Violenza di genere e patriarcato istituzionale in America latina
Solo poche settimane prima, in Argentina, era scoppiato lo scandalo legato agli episodi di violenza domestica, verbale e fisica che sarebbero stati perpetrati dall’ex presidente argentino Alberto Fernández nei confronti della ormai ex compagna Fabiola Yáñez, la quale aveva ricevuto pubblicamente la solidarietà di Janja da Silva, la primera dama brasiliana. Più o meno nello stesso periodo, la vicepresidente dell’Ecuador, Verónica Abad, aveva denunciato per violenza politica di genere il presidente dell’Ecuador di fronte al Tribunal Contencioso Electoral. La stessa Abad, inviata a fine 2023 in Israele come ambasciatrice, in una sorta di trasferimento punitivo, ha dichiarato più volte che non avrebbe rinunciato al suo ruolo di vicepresidente fino alle prossime elezioni, in programma l’8 febbraio 2025.
Tre episodi simili tra loro, e per giunta consumatisi in ambito istituzionale, in poco meno di un mese, rappresentano un ulteriore segnale d’allarme per i diritti delle donne in un continente come quello latinoamericano, dove i femminicidi avvengono quasi quotidianamente.
Gli ultimi dati sono preoccupanti. Solo per citare alcuni paesi, nei primi sei mesi del 2024, in Honduras, sono state assassinate 121 donne tra i 10 e i 39 anni e, più della metà di loro, è stata uccisa a seguito di ferite dovute a colpi di armi da fuoco secondo quanto riportato dall’organizzazione femminista Centro de Derechos de Mujeres.
Il bollettino Vivas nos queremos, curato dall’Observatorio Colombiano de Feminicidios, ha denunciato ben 69 femminicidi al mese nel periodo gennaio-maggio 2024, un numero assai sopra al totale di omicidi commessi contro le donne in tutto il 2023. Non va meglio in paesi come il Cile, dove il VI Informe anual sobre Derechos Sexuales y Reproductivos riporta che la gran parte degli episodi di violenza viene commessa da persone vicine alle vittime, e il Perù, con trentamila denunce di violenza sessuale, nel 2023, contro minori di 17 anni, secondo le fonti del Ministerio de la Mujer y Poblaciones Vulnerables.
Sulla crescita dei femminicidi, come sugli episodi di violenza che hanno visto il coinvolgimento di ministri e presidenti, indipendentemente dalla loro collocazione politica, pesano inoltre le parole, ma soprattutto le azioni, di un governo come quello dell’argentino Milei, il quale non solo ha smantellato il Ministerio de las Mujeres, Géneros y Diversidades, ma non perde occasione per dichiarare apertamente il proprio negazionismo in merito alle politiche di genere.
A proposito del caso di Fabiola Yáñez, Natalia Gherardi, direttrice dell’Equipo Latinoamericano de Justicia y Género sostiene che, se non si fosse trattato del caso di un personaggio pubblico, difficilmente sarebbe venuto alla luce anche perché i pesanti tagli di bilancio abbattutisi sul Programa Acompañar hanno finito inevitabilmente per ripercuotersi su tutte quelle donne che contavano su un sostegno monetario per poter abbandonare mariti e compagni violenti. Di fronte alle difficoltà economiche dovute ad una separazione, infatti, sono molte le donne che sono costrette inevitabilmente a tornare con il loro aguzzino.
In questo contesto, l’agenda antifemminista di Milei, come quella del bolsonarismo, sono servite, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, a sdoganare definitivamente la violenza di genere, divenuta ormai trasversale a tutta la società e non più problema solo di un partito politico o della destra, come dimostrano, purtroppo, i casi del ministro Silvio Almeida in Brasile e dell’ex presidente argentino Alberto Fernández, entrambi dello schieramento progressista e trasformatisi in agenti al servizio del patriarcato a causa dei loro comportamenti.
In Brasile, su Almeida si sono abbattute le denunce di diverse donne. Il portale Metrópoles, il primo ad aver divulgato la notizia, ha spiegato che i casi di violenza di cui sarebbe responsabile Almeida risalgono all’anno scorso, ma che Me Too Brasile ha divulgato la notizia solo quando le presunte vittime dell’ex ministro hanno autorizzato l’associazione a rendere pubblici i loro casi, pur non specificando né i loro nomi né le loro età, le quali non hanno denunciato subito temendo di non ottenere un appoggio da quelle stesse istituzioni che, in teoria, le dovrebbero tutelare contro la violenza di genere.
Non a caso, Almeida, presidente dell’Istituto Luiz Gama, organizzazione impegnata per la difesa dei diritti umani, delle minoranze e delle cause popolari, ha definito le accuse assurde sfruttando la sue posizione di potere, ma ad inchiodarlo, pur non essendo intervenuta pubblicamente, anche la supposta denuncia di Anielle Franco, ministra dell’Uguaglianza razziale e sorella di Marielle Franco la consigliera municipale del Partido Socialismo e Liberdade, uccisa a colpi di pistola nel 2018 a causa del suo impegno nel rivendicare i diritti di afrodiscendenti, omosessuali, donne e favelados.
Al posto di Almeida Lula ha già scelto una nuova ministra: si tratta di Macaé Evaristo, petista, prima donna nera ad occuparsi di istruzione a Belo Horizonte, già deputata nel Minas Gerais nel 2022 e , in precedenza, nello staff di Dilma Rousseff all’epoca della sua presidenza.
“Abbiamo molto lavoro da fare”, ha detto la nuova titolare del ministero dei Diritti umani e della cittadinanza riferendosi al Brasile, ma questa sua dichiarazione può essere estesa, in ambito di violenza di genere, a tutto il continente latinoamericano, soprattutto quando sono le istituzioni a finire sotto i riflettori per aver dato un cattivo esempio.
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