Il Brasile sospeso tra fascismo e democrazia
A testimonianza del clima pesante che si respira in Brasile, lo scorso 16 settembre, Andreia de Jesus, candidata del Partido dos Trabalhadores nello stato del Minas Gerais, ha ricevuto minacce di morte tramite posta elettronica: “Ti uccideremo. Marielle ti aspetta. Ustra vive”. Si tratta di parole inquietanti perché l’autore del messaggio fa riferimento all’omicidio di Marielle Franco, esponente di spicco del Partido Socialismo e Liberdade, uccisa per le sue battaglie a favore dell’uguaglianza razziale e per la comunità lgbt. In più, si aggiunge l’insopportabile riferimento al torturatore Brilhante Ustra, deceduto il 15 ottobre 2015 ed uno dei militari più sanguinari della dittatura che Bolsonaro e i suoi sostenitori omaggiano continuamente. Andreia de Jesus, che ha in comune con Marielle Franco la pelle nera e le battaglie per i diritti umani e civili, ha risposto così: “Sono il seme di Marielle, ogni giorno divento più forte e non mi lascio intimidire”.
Le minacce a Andreia de Jesus non sono casuali, ma derivano, probabilmente, dal record di candidature nere, indigene e lgbt in occasione delle votazioni del prossimo 2 ottobre, che eleggeranno anche un terzo del Senato, 513 deputati e i governatori degli Stati del paese.
Attualmente la composizione del Congresso è quella più conservatrice dal 1985, l’anno del ritorno del Brasile alla democrazia e il gran numero di candidati provenienti dai movimenti sociali, dalle comunità indigene e lgbt e dalle organizzazioni popolari ha un solo obiettivo: interrompere gli enormi passi indietro del paese nell’ambito dei diritti sociali provocati dal bolsonarismo.
Nonostante più della metà della popolazione brasiliana si dichiari afrodiscendente, quelle del 2 ottobre saranno le prime elezioni nella storia del paese in cui le candidature nere saranno la maggioranza. Nell’ultima legislatura, la maggioranza del Congresso è stata composta da uomini bianchi e in larga parte appartenenti all’oligarchia del paese, vicini agli interessi delle multinazionali se non esponenti diretti della bancada ruralista, spesso trasversale agli schieramenti politici.
Ele Não e Fora Bolsonaro sono gli slogan che hanno animato la campagna elettorale delle sinistre in un paese travolto dall’odio dispensato a piene mani dall’estrema destra e dalle comunità evangeliche in gran parte legate al Messia Nero. A farne le spese le donne, i neri, gli indigeni, ma anche altri esponenti politici, dal candidato al Planalto Ciro Gomes, del Partido Democrático Trabalhista (i cui voti peraltro potrebbero rappresentare l’ago della bilancia nella corsa tra Lula e Bolsonaro) e Guilherme Boulos, del Partido Socialismo e Liberdade, entrambi aggrediti nel corso della campagna elettorale.
I sondaggi indicano Lula come favorito per il ritorno al Planalto, tuttavia, anche in questa circostanza, il bolsonarismo ha fatto ricorso a piene mani a fake news sempre più incredibili, ma che dalla campagna elettorale delle scorse presidenziali hanno giocato un ruolo decisivo nell’aiutare Bolsonaro a conquistare la presidenza, ad esempio quella che associa il Partido dos Trabalhadores ai gruppi criminali.
In un paese in cui si acquistano 1.300 armi al giorno (il triplo rispetto al 2018) grazie ai decreti sempre meno restrittivi in materia varati da Bolsonaro e agli inviti dei pastori evangelici bolsonaristi nei loro infuocati sermoni anti-petisti, le sfide che attendono Lula non saranno delle più semplici.
La prima, ovviamente, è tornare alla presidenza del paese. La seconda, altrettanto complessa, sarà governare, non solo perché il Partido dos Trabalhadores è ormai divenuto di orientamento riformista rispetto alle sue origini, ma perché sono molti gli interessi in gioco e le sirene a cui Lula, inevitabilmente, non potrà sottrarsi.
Se è servito certamente per conquistare i voti del centro moderato, ha destato comunque forti perplessità il ticket di Lula con il conservatore Gerardo Alckmin, esponente di spicco dell’Opus Dei e tucano del Psdb a sua volta rivale de fondatore del Pt e sconfitto nelle presidenziali del 2006. Ovviamente, chi ha a cuore la democrazia non può far altro che votare e sperare in una vittoria di Lula, ma occorre anche chiedersi qual è il Lula che torna sulla scena politica per puntare al Planalto.
In Brasile urge ridurre le fortissime disuguaglianze sociali e la povertà combattendo il capitale, restituire dignità e diritti agli indios, ai contadini, alle molteplici comunità che da anni cercano di resistere, dagli afrobrasiliani ai gruppi lgbt, dai senza tetto ai favelados. Lula, e Dilma Rousseff avevano cercato di coniugare stabilità politica, crescita economica ed un processo di inclusione sociale che, per quanto principalmente assistenzialista, aveva fatto uscire dalla povertà estrema milioni di brasiliani, ma senza modificare quel le relazioni di potere che fanno del Brasile uno dei paesi più escludenti del continente latinoamericano.
Le elezioni del 2 ottobre segnano uno spartiacque tra il fascismo bolsonarista e la democrazia. L’augurio è che Lula riesca a farcela, possibilmente al primo turno, almeno per risollevare un paese devastato socialmente, politicamente ed economicamente dalla presidenza bolsonarista.
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