Guatemala: Arévalo sfida il Patto dei Corrotti
Il primo presidente progressista nella storia del paese dai tempi di Jacobo Arbenz, molto probabilmente, dovrà resistere di fronte ad un vero e proprio percorso di guerra, scatenato dall’oligarchia fin dalla sua vittoria nel ballottaggio del 20 agosto scorso, e condotto in particolare dalla procuratrice della repubblica Consuelo Porras, la quale ha fatto di tutto per mettere fuorilegge il partito di Arévalo, adducendo supposte irregolarità nella raccolta delle firme all’atto di costituzione del partito stesso.
La Commissione interamericana dei diritti umani e perfino la stessa Organizzazione degli stati americani (un’organizzazione non certo trasparente), hanno messo in guardia, da tempo, sull’eventualità di una possibile rottura dell’ordine costituzionale nel paese, promossa dal cosiddetto Pacto de Corruptos che, da sempre, non solo impedisce l’esercizio della democrazia in Guatemala, ma impone all’intero paese una sorta di democratura permanente.
Il Tribunale Supremo Elettorale, presieduto da Blanca Alfaro, ha ribadito che i risultati delle urne sono “inalterabili”, ma in Guatemala continuano a comandare quelle che sono definite fuerzas de choque, le vere responsabili dello stallo del paese e delle sue istituzioni.
Dal 2 ottobre scorso si sono susseguite manifestazioni, scioperi e blocchi stradali per denunciare l’attentato alla democrazia portato dalla procuratrice generale María Consuelo Porras, principale artefice della sospensione della personalità giuridica del Movimiento Semilla insieme al presidente uscente Alejandro Giammattei e al procuratore speciale contro l’Impunità Rafael Curruchiche, firmatario dell’istanza di sospensione contro il partito di Arévalo.
L’esercizio indebito del potere da parte della procuratrice generale, con il sostegno aperto di Giammattei, rappresenta un evidente, e disperato tentativo di evitare che Arévalo riesca ad assumere il potere e, allo stesso tempo, indebolire la Corte Costituzionale e la Corte Suprema di Giustizia, spingendosi fino ad attaccare la comunità internazionale di interferire abusivamente negli affari interni al paese e rilanciando l’inverosimile accusa di “frode elettorale”. Arévalo si trova di fronte uno vero e proprio sbarramento composto da narcotrafficanti, politici corrotti, leader religiosi, in particolare evangelici, altrettanto screditati e militari di estrema destra protagonisti della sanguinosa stagione di repressione dei primi anni Ottanta che cercheranno di ostacolare in ogni modo il suo governo.
In Guatemala la violazione dello stato di diritto è costante, come la persecuzione nei confronti di giornalisti, giudici e magistrati che non hanno deciso di piegarsi al Patto dei Corrotti. Bernardo Arévalo è il primo presidente, nella storia recente del paese, a rappresentare un’eccezione in positivo. Prima del docente universitario, per quanto possa sembrare paradossale, il più presentabile forse è proprio quell’Alejandro Giammattei che, come fece Bolsonaro in Brasile a seguito della vittoria di Lula, non manifesta alcuna voglia di andarsene, basti pensare a personaggi come il comico, vicino all’estrema destra, Jimmy Morales o a generali sanguinari come il genocida Ríos Montt, presidenti del paese che hanno fatto il bello e cattivo tempo godendo della più totale impunità
Di fronte al costante tentativo di colpo di stato, tra coloro che hanno resistito, insieme ai popoli indigeni, principali protagonisti delle mobilitazioni di piazza, vi è è stato il movimento installatosi di fronte alla sede del Pubblico Ministero nel quartiere Gerona di Città del Guatemala, per chiedere le immediate dimissioni della procuratrice generale Consuelo Porras. Un piccolo, ma determinato accampamento ha iniziato a presidiare la sede del Pubblico Ministero, avvolto dall’eloquente striscione “El MP tejiendo corrupción”. Nel mirino dei manifestanti quelli che ormai sono definiti come “los cuatro personajes”, gli artefici principali del tentato golpe: oltre a Porras, Rafael Curruchiche, a capo della Fiscalía Especial Contra la Impunidad, il giudice Fredy Orellana e la fiscal Cinthia Monterroso.
Studenti, movimenti urbani e indigeni sostengono Arévalo, esigono il rispetto del risultato uscito dalle urne, ma soprattutto fanno paura all’oligarchia perché chiedono al presidente, una volta insediatosi, di tener fede al suo primo proposito, quello di combattere la corruzione. È per questo che il Patto dei Corrotti vuol bloccare il paese e tenerlo in un limbo giuridico che serve solo a una minoranza che, nel corso degli anni, ha progressivamente svenduto il paese per i propri interessi personali.
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