Latina

I primi mesi della presidenza Milei sono un incubo

Una motosega sull'Argentina

Milizie parapoliziesche, aggressioni, negazionismo in tema di diritti umani e indulto per i repressori. Lo denuncia, in un dossier, anche Amnesty International
14 aprile 2024
David Lifodi

Página 12 / Resumen Latinoamericano

La china che ha preso l’Argentina sotto la presidenza di Javier Milei è sempre più preoccupante. Ormai diventa davvero impossibile denunciare, ogni giorno, le provocazioni, le uscite volgari, gli attacchi alle associazioni che si occupano di diritti umani, all’istruzione e alla sanità pubblica, gli insulti e le minacce ai familiari dei desaparecidos, la progressiva erosione dei diritti dei lavoratori, le restrizioni alla libertà di stampa, la comunicazione politicamente scorretta quando si parla di donne e comunità lgbtqi, i licenziamenti, le privatizzazioni ed una distruzione pianificata dello stato sociale.

I primi cento giorni di Milei alla Casa Rosada sono un incubo. Lo ha sottolineato, nel dossier reso pubblico il 19 marzo scorso, la sezione argentina di Amnesty International. Il titolo è un concentrato di quanto di peggio ha espresso il nuovo presidente del paese: Violencia, persecución y ajuste. Nell’era Milei il dibattito pubblico non è caratterizzato da un confronto, ma è all’insegna della dinamica amico-nemico, poiché al paese sono state imposte, come regole, la repressione e l’odio.

L’opposizione, la stampa, gli artisti e tutte le voci dissonanti sono ripagate con un’unica moneta, quella dell’aggressione, non solo verbale, ma anche fisica. Di fronte al crescente impoverimento della popolazione, da cui ogni giorno si creano le condizioni per un conflitto sociale sempre maggiore, l’Argentina ha bisogno di un cambiamento radicale. Lo evidenzia Amnesty International, che parla di un paese alla deriva e invoca un governo che faccia gli interessi della popolazione e non delle lobby finanziarie.

Una delle ultime provocazioni di Milei, alla vigilia della commemorazione del 24 marzo 1976, il giorno del colpo di stato che portò i militari al potere, è stata quella di annunciare l’indulto per i repressori di allora. Dietro all’ennesimo insulto alla memoria dei desaparecidos si cela la vicepresidente Victoria Villarruel, ancora più a destra di Milei e tra le più fanatiche negazioniste in tema di memoria. A lei si deve l’idea di autorizzare i militari colpevoli del genocidio a scontare le condanne ai domiciliari.

Purtroppo, lo sfregio alla memoria non si consuma soltanto riconoscendo dignità e diritti ai repressori. Il 5 marzo scorso una militante dell’associazione Hijos è stata minacciata di morte da gruppi parapolizieschi al soldo dell’uomo della motosega. “No vinimos a robarte, vinimos a matarte. A nosotros nos pagan para eso” è stato l’inquietante ed eloquente messaggio urlato nell’abitazione della donna, malmenata e abusata per la sua appartenenza a Hijos. Proprio i materiali dell’associazione sono stati gli unici ad esser stati rubati a seguito dell’aggressione.

Di fronte a questo episodio così grave, la giustizia si è limitata a disputarsi il caso, tra quella nazionale e quella federale, mentre, ad esclusione delle organizzazioni popolari, a livello governativo, tutti hanno preferito tacere, fingendo di ignorare che l’irruzione di due uomini armati sia frutto della politica di odio dispensata a piene mani, ogni giorno di più, dal governo. Lo scopo di queste azioni è evidente: creare uno stato di paura crescente.

Del resto la negazione del dramma dei desaparecidos ha rappresentato, fin dall’inizio, uno dei tratti distintivi del nuovo governo.

La vicepresidente Victoria Villaruel, ancor più di Milei, ha fatto della rivalutazione della dittatura militare che si impadronì del paese il 24 marzo 1976, uno degli aspetti imprescindibili del nuovo corso, tanto da definire gli oppositori al regime come “personaggi sinistri”.

