Brasile: il cotone sporco di H&M e Zara
In particolare, ad agire per conto di Zara e H&M sono le aziende agroindustriali Slc Agrícola e il gruppo Horita, che si trovano nello stato brasiliano di Bahia. È così che il marchio Better Cotton, il quale avrebbe dovuto certificare il cotone come etico, è finito sotto accusa proprio perché gran parte delle attività illecite si tengono nel Cerrado, dove la distruzione della sua vegetazione, denuncia il governo brasiliano, è cresciuta quasi del 50%.
Dal Brasile all’Asia, riporta Earthsight, ha viaggiato quasi un milione di tonnellate di “cotone sporco” utilizzato per produrre capi di abbigliamento, dai jeans alle tute, fino ai calzini. Sono alcune delle famiglie più ricche del Brasile ad essere padrone del commercio e della produzione del cotone, incuranti del fatto che più della metà della regione del Cerrado sia stata stravolta dal taglio illegale di alberi e dall’agricoltura industriale, oltre che dall’avvelenamento di fiumi per l’utilizzo di pesticidi.
Contemporaneamente alla crescita della produzione di cotone in Brasile, che entro il 2030 supererà gli Usa per diventarne il primo paese esportatore al mondo, sono aumentate le espulsioni delle comunità tradizionali, cacciate dalle multinazionali dell’agrobusiness, che coltivano anche la soia, rendono impossibile la vita tramite un’economia di sussistenza e impongono la legge del più forte assoldando pistoleiros.
Better Cotton, che a sua volta certifica il cotone etico per H&M e Zara, da tempo si trova nell’occhio del ciclone per le accuse di greenwashing e mancanza di protezione dei diritti umani, nonostante l’organizzazione abbia cercato di correre ai ripari sostenendo, in risposta ai rilievi di Earthsight, che avrebbe lanciato un’inchiesta indipendente. Se indossate biancheria, abiti o utilizzate asciugamani e lenzuola di H&M o Zara, rincara la dose la ong inglese, probabilmente si tratta di materiale prodotto saccheggiando la regione del Cerrado e, per questo, invita i consumatori a desistere dall’acquisto.
I due colossi della moda, come accade spesso in questi casi, per evitare di apparire personalmente come conniventi, si limitavano ad acquistare da aziende asiatiche quel cotone fornito loro da Slc Agrícola e Horita, in modo tale da non figurare come direttamente responsabili del land grabbing e dello sgombero violento delle comunità indigene e contadine: è così che, per anni, H&M e Gruppo Inditex, che controlla Zara, Bershka e Pull&Bear, sono riusciti a farla franca.
Tra i principali fornitori di H&M e Zara vi sono PT Kahatex (indonesia), che aveva acquistato il cotone da Horita, Jamuna Group (Bangladesh) e Interloop (Pakistan): tutti, ufficialmente, si fidavano, o fingevano di farlo, della certificazione di Better Cotton, che garantiva sul basso impatto della produzione ambientale e sulle condizioni dei lavoratori che non sarebbero stati sottoposti a sfruttamento.
In uno scambio reciproco di accuse, Inditex, per tutelarsi a sua volta, ha dichiarato di prendere “molto sul serio le accuse contro Better Cotton”, invitandola a garantire una certificazione affidabile di cotone sostenibile.
Il rapporto “Fashion Crimes” è leggibile qui: https://www.earthsight.org.uk/fashion-crimes
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