Argentina: Milei censura l'agroecologia
La denuncia della censura nei confronti di tutte quelle parole che sono utilizzate, principalmente, quando si parla di agricoltura familiare, indigena e contadina, ma non solo, proviene dall’Asociación del Personal del Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria (Apinta), che ha chiesto spiegazioni ai vertici dell’Inta senza però ricevere alcuna risposta, a partire dal no comment del responsabile della comunicazione dello stesso ente. Anche questo era prevedibile poiché agli organi di vertice dell’Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria siedono esponenti nominati dalla politica e in rappresentanza delle principali associazioni di categoria del paese schierate a favore dell’agronegozio, le cui denominazioni sono già esplicative del loro orientamento, ad esempio Sociedad Rural, Coninagro, Federación Agraria, Confederaciones Rurales, Asociación Argentina de Productores en Siembra Direct e Asociación de Consorcios Regionales de Experimentación Agrícola.
Il divieto di utilizzare termini legati all’agroecologia riguarda, in particolare, il piano strategico istituzionale dell’ente, orientato a sostenere il modello agroindustriale a scapito della sicurezza e della sovranità alimentare. È in questo contesto che si colloca anche la sconcertante richiesta ricevuta dalla ricercatrice Virginia Aparicio, che si è vista negare il diritto a diffondere i risultati della sua ricerca condotta nell’ambito del progetto internazionale “Transición Sostenible de Protección Vegetal: Un Enfoque de Salud Global”, in cui evidenziava gli effetti nocivi dovuti all’utilizzo dei pesticidi non solo sulle coltivazioni, ma anche la loro presenza nell’aria, nell’acqua e sugli stessi esseri umani.
Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Già ben prima dell’arrivo di Milei alla Casa Rosada si erano ripetuti casi simili all’interno dell’Inta. Nel 2020 l’agronomo César Gramaglia era stato denunciato da Juan Cruz Molina Hafford per aver diffuso argomenti e studi a favore delle buone pratiche dell’agroecologia e, nel 2018, gli studiosi Virginia Aparicio, Eliana Gonzalo Mayoral e José Luis Costa si videro cancellare dall’archivio digitale dell’ente la ricerca “Plaguicidas en el ambiente”, poi ripubblicata online dopo le polemiche che erano seguite all’eliminazione del loro lavoro.
La censura nei confronti dell’agricoltura familiare e dell’utilizzo dei suoi termini di riferimento si inserisce appieno nel lavoro di distruzione dell’agroecologia condotto da Javier Milei. Nei primi sette mesi di governo il presidente argentino ha praticamente tolto quasi tutti i sussidi destinati ai piccoli e medi produttori e all’agricoltura familiare, indigena e contadina. Smantellato l’Instituto Nacional de la Agricultura Familiar Campesina e Indígena (Inafci) e ridotto l’ Instituto Nacional de Tecnología Agropecuaria ad essere esclusivamente un megafono dell’agronegozio, Milei ha proseguito con una massiccia campagna di licenziamenti di tecnici specializzati nell’ambito dell’agricoltura familiare, a partire da quelli assunti con contratti a termine e, dunque, precari.
Sorto nel 2008 a seguito delle mobilitazioni delle organizzazioni popolari contadine, l’Inafci è vittima di un modello di agrobusiness esasperato e la sua chiusura rappresenta una catastrofe per molte famiglie che traevano sostentamento esclusivamente dall’agricoltura familiare. Ad essere messo in discussione in quest’ultimo periodo, per quanto possa risultare paradossale, anche lo stesso termine “agroindustria”, tolto dal Régimen de Incentivo a las Grandes Inversiones e trasformato in “foresto industria” per tutelare i signori dell’industria aceteira. L’agricoltura “dal volto umano”, che si riconosce nell’associazionismo e nel cooperativismo, viene presentata dal governo di Milei come un’attività di competenza sleale.
Lo stesso Inta, che per ora è stato abbastanza preservato dai licenziamenti, ha visto i suoi fondi diminuire notevolmente, nonostante la presenza, nel suo consiglio, di una schiacciante maggioranza favorevole a Milei. Ed è questo anche il motivo per cui il piano strategico istituzionale 2015-2030, inizialmente uno strumento per dar voce ai progetti legati alla sovranità scientifico-tecnologica, alla sicurezza e alla sovranità alimentare, improvvisamente ha dovuto modificare la sua inclinazione verso lo sviluppo sostenibile per trasformarsi in una cassa di risonanza di propaganda politica che ha beneficiato anche di trolls per mettere alla gogna sui social network i suoi ricercatori impegnati nell’ambito dell’agroecologia.
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