Latina

Alle presidenziali del 22 ottobre potrebbe stravincere il candidato dell’estrema destra

Sull'Argentina l'uragano Javier Milei

In occasione delle Primarias, Abiertas, Simultáneas y Obligatorias (PASO) del 13 agosto scorso, Milei è risultato essere l’uomo più votato di tutte le coalizioni.
Per il paese si tratterebbe di un pericolosissimo, quanto probabile, salto nel buio.
18 settembre 2023
David Lifodi

Sull'Argentina l'uragano Javier Milei

Lo scorso 13 agosto, in Argentina, si sono tenute le cosiddette Primarias, Abiertas, Simultáneas y Obligatorias (PASO) in vista delle presidenziali del prossimo 22 ottobre che designeranno il nuovo inquilino della Casa Rosada al posto di Alberto Fernández.

Il futuro che attende l’Argentina, tra poco più di un mese, potrebbe avere tinte nerissime se, dalle urne, uscirà una maggioranza favorevole a Javier Milei.

È lui, l’uomo nero, il vero vincitore delle primarie che lo hanno incoronato leader di un’estrema destra molto simile a quella bolsonarista in Brasile, ma anche colui che ha guadagnato di gran lunga il maggior numero di voti, oltre 7 milioni, un bottino in grado di proiettare la sua formazione politica, La Libertad Avanza, come primo partito del paese.

Milei si è affermato agevolmente nello scontro tutto a destra con Juntos por el Cambio di Patricia Bullrich, la fedelissima di Mauricio Macri che, all’epoca della sua presidenza, dal 2015 al 2019, in qualità di titolare del Ministero della Sicurezza, aveva scatenato una vera e propria guerra contro le organizzazioni popolari culminata con la morte di Santiago Maldonado, attivista impegnato a difendere i diritti dei mapuche. Bullrich, che ha ottenuto il 17% delle preferenze rispetto al 30% di Milei, rappresenterà un’altra eventuale opzione per l’elettorato di destra.

Non ha ottenuto un gran risultato nemmeno l’economista Sergio Massa, candidato di Unión por la Patria (centrosinistra), che si è comunque conquistato facilmente il diritto a competere per la Casa Rosada grazie ad un rassicurante 21,4% dei consensi rispetto all’outsider di sinistra Juan Grabois, fermatosi al 5,9% delle preferenze.

Rispetto al ministro dell’Economia, che se non riuscirà ad aumentare il suo numero di voti avrà enormi difficoltà al cospetto di Milei e Bullrich, Grabois rappresentava una novità sia dal punto di vista anagrafico (40 anni), sia perché Massa è stato il ministro che, in pratica, anche nell’ultimo scorcio di mandato del presidente Fernández, si è adoperato, per l’ennesima volta, a rinegoziare il debito con il Fondo monetario internazionale.

Dalle primarie emerge un primo dato chiarissimo: l’esito delle presidenziali sarà molto probabilmente a destra, non solo in caso di successo di Milei o Bullrich, ma anche nel caso di una (per ora poco probabile) vittoria di Massa, considerato a sua volta un peronista di destra.

Un altro aspetto preoccupante riguarda il fatto che Javier Milei ha corso da solo, senza alcun sfidante all’interno del suo stesso partito e la sua forza fa temere addirittura un eventuale ballottaggio tutto a destra con Patricia Bullrich dopo il primo turno del 22 ottobre. Ad essere decisivo potrebbe essere quel 30% di elettori che ha scelto di non partecipare alle primarie.

L’uragano Milei, che probabilmente travolgerà i tradizionali partiti politici argentini, deriva dalle difficoltà dei governi socialdemocratici di migliorare le condizioni di vita di un paese in cui un candidato anti-sistema inizia ad essere percepito sempre più come la soluzione ai propri problemi. Javier Milei, autodefinitosi come “anarco-capitalista”, utilizza volutamente un linguaggio aggressivo, politicamente scorretto e attacca con violenza la casta, compresa la destra macrista, accomunando tutti con l’epiteto di “parassiti”.

Sul fronte kirchnerista in molti erano sicuri che candidare Sergio Massa, a sua volta autosponsorizzatosi, poco elegantemente, con insistenza, nonostante i dubbi della vicepresidenta Cristina Fernández de Kirchner, avrebbe potuto rivelarsi un boomerang poiché si trattava dell’uomo dei negoziati con il Fondo monetario internazionale e ministro dell’Economia in carica costretto, suo malgrado, a restare con le mani legate di fronte all’inflazione galoppante e alla perdita del potere d’acquisto dei salari.

In questo contesto, grazie alle contraddizioni di Massa e Bullrich, Milei giocherà la carta del candidato di rottura. I governi di centro-sinistra, in America latina e altrove, che hanno cercato di coniugare il capitalismo con la giustizia sociale, spesso hanno finito per soccombere ugualmente di fronte a progetti di estrema destra.

Agli scontati proclami contro Cuba e Venezuela, Milei ha dichiarato la volontà, nel caso in cui sia eletto presidente, di abolire il Mercosur, definito come “un’unione doganale criminosa che pregiudica gli interessi degli argentini”, oltre a guardare con interesse a quei fondi di investimento avvoltoi che, all’epoca della presidenza Macri, stavano per mandare di nuovo a rotoli l’economia argentina. La dollarizzazione dell’economia, sull’esempio di El Salvador, sembra essere la strada maestra che vuol seguire Milei, il cui obiettivo principale è la chiusura del Banco Central: “no tiene razón de existir”, ha sostenuto più volte, definendolo come “la peggior spazzatura esistente sulla terra”.

Milei è talmente sicuro di capitalizzare il grande malessere della società argentina da evitare, in caso di ballottaggio, un apparentamento con Patricia Bullrich e la destra macrista. Per le organizzazioni popolari quella che va configurandosi come un’affermazione di Milei rappresenta un duro colpo poiché il suo serbatoio di voti sarà anche quello dei giovani e delle fasce sociali più impoverite del paese e disilluse dalla politica.

Al bipartitismo macrista-kirchnerista Milei offre un’alternativa che sarà caratterizzata da un aggiustamento fiscale durissimo e dalla privatizzazione dell’istruzione e della sanità, oltre, ovviamente alle sue posizioni ultraconservatrici in fatto di cambiamento climatico, diritti sessuali e sul porto d’armi. Di fronte alla progressiva crisi del peronismo lo spazio politico è stato riempito dal partito di Milei, La Libertad Avanza, che sfrutterà al massimo il cosiddetto “voto di castigo” contro i partiti tradizionali, tanto da far già dichiarare a molti analisti politici che, in vista delle presidenziali del 22 ottobre, partirà decisamente in pole position.

L’Argentina si trova sull’orlo del precipizio. I governi socialdemocratici sono stati percepiti come la casta e, almeno ad oggi, una parte significativa degli elettori, secondo i sondaggi, sembra essere intenzionata a votare per Milei. Per l’ultradestra vincere le presidenziali del prossimo 22 ottobre potrebbe essere fin troppo semplice.

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