La ‘Strada verso il Caos’ dei minatori d’oro brasiliani in Amazzonia
L’aereo di pattugliamento decolla dolcemente e si inclina verso ovest, virando in direzione del fronte di una delle emergenze ambientali e umanitarie più drammatiche del Brasile.
Il suo obiettivo è una strada clandestina lunga 120 chilometri che nei mesi scorsi le mafie minerarie illegali hanno scavato attraverso la giungla nel territorio indigeno più grande del Brasile. Si tratta di un tentativo temerario di introdurre illegalmente delle scavatrici in queste terre che sono in teoria protette.
“Io la chiamo la Strada verso il Caos”, spiega Danicley de Aguiar, l’ambientalista di Greenpeace che conduce la missione di ricognizione sopra l’immensa area protetta indigena vicino al confine tra il Brasile e il Venezuela.
Aguiar aggiunge che mai prima d’ora erano stati individuati dei macchinari così pesanti nel territorio Yanomami – una distesa di montagne, fiumi e foreste delle dimensioni del Portogallo, situato nell’estremo nord dell’Amazzonia brasiliana.
“Riteniamo che ci siano almeno quattro scavatrici – e questo fa fare un salto di livello all’attività estrattiva nel territorio Yanomami, portandola a un livello di distruzione colossale”, dichiara l’attivista senior per le foreste mentre la sua squadra si prepara a decollare per confermare l’esistenza della strada.
Dopo un’ora di volo la cabina dell’aereo si riempie di un chiacchiericcio agitato quando si comincia a intravedere l’arteria clandestina.
“Ragazzi, l’abbiamo trovata” esulta il navigatore mentre il pilota esegue una serie di manovre da far rivoltare lo stomaco per riuscire a vedere meglio la pista sterrata.
“Quella è la Strada verso il Caos”, annuncia Aguiar attraverso il sistema interno di comunicazione dell’aereo.
“E questo è il caos”, aggiunge, indicando un buco enorme nella foresta pluviale dove tre scavatrici gialle hanno scavato con i loro artigli una miniera d’oro negli argini del Fiume Catrimani che è del colore del caffè.
In uno spazio lì vicino si vede una quarta scavatrice che sta distruggendo un territorio che ospita circa 27.000 membri delle popolazioni Yanomami e Ye’kwana, tra cui alcune comunità che non hanno nessun contatto con il mondo esterno. La cosa preoccupante è che uno di questi villaggi isolati è a poco più di 30 chilmetri dalla strada illegale, spiega Aguiar.
Sônia Guajajara, un’importante leader indigena che si trova anche sull’aereo, sospetta che i criminali abbiano approfittato delle recenti elezioni presidenziali in Brasile per introdurre di nascosto la loro attrezzatura nel cuore delle terre Yanomami. “Tutti erano concentrati su alri problemi e loro ne hanno approfittato”, dichiara Guajajara.
L’arrivo delle scavatrici – i cui primi testimoni sono i giornalisti del Guardian e dell’emittente TV Globo – è l’ultimo capitolo dell’aggressione, che dura da cinquant’anni, da parte di bande minerarie potenti e con buone connessioni politiche.
Minatori spregiudicati, conosciuti come garimpeiros, cominciarono a riversarsi nel territorio Yanomami in cerca di stagno e oro negli anni Settanta e Ottanta, dopo che la dittatura militare aveva incoraggiato i brasiliani poveri a occupare una regione che aveva definito “una terra senza uomini per uomini senza terra”.
I garimpeiros accumularono – e spesso persero – immense fortune. Ma per gli Yanomami fu una catastrofe. Vennero sconvolte vite e tradizioni. I villaggi furono decimati dalle epidemie di influenza e morbillo. Secondo il gruppo per i diritti umani Survival International, in un periodo di appena sette anni morì circa il 20% della tribù.
All’inizio degli anni Novanta, a seguito di proteste a livello mondiale, decine di migliaia di minatori furono mandati via nel corso dell’operazione di sicurezza Selva Livre (Giungla Libera). A causa della pressione internazionale, il presidente del Brasile dell’epoca, Fernando Collor de Mello, creò una riserva di 9 milioni e 600mila ettari e dichiarò: “Dobbiamo garantire agli Yanomami uno spazio perché non perdano la loro identità culturale e il loro habitat”.
All’inizio questi sforzi ebbero successo ma nel decennio successivo i garimpeiros ritornarono a causa di un’impennata del prezzo dell’oro, gli scarsi controlli e la povertà insostenibile che garantiva ai padroni delle miniere il rifornimento costante di lavoratori da sfruttare.
