Latina

Maduro passa indenne il voto del 28 luglio e si conferma alla guida del paese con il 51,2% dei voti

Presidenziali Venezuela: la conferma del chavismo

Proseguono le manovre della destra radicale, che grida ai brogli e persiste nel suo tentativo di destabilizzazione.
30 luglio 2024
David Lifodi

Presidenziali Venezuela: la conferma del chavismo

Con il 51,2% dei consensi, Maduro si conferma alla presidenza del Venezuela fino al 2031. Anche stavolta, la strategia della destabilizzazione condotta dall’estrema destra di María Corina Machado e del suo alfiere, il diplomatico Edmundo González Urrutia, fermatosi al 44,2% delle preferenze, non ha dato l’esito che l’opposizione si attendeva.

Tuttavia, nel paese, la situazione non è tranquilla. Come annunciato da mesi, a prescindere dal numero dei votanti e dallo svolgimento delle elezioni, l’ultradestra ha deciso di insistere sulla strada della denuncia della frode elettorale, spalleggiata anche dai quotidiani progressisti occidentali, compresi quelli italiani, pronti a riportare dubbi di paesi latinoamericani come Argentina o Perù, le cui presidenze sono quantomeno discutibili, ma che nessuno, a livello internazionale, si è mai sognato di mettere in discussione o del Cile, dove Boric, da tempo, ha ingaggiato un inspiegabile aspro scontro verbale con Maduro.

Ovviamente, il Venezuela non è il paradiso sulla terra, così come Maduro non è infallibile e può essere criticato, soprattutto per come si è rivolto, pochi giorni prima delle elezioni, a paesi tutto sommato affini come Colombia e Brasile, mettendo in dubbio il loro sistema elettorale, ma ciò che manca, almeno in Occidente, è un confronto sulla Rivoluzione bolivariana che non segua il discorso di odio condotto da un’opposizione poco credibile, ma, qui da noi, presentata come democratica. Alla fine, negli anni scorsi, gli stessi venezuelani che non si riconoscevano nel chavismo ne avevano abbastanza sia di governi ombra come quello di Guaidó sia delle guarimbas.

La mancanza di un’opposizione che non polarizzi il confronto sul chavismo finisce ogni volta per appiattire il dibattito sulla Rivoluzione bolivariana e così si assiste al paradosso di una destra radicale che scende in piazza, con Edmundo González Urrutia, costretto a recitare il copione (scritto da Machado) di colui che non riconosce il risultato delle urne, unico tra gli altri otto candidati a sostituire Maduro a Miraflores, come del resto era stato il solo a non voler firmare l’accordo per non mettere in discussione l’esito del voto prima del 28 luglio scorso.

Sostenuta apertamente dalla destra argentina e dal suo presidente Javier Milei, l’opposizione venezuelana più radicale ha dovuto mandar giù il boccone amaro della dichiarazione di Kamala Harris. La sfidante di Trump ha sostenuto che la decisione dei venezuelani deve essere rispettata e, a questo proposito, probabilmente, non si può non pensare che coloro hanno scelto di non votare per Edmundo González Urrutia lo abbiano fatto poiché, in pratica, non lo conoscevano, in quanto si trattava di un oscuro funzionario senza quasi alcuna esperienza politica, letteralmente costretto da María Corina Machado a gettarsi nell’agone politico, ma delegando a lei la campagna elettorale.

Inoltre, il programma del principale sfidante di Maduro si identificava, non casualmente, con quello del presidente argentino Javier Milei, all’insegna degli aggiustamenti strutturali, delle privatizzazioni e dell’incontro tra l’alta borghesia e il capitale transnazionale. Di fronte alla violenza programmata e, in parte, messa in atto dalle frange più radicali dell’opposizione nelle ore successive al voto, come documentato da Telesur tv, il governo ha puntato su una campagna elettorale dedicata alle tematiche della crescita economica, della lotta alla corruzione e all’insegna della continuità rispetto alla cosiddetta salida brusca prospettata dalla coppia Gonzalez Urrutia - María Corina Machado, quest’ultima inabilitata a candidarsi poiché, nel 2014, quando era membro dell’Assemblea Nazionale aveva assunto l’incarico di ambasciatrice del governo di Panama presso l’Organizzazione degli stati americani (Osa) chiedendo, in quella sede, l’applicazione della Carta democratica interamericana contro il Venezuela e perdendo così l’immunità parlamentare e il seggio all’Assemblea Nazionale, in quanto la legge venezuelana stabilisce che un funzionario pubblico eletto non possa accettare incarichi per conto di governi stranieri.

Peraltro, poche ore dopo il voto, a smentire la narrativa bellicosa della Plataforma Unitaria Democrática aveva provveduto il suo stesso esponente, Edmundo González Urrutia: «Los resultados eran inocultables. El país había elegido un cambio en paz». E così, mentre lo sfidante di Maduro, divagando momentaneamente dal copione che era stato costretto a recitare, gettava acqua sul fuoco, non solo le sue parole venivano del tutto ignorate dalla stampa mainstream, ma la stessa Machado insisteva nel dichiarare González Urrutia come nuovo presidente del paese con oltre il 70% dei consensi.

Grazie ad una maggioranza non schiacciante, quale è il 51,2%, e quindi difficilmente definibile come frode, Maduro resterà a Miraflores fino al 2031. Le sfide che lo attendono non sono semplici poiché sarà comunque costretto a fare i conti con con le sanzioni economiche Usa, con i ciclici tentativi di destabilizzazione delle destre, ma soprattutto dovrà adoperarsi per convivere, politicamente parlando, con un’opposizione divisa e in gran parte ancora troppo legata al golpismo e a personaggi che non si fanno alcun scrupolo nel mettere a rischio la sovranità venezuelana. Al tempo stesso, ancora Maduro, dovrà cercare di riannodare il dialogo con quell’opposizione democratica, sistematicamente cancellata da quella più oltranzista, per giungere ad una pacificazione sociale che, per María Corina Machado e suoi sostenitori, rappresenterebbe una vera e propria sconfitta.

Fino al 2031, come già annunciato in un messaggio alla nazione dello scorso 15 gennaio, Maduro si concentrerà sulle cosiddette Siete Transformaciones: economia e sviluppo di un nuovo modello produttivo per far fronte all’inflazione, promozione e sviluppo di scienza, tecnologia, istruzione e cultura, rafforzamento della sicurezza, consolidamento dei diritti sociali, miglioramento della qualità della vita della popolazione, lotta al cambiamento climatico e rafforzamento delle relazioni internazionali affinché il Venezuela entri a far parte del gruppo dei Brics.

Nei prossimi giorni, in base alle mosse dell’opposizione, il quadro potrebbe cambiare soprattutto per quella che continua a prefigurarsi come una feroce demonizzazione della Rivoluzione bolivariana in un paese divenuto terreno di scontro tra Usa e paesi occidentali da un lato e mondo multipolare dall’altro.

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