Entrambi, in ogni caso, predicano continuamente una sorta di negazionismo di Stato che riduce a poco più di 8.000 il numero delle vittime del regime, peraltro contestualizzate, in maniera del tutto strumentale, nell’ambito di una guerra tra lo Stato argentino e le forze guerrigliere, dimenticando, in realtà, che l’unico conflitto era stato scatenato dallo Stato stesso contro qualsiasi gruppo di opposizione.

Utilizzando il mantra “della guerra promossa dai sovversivi”, il governo non perde occasione di minimizzare le responsabilità di Videla, Massera e di tutti i repressori e torturatori di allora allo scopo di creare una memoria apertamente deformata in cui l’uccisione sistematica degli oppositori risulta così essere non più un piano di disarticolazione sistematica dei movimenti sociali, quanto, piuttosto, un’urgenza dovuta alla crescente pericolosità delle organizzazioni popolari.

In questo contesto, evidenziano alcuni analisti, il partito di Milei, La Libertad Avanza, non si identifica solo con la retorica neofascista dei simpatizzanti della dittatura, ma ne condivide le politiche sociali, economiche e culturali.

È così che, in un completo ribaltamento della storia, le vittime del terrorismo di stato diventano, loro malgrado, “terroristas que estaban haciendo desastres”. Una vulgata, questa, da far impallidire anche il revisionismo di Mauricio Macri che, all’epoca della sua presidenza, riferendosi ai desaparecidos, disse con disprezzo che non intendeva entrare nella polemica sul numero degli scomparsi poiché si trattava soltanto di una lista di nomi riportata su un muro, alludendo alle vittime della repressione a cui è intitolato il monumento al Parque de la Memoria di Buenos Aires.

Sul politicamente scorretto la coppia Milei-Villaruel ha investito così tanto da ricevere frutti soprattutto sui social network. Il pericolo di una presunta quanto inesistente egemonia del “marxismo culturale” e la retorica anti-diritti vengono diffuse a piene mani soprattutto dallo youtuber Agustín Laje, teorico di organizzazioni come il “Movimiento por la Verdadera Historia” e “Jóvenes por la Verdad”, che proliferano in rete e insistono sul processo della cosiddetta “rectificación” della dittatura militare.

Lo scorso 24 marzo, in occasione dell’anniversario del golpe, una moltitudine di persone è scesa in piazza, soprattutto a Buenos Aires, per ricordare le vittime del terrorismo di stato e far capire al governo che non sarà così facile cancellare la memoria.

Eppure, nonostante tutto, Milei in questi primi mesi alla guida del paese è stato costretto a dover ingoiare anche qualche boccone amaro. Al Senato, infatti, l’opposizione ha respinto il contestatissimo mega Decreto di Necessità e Urgenza, che adesso dovrà essere dibattuto dai deputati. 42 sono stati i voti contrari, 4 gli astenuti e 25 i favorevoli. Una sconfitta significativa per uno dei progetti più sbandierati da Milei perché rappresenta il cardine del pacchetto economico che il presidente vuol imporre al paese.

Per questo Milei intende proseguire sulla strada del preoccupante “Plan motosierra”, che prevede licenziamenti, attacchi ai salari e privatizzazioni di numerose imprese statali, da Aerolíneas Argentinas a Gps, compagnia di servizi negli aeroporti di Buenos Aires Aeroparque e Ezeiza passando per l’agenzia di stampa Télam, solo per citare i casi più noti.

La speranza che Milei possa subire una battuta d’arresto, risiede, forse, nei rapporti già problematici con la vicepresidente Victoria Villaruel. È stata lei, infatti, a chiamare alla sessione il Senato per il voto sul Decreto di Necessità e Urgenza, tanto da spingere lo staff di Milei ad emettere un comunicato ufficiale in cui si chiedeva “al Potere Legislativo di “non lasciarsi catturare dal canto di sirena di coloro che vogliono “annotarsi vittorie di breve termine a scapito del futuro dei 45 milioni di argentini”. La destinataria di questa missiva, anche se mai nominata ufficialmente, era la stessa Villaruel.

Di fronte alla crescente pressione sull’esecutivo e all’aumento del numero di scioperi e manifestazioni di piazza preoccupa, in ogni caso, la repressione indiscriminata che, puntualmente, viene ordinata dal governo Milei. Per l’Argentina, l’incubo sembra essere addirittura peggiore dell’epoca bolsonarista in Brasile.

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