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Prossimo obiettivo Cuba

Gli Usa hanno inasprito l'embargo a Cuba e il governo di Castro ha risposto togliendo dal commercio ogni articolo in dollari. La tensione sale e l'isola sente concretamente la possibilità di venire attaccata da un momento all'altro
14 maggio 2004
Stella Spinelli
Fonte: Peace Reporter

14 maggio 2004 - In marcia contro gli Usa. L’Avana chiede solidarietà internazionale in seguito all’inasprimento dell’embargo deciso da George Bush la scorsa settimana e oggi scende in piazza per manifestare il proprio no alla “prepotenza dell’impero” e per scongiurare un eventuale scontro armato. Alle 7 della mattina (ora locale) centinaia di migliaia di lavoratori cammineranno fino alla Oficina de Intereses degli Stati Uniti, situata vicino al Malecón del Vedado, nella speranza che altri Paesi facciano lo stesso.

“Chiediamo l’appoggio di tutte le nazioni – ha affermato Alberto Gonzalez, ambasciatore cubano in Honduras – perché solo con una mobilitazione generale dell’opinione pubblica potremmo scongiurare che gli Usa invadano Cuba. Noi ci stiamo preparando per una guerra di Bush, che ha già dimostrato quanto sia capace di aggredire altri paesi andando perfino contro le Nazioni Unite”.

Per adesso il primo a rispondere a gran voce è stato il Messico. Dopo la rottura diplomatica dei primi di maggio, migliaia di persone hanno deciso di reclamare la normalizzazione delle relazioni con l’isola, e sono scese in piazza. Marciando dal Paseo de la Reforma allo Zocalo, hanno chiesto con slogan e cori diretti al presidente Fox, una politica estera sovrana e indipendente dagli Stati Uniti. La risposta del capo di Stato non si è fatta attendere. Ha infatti rifiutato di collaborare nell’isolare economicamente Cuba dal resto dell’America latina.

Le voci sulla gravità della crisi fra Castro e Bush, intanto, si rincorrono da una parte all’altra del mondo.
“Cuba si prepara all’invasione statunitense”, intitola il The Australian, uno dei più autorevoli quotidiani nazionali dell'Australia.
“Cuba si aspetta il peggio”, esordisce il Milenio di Città del Messico, che sottolinea come dalla crisi nucleare del 1962 questa sia la prima volta che la possibilità di uno scontro militare diretto è avvertita così seriamente.

Lo stato di allerta nell’isola è salito ai massimi livelli dopo il sei maggio, quando Bush, nel ricevere il rapporto della Commissione d’Aiuto a una Cuba libera - creata da lui sei mesi fa affinché vagli le misure per una fine rapida dello stato castrista - ha affermato: “Il mio obiettivo è accelerare il giorno in cui Cuba sarà libera. E’ per questo che stiamo lavorando”.

E così è stato: il primo passo non si è fatto attendere. Lunedì scorso gli Usa hanno applicato un giro di vite al blocco economico e commerciale che perseguita Cuba da sempre, mettendo l’isola in ginocchio.

“Stanno tentando di ridurre al minimo le risorse in valuta imprescindibili a soddisfare le necessità di alimentazione, dei servizi medici, educative e altre essenziali per la nostra popolazione – commenta in una nota ufficiale il governo cubano -, per questo siamo costretti a prendere delle contromisure che richiederanno un sacrificio, l’ennesimo, a tutti i cubani”. E quindi lo stato ha sospeso la vendita di ogni articolo in dollari, con l’eccezione degli alimenti e degli articoli per l’igiene personale.

“Si tratta di una misura transitoria che cerca di garantire la somministrazione degli alimenti e dei prodotti di igiene di prima necessità a tutti i cubani indistintamente – ha specificato l’ambasciatore cubano presso le Nazioni Unite, Orlando Requeijo – Speriamo che la situazioni si normalizzi quanto prima. Comunque, saprò essere più specifico nei prossimi giorni”.

Ma in cosa consiste questo piano nascosto in quasi cinquecento pagine che dovrebbe portare gli Usa ad avere la meglio su Cuba?

Si tratta di una serie di proposte stilate appunto dall’apposita Commissione, basate principalmente sui suggerimenti dei settori anticastristi di Miami e che includono una sezione finora rimasta segreta, dove i cubano-americani suggerirebbero l’uccisione di Castro e l’immediato dispiego sull’isola di marines, al fine di impedire “la continuità della rivoluzione al potere”.

