Latina

Un’occasione del genere difficilmente si ripresenterà nel breve periodo

Cile: alcune ragioni del no alla nuova Costituzione

Sull’esito del voto ha pesato lo scollamento tra il paese reale e il governo di Gabriel Boric
7 settembre 2022
David Lifodi

Cile: le ragioni del no alla nuova Costituzione

Chile rechazó!”: è stato questo lo slogan che, sorprendentemente, ma solo fino ad un certo punto, ha fatto da contraltare allo slogan Chile despertó!”, che ha caratterizzato la campagna a favore dell’Apruebo della nuova Costituzionale cilena.

La netta vittoria di coloro che hanno votato per mantenere vigente la Costituzione attuale, quella risalente al regime militare di Pinochet, purtroppo, non ammettere repliche. El rechazo ha guadagnato circa il 61% dei consensi rispetto al 38% degli elettori che si sono espressi a favore dell’Apruebo.

Era difficile immaginarsi una sconfitta di queste proporzioni, ma sembra evidente che il voto espresso dalla maggioranza dei cileni, più che verso la nuova Costituzione, contro la quale la destra ha scatenato la solita campagna volgare all’insegna dei peggiori pregiudizi contro le comunità indigene e lgbt, è stato contro il giovane presidente Gabriel Boric, il cui mandato, a questo punto, si preannuncia ancor di più in salita.

Nelle urne, il 4 settembre scorso, è emerso il voto contro un modello, quello del Cile di Boric, che in molti si auguravano essere all’insegna di un significativo cambiamento sociale, ma che invece, con il passare dei mesi, ha finito per avvicinarsi troppo ai metodi della vecchia Concertación. In più, ha pesato fortemente la militarizzazione imposta al territorio mapuche, a partire dagli arresti di parte dei loro leader.

Si tratta indubbiamente di un’occasione persa soprattutto perché, da quell’estallido social dell’ottobre 2019 sembrava veramente essere giunto il momento giusto per il cambiamento di uno dei paesi più diseguali al mondo. Progressivamente, il governo Boric ha finito per seguire sempre più una strada istituzionale, come dimostra, dopo la sconfitta dell’Apruebo, l’appello del presidente a tutte le forze politiche per proseguire nel segno dell’ Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución, da cui però si è già sfilata non solo la destra, ma anche la maggioranza dei movimenti sociali cileni.

L’esito del referendum rappresenta un’occasione che difficilmente si ripresenterà nel breve periodo, dopo gli anni della dittatura militare ed un trentennio di democrazia sorvegliata dai grandi poteri economici.

Sulla campagna elettorale, e forse anche sull’atteggiamento di almeno una parte dei movimenti sociali verso Boric, ha pesato l’arresto, a fine agosto di Héctor Llaitul, portavoce della Coordinadora Arauco Malleco, che ha definito il presidente come “nemico pubblico numero uno” dopo la nuova militarizzazione dell’ Araucanía, trasformata in “macro zona sur”.

Al pari della Cam, che ha scelto di non riconoscere alcun politico come interlocutore valido, in molti hanno percepito Boric, nonostante la sua provenienza dal movimento studentesco, per quanto ormai da anni piuttosto lontano da quell’area, come un politico simile agli altri perché, di fatto, non è riuscito realmente ad adoperarsi, almeno finora, per porre un freno allo strapotere del mondo imprenditoriale, sia in territorio mapuche sia nel resto del paese, a partire dal grande business dell’industria forestale.

La destra ha saputo approfittare nel migliore dei modi delle contraddizioni insite nel governo Boric e, in più, è stata abile nell’accusare il presidente di non muovere un dito proprio in relazione alla questione mapuche. È derivata probabilmente da qui la scelta di militarizzazione dell’Araucanía del governo, percepito sempre più come “riformista” o socialdemocratico” e non così propenso verso un cambiamento radicale.

Ad un mese dal voto ha iniziato a crescere l’incertezza sull’esito del referendum, nonostante la Convenzione Costituzionale fosse composta in maniera paritaria da uomini e donne, compresi i popoli originari. Inoltre, va ricordato che la nuova Costituzione avrebbe riconosciuto i diritti sociali, quelli delle minoranze sessuali e, secondo numerosi analisti politici, minacciava gli interessi delle multinazionali minerarie.

Sull’esito favorevole alla nuova Costituzione erano in molti a sperare, sia sull’onda delle Costituzioni plurinazionali e democratiche già approvate in Venezuela (1999), Bolivia (2006-2007) ed Ecuador (2007-2008), sia perché un risultato positivo avrebbe potuto indirizzare altri difficili processi politici, a partire dal Brasile, dove si voterà il prossimo 2 ottobre per eleggere il nuovo presidente. Si el pueblo de Chile decide aprobar su nuevo contrato social, será un gran paso en esa dirección. Y será hermoso, aveva scritto con fiducia Javier Tolcachier, comunicatore sociale dell’agenzia internazionale di notizie Pressenza e, in un’articolo di Emanuele Profumi per pagineesteri.it, si ricordava che “il nuovo progetto di costituzione ha tutte le carte in regola per essere una delle Carte Magne più avanzate del mondo in materia di diritti umani, parità di genere, diritti della natura, ordinamento plurinazionale, come si può leggere sin dal primo articolo: il Cile è uno Stato sociale e democratico di diritto. È plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico. L’impianto complessivo è volto alla creazione di una nuova forma di Welfare State, dove l’educazione, la sanità e il sistema pensionistico diventino pubblici e di qualità, arricchito da nuovi diritti, nati dalle ultime grandi questioni epocali sostenute da profondi e ampli movimenti della società. Soprattutto la crisi ecologica e la richiesta di una reale parità di genere. Si introducono, infatti, per esempio, il diritto all’eguaglianza di genere (art.25) e il diritto all’aborto (art. 61), oppure il diritto alla giustizia ambientale (art. 108) e quello ai beni comuni naturali (art. 134-39)”.

Eppure, lo stesso Profumi già evidenziava il timore che el rechazo potesse vincere, come poi è realmente accaduto. Non è semplice analizzare l’esito delle urne, ma, come ha evidenziato anche Raúl Zibechi, sul voto ha pesato la “profonda disconnessione del governo e della Costituente con i sentimenti di gran parte della popolazione”. Le fake news della destra, unite al complesso scenario del conflitto politico e sociale in corso, hanno fatto il resto, determinando una delle più catastrofiche sconfitte per la democrazia cilena post Pinochet.

È di queste ore il rimpasto del governo Boric, voluto dal presidente in persona, che così si sposta più a destra. In questo scenario, a rafforzarsi, saranno solo il neoliberismo e quell’oligarchia che ancora oggi continua a guardare alla dittatura militare in un futuro immediato che non lascia presagire nulla di buono. In definitiva, il voto contro La Costituzione può essere interpretato come un voto contro Gabriel Boric.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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