.600 le denunce relative alla sparizione di donne, gran parte delle quali tra i 12 e i 19 anni, soprattutto negli stati di Puebla, Michoacán, Tamaulipas, Veracruz, Nuevo León, Nuevo México e ovviamente Chihuahua, nel nord del Messico la cui capitale è Ciudad Juárez.
Il 23 aprile, dopo 13 giorni di ricerche, è stato ritrovato il corpo della diciottenne Debanhi Escobar, scomparsa nello stato del Nuevo León. Si è trattato di uno dei casi che, di recente, ha scosso maggiormente l’opinione pubblica e la società civile messicana. Donne e organizzazioni femministe hanno promosso marce e manifestazioni negli stati di Chihuahua, Baja California, Nayarit, Oaxaca, Chiapas, Yucatán, Guerrero, Hidalgo e México.
La ragazza è stata ritrovata sulla strada tra Monterrey e Nuevo Laredo, dove per l’ultima volta era stato agganciato il suo cellulare. Eppure, come ha sottolineato il padre, per due settimane i soccorsi non solo non sono riusciti a trovare la giovane, ma tuttora non si riesce a capire il motivo per cui il suo corpo sia stato ritrovato nei pressi della cisterna. Inoltre, durante la ricerca di Debanhi, sono emersi i corpi di altre cinque donne desaparecidas.
La lunghezza e l’inconcludenza delle indagini, oltre a generare ulteriore terrore nella popolazione, non fanno altro che rinfrancare le bande criminali dedite al femminicidio.
«Tenemos que hacer justicia por toda la gente que ha pasado eso y para que no vuelva a pasar eso», ha dichiarato il padre di Debanhi, Mari Escobar, che ha accusato gli inquirenti di aver mentito a proposito della scomparsa di sua figlia. La giovane si era recata ad una festa l’8 aprile scorso, l’ultima volta in cui è stata vista viva, prima che il suo corpo fosse ritrovato in una cisterna a quattro metri di profondità.
Di recente il sottosegretario ai diritti umani del governo federale, Alejandro Encinas Rodríguez, ha fatto appello alle istituzioni affinché alle donne sia garantita una vita libera dalla violenza, ma in Messico la situazione sembra essere fuori controllo. Il Protocollo Alba, varato nel 2003, pur avendo contribuito a salvare delle vite, attualmente risulta insufficiente, soprattutto a causa dello scarso coordinamento tra i governi federale, statale e municipale e la magistratura dei singoli stati.
Il Protocollo Alba era stato inaugurato proprio a Ciudad Juárez allo scopo di localizzare immediatamente donne e bambine scomparse per condurle in salvo attraverso una serie di procedure relative ai casi di sparizione, violenza sessuale e omicidi legati a questioni di genere. L’adozione del Protocollo serviva per eliminare qualsiasi ostacolo che impedisse la rapidità della ricerca, dovuta spesso a stereotipi e preconcetti verso le donne prevalenti nelle forze di polizia e di sicurezza.
Il “caso Debanhi” ha spinto il governo a modificare il Código Penal Federal, la Ley de Ejecución Penal e il Código Nacional de Procedimientos Penales allo scopo di inasprire le sanzioni relative al femminicidio, associato a delitti come sequestro, omicidio e tratta di persone.
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