Quando c’era Lula…
Per comprendere l’attuale situazione sociale, politica ed economica del più grande paese dell’America latina è utilissimo leggere il bel libro di Ivan Grozny Compasso, “Quando c’era Lula… Dal sogno dei grandi eventi a Bolsonaro”, frutto dei suoi numerosi soggiorni in Brasile tra il 2012 e il 2017.
L’autore, giornalista e documentarista compie dei veri e propri viaggi all’interno del Brasile più nascosto, parla con i favelados, racconta le operazioni di pulizia sociale compiute contro i venditori ambulanti per cacciarli dalle zone delle megalopoli dove si terranno gli eventi sportivi, tratteggia un quadro fosco del paese, dove i diritti umani sono continuamente calpestati, come emerge dalle testimonianze raccolte dalle madri dei giovani e dei bambini delle favelas uccisi durante le operazioni di repressione compiute dalla polizia militare, dai contadini Sem terra, a loro volta in attesa di una riforma agraria mai attuata anche all’epoca dei governi petisti a causa dei compromessi a cui sono stati costretti scendere sia Lula sia Dilma Rousseff, e dalle brutali azioni compiute ancora una volta dalla polizia contro le manifestazioni dei movimenti sociali contrarie a Mondiali e Olimpiadi, poi infiltrate e cavalcate astutamente dalla destra, da cui Bolsonaro ha tratto linfa per arrivare al Planalto.
«Il mio paese è in un brutto momento, per la prima volta dopo parecchi anni sono molto preoccupato», spiega a Ivan Compasso Augusto, recluso all’epoca della dittatura militare ed esponente della Commissione verità e diritti umani. Arrivato in Italia pochi giorni dopo la sconcertante cerimonia di attribuzione della cittadinanza onoraria a Bolsonaro da parte del Comune di Anguillara Veneta, a inizio novembre 2021, l’amico dell’autore ancora non poteva prevedere che l’attuale presidente brasiliano avrebbe alzato ancor di più la tensione in vista delle ormai imminenti elezioni del prossimo 2 ottobre, che tutti i sondaggi concordano nell’attribuire, già da adesso, un’ampia vittoria a Lula.
Tuttavia, augurandoci che davvero Lula possa tornare ad essere presidente del Brasile, il suo compito più difficile sarà sul terreno della giustizia sociale. Senza terra, senza dimora, neri delle favelas e comunità indigene che lottano per riappropriarsi dei propri territori contro i ruralistas, i garimpeiros e i madereiros e che sfidano le pallottole dei miliziani armati (sicurezza privata o narcos che siano), stavolta dovranno avere la priorità.
Tra le tante contraddizioni del Brasile colpisce quella legata alla morte di Christian, un ragazzino di 13 anni, nella favela di Manguinhos, durante una delle tante operazioni di polizia civile, Bope (Batalhão de Operações Policiais Especiais) e Polizia pacificatrice. Christian stava giocando a calcio in un campetto della zona nord di Rio de Janeiro, lo sport preferito dai brasiliani che pure, nonostante tutto, si erano dichiarati a grande maggioranza contrari allo svolgimento della Coppa del Mondo 2014. «Ci sembra improbabile che possa portare a delle trasformazioni nelle realtà sociali del nostro paese, che è quello che a noi, che sogniamo un Brasile più giusto e umano, interessa»: furono le parole del grande calciatore Socrates, il cui impegno sociale era noto da sempre.
Ricordando che, in Brasile, gran parte dei personaggi che avevano un passato legato a crimini contro l’umanità rivestono ancora oggi importanti incarichi di potere, a partire dallo sport, Ivan Compasso riporta un altro paradosso, sintetizzato con amara ironia dai brasiliani: “Adesso c’è la democrazia e siamo liberi di manifestare, ma qualcuno si deve essere scordato di avvisare la polizia”. Solo nell’anno della Coppa del Mondo «5.600 neri che abitavano nelle favelas sono stati vittime di vere e proprie esecuzioni. La polizia si nasconde, oggi come allora, dietro la legittima difesa, quando la maggior parte delle volte è lampante che si tratta di persone disarmate e rese inoffensive. C’è una cortina di fumo che copre questo massacro».
Acutamente, l’autore evidenzia che alla base del mancato, o solo sfiorato cambiamento sociale all’epoca dei governi petisti, vi è stata anche la trasformazione della base sociale dello stesso Partido dos Trabalhadores. Se Lula, grazie a programmi come Bolsa Familia, ha fatto uscire dalla povertà 36 milioni di persone ed entrare 42 milioni di brasiliani nella classe media, nel 2002, all’epoca della sua prima elezione al Planalto, i suoi sostenitori erano gli operai, gli studenti, parte della stessa classe media, ma soprattutto i cedi più poveri del paese. Nel biennio 2006-2007, quando al Brasile viene assegnata l’organizzazione dei campionati mondiali di calcio e delle Olimpiadi, al petismo finisce per sostituirsi il lulismo. Le elites e le grandi imprese (Odebrecht, Telefonica e Petrobras) cominciano a capire che possono imporre compromessi a Lula e Dilma, mentre la popolazione resta disorientata: i soldi per costruire stadi e infrastrutture legati ai grandi eventi si sono trovati, quelli per migliorare realmente la vita del paese no.
Bolsonaro è stato abile a sfruttare queste contraddizioni intercettando, contemporaneamente, gli istinti peggiori di quella parte del Brasile che si identifica apertamente nel razzismo, nell’esclusione sociale e nella sottomissione dei ceti più deboli. A partire dal 3 ottobre, se Lula sarà eletto, dovrà cercare di riequilibrare la questione sociale in paese che è davvero giunto allo stremo.
Quando c’era Lula… Dal sogno dei grandi eventi a Bolsonaro
di Ivan Grozny Compasso
Tracciati Editore
Giugno 2022
Pagine 301
€ 16
Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte e l'autore.
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