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Lo sciopero conclusosi il 30 giugno ha sancito risultati significativi per le comunità indigene,

Ecuador: vittoria indigena, ma Lasso resta in sella

Tuttavia il presidente è rimasto al suo posto e la sensazione prevalente è che le turbolenze politiche nel paese non siano concluse
6 luglio 2022
David Lifodi

Ecuador: vittoria indigena, ma Lasso resta in sella

La lotta continua. Dopo 18 giorni di sciopero, il paro nacional conclusosi lo scorso 30 giugno con la vittoria delle organizzazioni indigene, in Ecuador i movimenti sociali non hanno intenzione di mollare la presa nei confronti del governo del banquero-presidente Guillermo Lasso.

Uno dei maggiori risultati conseguiti riguarda l’esclusione dell’estrattivismo minerario dalle aree protette e dai territori ancestrali, oltre a sancire il diritto alla consulta previa, libre e informada dei popoli indigeni in relazione all’eventuale costruzione di nuove miniere a cielo aperto.

Inoltre, il governo Lasso è stato costretto ad aumentare da 50 a 55 dollari il buono di sviluppo umano per le famiglie in situazione di povertà estrema e si è impegnato a modificare il progetto di riforma della Ley Orgánica de la Circunscripción Territorial Especial Amazónica, che passa sotto la giurisdizione dei popoli indigeni.

Un altro aspetto particolarmente significativo ha riguardato il prezzo del combustibile. I movimenti indigeni sono infatti riusciti ad ottenere una riduzione di 15 centesimi di dollaro per gallone passando da 1,90 ad 1,75, ma, in questo caso, non ce l’hanno fatta a strappare un abbassamento maggiore, intorno ai 40 centesimi, richiesta considerata imprescindibile dai manifestanti soprattutto nei primi giorni della protesta. Su questo, organizzazioni indigene, piccoli agricoltori, contadini e pescatori hanno comunque intenzione di aprire un negoziato con il governo per ottenere un ulteriore sussidio.

Eppure, nonostante quello che è stato giudicato da tutti un trionfo, le organizzazioni indigene non possono permettersi di abbassare la guardia. La repressione della Polizia nazionale e delle Forze armate contro i manifestanti ha provocato un saldo di 6 morti, 331 feriti e 152 detenuti. La Missione di solidarietà internazionale e diritti umani giunta in Ecuador nei giorni dello sciopero ha accusato lo Stato di aver commesso crimini di lesa umanità tramite torture, omicidi, minacce, ma anche attraverso la costante criminalizzazione dei movimenti sociali. Lo scorso 28 giugno, la Fiscalía General del Estado ha aperto numerosi fascicoli con le accuse di terrorismo, ribellione, resistenza e sospensione di servizio pubblico rivolte principalmente contro i manifestanti allo scopo di proseguire nell’opera di intimidazione della popolazione civile.

Il paro nacional ha insegnato che il neoliberismo può essere sconfitto, ma sembra difficile che Guillermo Lasso abbandoni così repentinamente la strada indicata dal Fondo monetario internazionale, a partire dal pagamento sistematico del debito. L’Ecuador resta sull’orlo del collasso dal punto di vista economico e sociale, con un forte aumento della violenza, della crescita del narcotraffico e della criminalità organizzata di fronte ad una popolazione sempre più in difficoltà nel sopravvivere giorno dopo giorno.

Per questo Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), Confenaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas de la Amazonía), Fenocin (Confederación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras), Feine (Consejo de Pueblos y Organizaciones Indigenas Evangélicos del Ecuador) e Ecuarunari restano convinte che la lucha es el camino. Lo hanno ribadito in un loro comunicato, sostenendo che si tratta dell’unico modo per difendere i diritti collettivi, e sottolineando che vigileranno sulla realizzazione degli accordi stabiliti nell’arco dei prossimi 90 giorni.

Per il momento, il presidente Lasso è riuscito a rimanere al suo posto, sventando il tentativo, sostenuto soprattutto dai correisti di Unión por la esperanza, di rimuoverlo dall’incarico sfruttando quell’articolo 130 della Costituzione che autorizza la destituzione in caso di grave crisi politica.

La sensazione prevalente è che la frattura tra governo e organizzazioni popolari vedrà ulteriori puntate.

Lasso, da parte sua, ha continuato a sostenere che “gli indigeni hanno sequestrato la pace” e che Leonidas Iza ha agito solo per ”tornaconto personale”, mentre i movimenti sociali hanno spinto all’angolo il presidente, ottenuto dei risultati considerevoli, soprattutto in tema di estrazione mineraria, ma non sono riusciti a dare la spallata decisiva.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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