Brasile: finalmente Lula!
Al termine della giornata elettorale di ieri, Lula ha ribadito che non esistono due paesi, nell’ottica di una politica di pacificazione sociale che rompa l’estrema polarizzazione voluta dall’estrema destra che, come già accaduto più volte in Venezuela, ha cercato di spaccare il più possibile l’elettorato per trarne vantaggio. “Tutti i brasiliani hanno diritto alla colazione, al pranzo e alla cena: questo sarà il primo impegno del mio governo”, ha dichiarato Lula nel suo discorso post-elezioni.
Occorre ricordare, a questo proposito, che il divario economico-sociale all’interno del Brasile si fa ogni giorno più ampio. Il 60% della popolazione non riesce a garantirsi tre pasti quotidiani e 33 milioni di persone soffrono di fame. Secondo il Laboratorio mondiale della disuguaglianza, in Brasile, il 10% più ricco della popolazione guadagna quasi il 59% del totale delle risorse economiche del paese.
Tuttavia, da qui al 31 dicembre 2022, ultimo giorno in cui sarà in carica Bolsonaro, il Messia Nero e tutta la destra faranno di tutto per lasciare nelle mani di Lula il peggior Brasile possibile e non sono esclusi colpi di scena.
Nel ballottaggio per gli stati il cui governo non era stato deciso al primo turno del 2 ottobre scorso, il candidato bolsonarista Tarcísio de Freitas (Republicanos), formatosi all’ Academia Militar das Agulhas Negras, ha sconfitto Fernando Haddad -(Pt) con quasi 10 punti percentuali di scarto conquistando lo stato di San Paolo.
La buona notizia proviene invece dallo stato di Bahia, dove il petista, e indigeno, Jerônimo Rodrigues, grazie anche al sostegno del Partido Socialismo e Liberdade (Psol), è riuscito a vincere.
Grazie al sostegno del Partito Socialista Brasiliano, quello a cui si è iscritto di recente Geraldo Alckmin, esponente dell’Opus Dei e divenuto, con molte perplessità, vicepresidente di Lula, oltre a Jerônimo Rodrigues sono stati eletti João Azevedo, nel Paraíba, e Renato Casagrande, nello stato di Espírito Santo. L’estrema destra bolsonarista ha perso anche nel Rio Grando Sul, dove, all’insegna di un fronte antifascista veramente molto composito, il tucano Eduardo Leite (socialdemocrazia brasiliana, centro-destra) ha sconfitto il candidato del Partido Liberal Onyx Lorenzoni grazie anche all’elettorato di sinistra. Stesso copione anche nel Mato Grosso do Sul, dove a vincere è stato di nuovo un tucano, Eduardo Riedel.
Adesso, a successo ottenuto, bisognerà vedere quale sarà il ruolo del Partido dos Trablhadores, e di Lula in particolare, nel rapporto con formazioni politiche e candidate distanti anni luce dagli ideali petisti (come la destra tucana non bolsonarista e prosciugata dall’estrema destra già nelle precedenti presidenziali), o almeno da quelli che ne avevano contraddistinto la sua fondazione.
Tuttavia, per il momento, si può dire che il pericolo imminente, quello della riconferma di Bolsonaro al Planalto, è stato scongiurato, ma il suo silenzio non fa presagire nulla di buono. Si teme infatti che il Messia Nero non riconosca il risultato delle urne e faccia di tutto per far precipitare il paese in una spirale di violenza politica senza fine seguendo l‘esempio del venezuelano Juan Guaidó.
In una campagna elettorale sviluppatasi soprattutto a livello di tattica politica, scacchiere del sostegno ai due candidati da parte di altri partiti, la forte mobilitazione nelle strade e nelle piazze del paese, la propaganda su radio, tv e social network (dove i bolsonaristi hanno definito Lula come una, improbabile, “minaccia per la proprietà provata”), il lulismo ha confermato il suo radicamento nel nordest, dove probabilmente si sono decise le elezioni che, inevitabilmente, avranno una forte ripercussione sull’intero continente latinoamericano.
A livello regionale, la vittoria di Lula potrebbe permettere di dare nuova linfa alla
Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac), al Mercosr, ma anche ad Unasur, rimasta zoppicante dopo il protagonismo dei governi progressisti latinoamericani, a cui partecipava anche Lula, nei primni anni Duemila.
Occorre, altresì, ricordare che la governabilità brasiliana potrebbe comunque attraversare un periodo complesso poiché Lula non avrà un potere tale da permettergli di difendersi dalle insidie e dai tranelli che i bolsonaristi prepareranno al Congresso. Se infatti, già al primo turno, esponenti dei movimenti sociali sono stati eletti, la destra radicale ha dato prova di sapersi confermare nelle urne, dimostrato di poter andar oltre lo stesso Bolsonaro e di stringere alleanze anche all’esterno del paese, ad esempio, con l’ultradestra colombiana che ha cercato in ogni modo di far perdere le elezioni a Gustavo Petro.
E ancora, se la vittoria di Lula ha permesso di porre un freno alla progressiva e costante erosione delle democrazia da parte del bolsonarismo, il centrosinistra ha cercato di porsi come un argine all’ordine democratico minacciato dal tentativo di controrivoluzione fascista propugnato dal Messia Nero e che si è comunque materializzata nello stato di San Paolo, dove il petista e delfino di Lula Fernando Haddad, dopo esser stato sconfitto nelle precedenti presidenziali, ha perso anche lo stato di San Paolo.
Sono molti, tra gli analisti politici, a prevedere un periodo politico comunque turbolento per un Brasile dove la vittoria di Lula non era comunque scontata. Sindacati e lavoratori hanno denunciato le minacce ricevute dai dipendenti di Petrobras indiziati di votare per Lula, mentre gran parte delle potentissime comunità evangeliche hanno fatto di tutto per spingere Bolsonaro verso la conferma al Planalto.
Il ritorno di Lula al Planalto, per quanto avvenuto sul filo di lana, rappresenta un’indubbia vittoria del fronte antifascista, ma adesso per il fondatore del Partido dos Trabalhadores si aprirà una nuova partita, non meno complessa delle precedenti: restituire prestigio ad un paese dove i diritti sono stati sistematicamente calpestati e prestare maggior attenzione a quelle classi popolari che già auspicavano un cambio di rotta fin dal primo governo a guida petista.
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