L’assalto si è intensificato quando, nel 2018, è stato eletto Jair Bolsonaro, un populista di estrema destra che vuole aprire i territori indigeni allo sfruttamento commerciale, e in base alle stime il numero di minatori spregiudicati nel territorio Yanomami è arrivato a 25.000.
“È stato un governo di sangue”, afferma Júnior Hekurari Yanomami, un leader Yanomami che ha incolpato Bolsonaro di incoraggiare gli invasori con la sua retorica contro gli indigeni e di avere messo in ginocchio le agenzie per la protezione dell’ambiente e degli indigeni.
Quando il giornalista del Guardian Dom Phillips, che è stato ucciso in Amazzonia lo scorso giugno, aveva visitato una miniera nel territorio Yanomami alla fine del 2019, aveva trovato “un inferno industriale manovrato manualmente nel mezzo della selvaggia bellezza tropicale”: i minatori coperti di fango usavano ponteggi di legno e pompe ad alta pressione per scavare la terra a forza di esplosioni.
“È stupefacente. Ti trovi nel grembo di questa grande foresta ed è quasi come se tu fossi in uno di quei vecchi film sull’antico Egitto ... Tutte queste macchine mostruose che distruggono la terra per fare soldi”, spiega il fotografo João Laet, che era andato lì con il giornalista britannico.
Tre anni dopo, la situazione si è ulteriormente deteriorata con l’arrivo delle scavatrici idrauliche e della strada illegale.
Alisson Marugal, un procuratore federale con il compito di proteggere il territorio Yanomami, ha dichiarato che l’introduzione di questi macchinari costituisce uno sviluppo preocupante per le comunità che stanno già affrontando una grave “tragedia umanitaria”.
I minatori, alcuni dei quali si sospetta che abbiano legami con i cartelli della droga, hanno portato violenze sessuali ed epidemie di malaria, e hanno costretto alla chiusura dei presidi sanitari, esponendo i bambini a livelli di malattia e malnutrizione “scandalosi”. I fiumi sono stati inquinati con il mercurio proveniente da una flotta illegale di circa 150 imbarcazioni.
Marugal ha spiegato come Ibama, l’agenzia brasiliana per l’ambiente a corto di fondi, abbia lanciato degli interventi repressivi sporadici, facendo saltare in aria e dando fuoco alle piste di atterraggio illegali, agli elicotteri e agli aeroplani che vengono usati per raggiungere il territorio. Ma la sporadicità di queste missioni, se si considerano anche gli immensi guadagni nel settore, significa che sono state solamente dei disturbi passeggeri.
I piloti di aerei leggeri possono guadagnare fino a un milione di real (€180.000) in cambio di pochi mesi pericolosi passati a trasportare prospettori, rifornimenti e prostitute fino agli accampamenti nella giungla remota. Per i loro capi, i guadagni sono ancora più ingenti.
Il presidente brasiliano entrante, Luiz Inácio Lula da Silva, ha promesso di estromettere i garimpeiros dal mercato e di ridurre drasticamente la deforestazione che è aumentata drammaticamente sotto Bolsonaro.
“Sia il Brasile che il pianeta hanno bisogno che l’Amazzonia sia viva”, ha dichiarato Lula nel primo discorso dopo avere sconfitto il suo rivale di stretta misura nelle elezioni di ottobre.
Marugal pensa che fermare le estrazioni illegali nel territorio Yanomami sia perfettamente possibile se c’è la volontà politica, cosa che mancava completamente sotto Bolsonaro. In realtà, Ibama ha già un programma che prevede un’offensiva incalzante di sei mesi che bloccherebbe le linee di rifornimento dei minatori e li costringerebbe ad abbandonare la foresta spinti dalla mancanza di cibo e carburante.
Aguiar sostiene che una repressione militare non può avere successo a lungo termine a meno che non sia accompagnata da delle norme che combattono la miseria su cui è stato costruito il crimine ambientale.
“Questo problema non verrà risolto solo con i fucili”, ha detto l’attivista. “La sconfitta della povertà è una parte essenziale della vittoria contro questa economia di distruzione”.
Hekurari Yanomami spera anche in un intervento federale su larga scala quando il nuovo governo entrerà in carica a gennaio, ma avverte che non sarà facile sconfiggere i garimpeiros.
“Questi minatori non hanno solo vanghe e asce ... Hanno fucili e mitragliatrici ... Sono armati e tutte le loro basi sono protette da guardie dotate di armi pesanti, lo stesso tipo di armi che sono in dotazione all’esercito, alla poilizia federale e alla polizia militare”, ha spiegato.
Il prezzo dell’inazione è l’annientamento di una popolazione la cui casa, da migliaia di anni, è la foresta pluviale.
“Se non facciamo nulla, perderemo questi territori indigeni”, ha concluso Marugal. “Per gli Yanomami, le prospettive sono pessime”.
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