Presidenziali El Salvador: la frode
Al suo partito, Nuevas Ideas, ha attribuito l’83% dei consensi, mentre a Manuel Flores, del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, non sarebbe andato più del 7% circa dei consensi e l’estrema destra di Arena – Alianza Republicana Nacionalista, con Joel Sánchez, si sarebbe fermata al 6,2%. Solo ieri è giunta la conferma reale del successo di Bukele, casualmente con percentuali molto simili a quelle già sbandierate da lui stesso.
Quello di Bukele è il proseguimento di un progetto neofascista addirittura più avanzato di quello arenero. Se è vero che, prima delle presidenziali del 4 febbraio, a Bukele veniva attribuito circa il 70% e che la sua vittoria sarebbe arrivata comunque, la sua riconferma, peraltro non ancora resa ufficiale fino all’8 febbraio, ma subito avallata anche dalle sconcertanti felicitazioni provenienti, tra gli altri, dai governi di Nicaragua, Messico, Guatemala e Honduras, è stata segnata da molteplici irregolarità, a partire dall’utilizzo dei fondi pubblici per alimentare la sua propaganda tra l’elettorato.
Il Tribunale Supremo elettorale, anch’esso controllato dal bukelismo, ha definito la giornata elettorale un “successo”. In realtà, non solo la lentezza del Tribunale elettorale, ma anche l’anticipazione di Bukele, che si era autoproclamato presidente ancor prima della diffusione dei risultati preliminari, ha spinto l’analista Daniel Zovatto a mettere in guardia dalla “bukelización de la política”, fondata sul messaggio, ripetuto in maniera martellante su tutte le piattaforme social, che “la democrazia tradizionale è incompetente e corrotta”.
Bukele potrà contare su una schiacciante maggioranza al Congresso in una sorta di democratura che è lui stesso ad esaltare, nonostante il Comité de Familiares de Presas y Presos Políticos de El Salvador, il Bloque Popular Juvenil, il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, ma anche l’ultradestra arenera, il cui bacino di voti è stato letteralmente prosciugato per le seconde presidenziali consecutive, chiedano l’annullamento delle elezioni.
Nella sola giornata del 4 febbraio, l’Asociación de Periodistas de El Salvador ha denunciato oltre cento attacchi agli operatori dell’informazione. Ad esempio, una giornalista che stava coprendo il percorso verso le urne del presidente di Nuevas Ideas, Xavier Zablah Bukele, è stata attaccata da alcuni simpatizzanti del bukelismo con il lancio di bengala ed è stata fortunatamente soccorsa in tempo.
Il poeta Carlos Borja, che all’esterno del suo seggio aveva letto gli articoli della Costituzione che vietavano la ricandidatura presidenziale di Bukele, è stato prima arrestato e poi liberato.
Dopo aver rivendicato la vittoria contro le pandillas, Bukele ha cercato subito la legittimazione del neopresidente argentino Javier Milei, tanto da consigliarlo su come organizzare la repressione, già in atto, contro le proteste di piazza. In particolare, Bukele ha confermato di aver offerto alla ministra della Sicurezza argentina Patricia Bullrich, già nota, all’epoca del macrismo, per la durezza della repressione contro le organizzazioni popolari, tutta la collaborazione di cui ha bisogno per far fronte alle mobilitazioni di piazza. In particolare, preoccupa una riunione che si è tenuta a Buenos Aires, il giorno prima dell’insediamento di Milei, tra la stessa Bullrich e il suo omologo salvadoregno Gustavo Villatoro, in cui si è parlato di lotta al narcotraffico, ma anche delle modalità relative alla repressione interna.
Quattro anni fa, quando Bukele divenne presidente del paese per la prima volta, in El Salvador è stato compiuto un pericoloso passo indietro caratterizzato da un inquietante ritorno alla militarizzazione. Inoltre, in breve tempo, il già balbettante percorso di una giustizia indipendente e imparziale è stato definitivamente affossato e, dopo una dittatura oligarchica come quella arenera, a seguito della guerra civile e di alcuni mandati della presidenza a guida efemelista, era concreta la speranza che il più piccolo paese dell’America centrale avesse superato il suo periodo più cupo.
Oggi, la vittoria di Bukele a seguito di elezioni farsa, all’insegna delle fake news e di una retorica messianica non diversa da quella che prima ha condotto Bolsonaro al Planalto e poi Milei alla Casa Rosada, caratterizzata dalla costante criminalizzazione delle lotte sociali, della progressiva erosione delle libertà individuali e dalla costruzione compulsiva di nuove carceri, ufficialmente per combattere la criminalità organizzata, ha messo in ginocchio El Salvador.
Tra i principali lobbysti di Bukele vi è Damián Merlo, tra i maggiori referenti delle destre latinoamericane, tanto da favorire l’intervista dello stesso presidente millennial, oltre che di Milei, con Tucker Carlson, giornalista legato a Trump: è stato proprio in questo contesto che Bukele ha iniziato a propagandare i suoi progetti securitari. Nel settembre 2021 sull’allora profilo twitter (oggi X), Bukele si definiva come «el dictador más cool del mundo mundial».
Nidia Díaz, ex deputata e figura storica del Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional, oltre ad essere stata dirigente, in clandestinità, del Partido Revolucionario de los Trabajadores Centroamericanos, ha dichiarato che “Bukele rappresenta la peggior dittatura dal ritorno alla democrazia”. Oggi, pensare che proviene dalle fila efemelistas e che è stato anche sindaco, per il Frente Farabundo Martí de Liberación Nacional, di San Salvador, fa ancora più male.
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