L'America latina per la Palestina
Una delle comunità più grandi, in Sudamerica, è quella cileno-palestinese, composta da quasi mezzo milione di persone. Tutto ciò non sorprende visto che, nel 1920, nella città cilena di Osorno, nel sud del paese, fu fondata la squadra di calcio del Club Deportivo Palestino, attualmente militante nella massima serie cilena, la cui maglia richiama i colori della bandiera palestinese. Nel 2014, in occasione dell’operazione militare israeliana denominata “Margine di protezione”, i calciatori del Club Deportivo, tutti rigorosamente di origine palestinese, scesero in campo con la mappa dell’antica Palestina stampata sulle maglie, scatenando un conflitto diplomatico tra Cile e Israele.
Si tratta di alcune motivazioni che spiegano la grande mobilitazione, nelle piazze di tutta l’America latina, per lo stop immediato dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza. Ad esprimersi nella maniera più dura Colombia, Venezuela, Bolivia, Cuba e Nicaragua. In particolare, il presidente colombiano Gustavo Petro ha chiesto che Netanyahu sia giudicato dalla Corte Penale Internazionale per aver commesso crimini di guerra. Inoltre, dopo che la Colombia aveva richiamato il proprio ambasciatore in Israele, lo stesso avevano fatto Cile e Honduras, condannando e denunciando il genocidio della popolazione di Gaza.
Lo scorso 31 ottobre la Bolivia aveva rotto le relazioni diplomatiche con Israele evidenziando le ripetute violazioni del diritto umanitario. Già nel 2009 La Paz aveva sospeso i rapporti con Israele, all’epoca della presidenza di Evo Morales, prima del ripristino delle relazioni diplomatiche a partire dall’arrivo a Palacio Quemado, nel 2020, della golpista Jeanine Añez. Quanto al Venezuela, i rapporti diplomatici con Israele sono stati interrotti nel 2009 e mai più ripresi. Anche il Belize ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele a seguito dei bombardamenti su Gaza.
Più sfumata la posizione di Brasile e, soprattutto Messico, non intenzionato a rompere le relazioni con Israele, ma attivatisi fin dall’inizio delle ostilità per chiedere un cessate il fuoco il più rapidamente possibile. Inizialmente Lula aveva parlato di genocidio, riferendosi soprattutto al gran numero di bambini rimasti uccisi dai bombardamenti israeliani e il Brasile, in qualità di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza Onu, aveva proposto una risoluzione di pace rifiutata dagli Stati Uniti, a sua volta membro permanente con potere di veto perché, secondo Washington, non condannava apertamente l’azione di Hamas.
In Argentina, la costante mobilitazione nelle piazze a sostegno della popolazione palestinese non è andata di pari passo con quella governativa. In Argentina risiede la più grande comunità ebraica dell’America latina e alcuni ostaggi sono di origine israelo-argentina con la doppia nazionalità: può darsi che questo abbia spinto il presidente Alberto Fernández a scegliere di condannare sia l’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre sia i bombardamenti israeliani, in particolare quelli avvenuti sul campo profughi di Jabalya, senza però sospendere le relazioni diplomatiche con Israele.
In totale, sono 11 i paesi latinoamericani che hanno condannato i massicci bombardamenti su Gaza e Cisgiordania da parte di Israele. Tra loro non vi sono Guatemala, Uruguay, Paraguay e Panama. Il Guatemala, almeno fin quando non ci sarà, se verrà reso possibile, l’insediamento di Arévalo a inizio 2024, non cambierà nulla. Nel 2018 il Guatemala aveva spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, solo due giorni dopo la provocatoria scelta di Trump. Lo stesso sembrava voler fare il Paraguay con l’allora presidente Cartés, ma poi non se ne fece nulla, nonostante l’avvicinamento del paese a Israele. Quanto a Uruguay e Panama, finora si sono dimostrati sostanzialmente equidistanti nel conflitto in corso.
Gran parte dei paesi latinoamericani, quindi, difende il principio di risoluzioni pacifiche dei conflitti nell’ambito dei negoziati tra le diplomazie e del rispetto del diritto internazionale, ma l’attuale offensiva israeliana, e in particolare i bombardamenti su Gaza e su uno dei suoi ospedali, Al Shifa, hanno spinto il presidente colombiano Gustavo Petro ad accelerare la procedura per chiedere il riconoscimento della Palestina come stato membro in seno all’Onu (dal 2012 la Palestina è stata accettata come stato osservatore). La Colombia, inoltre, vorrebbe aprire un’ambasciata a Ramallah, dove è già presente quella brasiliana. Lula, pur non tacendo sull’evidenza dell’attacco terroristico di Hamas, ha espresso le proprie rimostranze al presidente israeliano Herzog sia per la crisi umanitaria di Gaza sia per l’alto numero di bambini rimasti uccisi nei bombardamenti , definiti dal presidente brasiliano “senza criterio”. La soluzione “due popoli due stati”, auspicata da Lula, è stata condivisa anche dalla Comunidad del Caribe (Caricom).
Inevitabilmente, si è creata una forte polemica con Israele. Il presidente cileno Boric ha condannato l’azione di Hamas del 7 ottobre scorso, ma ha parlato anche di “inaccettabili violazioni del diritto internazionale” da parte di Israele, che, a sua volta ha accusato lo stesso Cile, ma anche Venezuela, Bolivia, Colombia, Cuba e Nicaragua di aver superato il limite della decenza, accostandoli alle posizioni pro-Hamas e facendo capire che nel continente latinoamericano si nascondono cellule terroristiche vicine all’Iran legate ad alcuni governi sudamericani.
Per tutta risposta, il Venezuela ha reso noto che entrerà a far parte del gruppo di paesi pronti ad indagare sui crimini di guerra commessi da Israele per portare il paese di fronte alla Corte penale internazionale, mentre la Colombia ha fatto sapere di valutare l’opportunità di interrompere le relazioni con Israele.
In un contesto così complesso non si può far a meno di condividere l’appello dell’Asociación Latinoamericana de Medicina Social (Alames) che, dopo aver chiesto un immediato cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas ed espresso la propria vicinanza ai neonati, ai bambini, alle donne, agli anziani e a tutta la popolazione di Gaza, invita a restare umani: “Es hora de recuperar nuestra humanidad”.
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