L’ex ambasciatore speciale degli Usa, Otto Reich, uno dei 34 esuli cubani che integrano o hanno integrato l’amministrazione Bush, ha definito questo progetto “suo figlio”, e il congressista Lincoln Diaz Balart, capo della lobby anticastrista di Washington, ha spiegato che questo rappresenta “un compromesso molto serio con la libertà di Cuba”.

Finanziato con 59 milioni di dollari, il piano mira a coinvolgere i governi di altri paesi, a neutralizzare gli sforzi dell’isola per attrarre inversioni e trovare nuovi sbocchi per l’esportazione dei propri prodotti, a incrementare le campagne pubblicitarie internazionali contro Castro e a garantire una offensiva mediatica all’interno dell’isola, grazie ad aerei del Comando Sol della Forza aerea degli Stati Uniti, che violerebbero lo spazio aereo cubano emettendo le frequenze della radio e della televisione Martí, con base a Washington, fino ad ora bloccata con relativo successo dai cubani.

Comunque, le misure più immediate riguardano appunto quelle rivolte a soffocare l’economia cubana. Prima fra tutte quella che riguarda le rimesse degli emigrati. Fino ad ora milioni di dollari all’anno entravano nell’isola dai parenti e dagli amici che vivono all’estero tanto che alcuni economisti sono arrivati a definirla la prima fonte di sostentamento del Paese, ancor più del turismo. Gli Usa hanno sempre permesso ufficialmente che ogni immigrato cubano inviasse nell’isola al massimo 100 dollari al mese, una quantità che poi i cubani sono sempre riusciti a moltiplicare attraverso dei messaggeri in costante viaggio da e per il Paese caraibico. Ecco, con le nuove restrizioni Usa, la stessa cifra potrà essere rimessa solo ai padri, ai figli, agli sposi, ai fratelli, ai nonni e ai nipoti, quindi non più ai cugini e agli amici, e sarà permesso un solo viaggio per Cuba ogni tre anni.

Non solo: sono stati stanziati fondi per creare un lavoro di intelligence contro i messaggeri e nonostante ancora non sia operativa, soltanto sette giorni dopo l’annuncio di questa novità, all’Avana si è registrato un calo del numero dei messaggeri settimanali che ha raggiunto il novanta per cento. “Credo che questa volta la cosa sia seria”, si vocifera da una parte all’altra dell’isola - Non resta che aspettare e sperare nella solidarietà internazionale. Altrimenti…”.

Ma parole di appoggio stanno già levandosi. Il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, ha dichiarato che il governo degli Stati Uniti sta mettendo in atto un “terrorismo di stato” contro Cuba, e ha applaudito la reazione del Messico che ha condannato l’inasprimento del blocco. La coordinatrice ecuadoriana di Solidarietà con Cuba ha definito quanto sta accadendo “un’aggressione, una flagrante violazione dei diritti umani, sociali e politici”. Sostegno anche dalla Russia: organizzazioni giovanili, istituzioni di docenti, gruppi di imprenditori hanno rifiutato e condannato la mossa degli Usa. E dal Nicaragua, l’ex presidente Daniel Ortega, ha precisato che questo atteggiamento di Bush dimostra la disperazione, la frustrazione e l’insuccesso della politica statunitense verso Cuba.

Ma la reazione più forte, alquanto inaspettata, viene proprio dal cuore dell’amministrazione Bush. Un gruppo di senatori democratici e repubblicani hanno inviato ieri una lettera al presidente criticando la strategia della Casa Bianca contro l’isola di Castro. Pensata dal senatore democratico del Montana, Max Baucus, è stata sottoscritta da suoi compagni di partito quali Christopher Dodd, del Connecticut, e da Byron Drogan del Nord Dakota, ma anche dai repubblicani Mike Enzi, del Wyoming, e Larry Craig, dell’Indiana, tutti stati agricoli con forti esportazioni verso Cuba. La missiva contiene sei raccomandazioni a Bush, tendenti ad “aprire le porte tra i popoli statunitensi e cubani”.

Note: http://www.peacereporter.net/it/it/canali/storie/0000america/Cuba/040513cubablocco

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