Latina

L’ex presidente se ne è andato l'11 settembre scorso senza mai chiedere scusa per i crimini commessi

Perù: osceno omaggio dello Stato a Fujimori

Il lutto nazionale dichiarato dal governo rappresenta un insulto alla memoria e rivendica i delitti come una modalità di agire politico che non riconosce i diritti umani.
7 ottobre 2024
David Lifodi

Perù: osceno omaggio dello Stato a Fujimori

Lo scorso 11 settembre è deceduto l’ex presidente peruviano Alberto “el Chino” Fujimori. Alla guida del paese tra il 1990 e il 2000, noto per aver governato con il pugno di ferro, si è guadagnato tre giorni di lutto nazionale imposti dall’attuale presidenta de facto del paese Dina Boluarte.

Dopo aver sconfitto Mario Vargas Llosa, altro personaggio assai equivoco, nelle elezioni del 1990, Fujimori fu protagonista di un autogolpe nel 1992, dissolse il Parlamento e, dopo aver modificato la Costituzione, venne rieletto in una tornata elettorale dall’esito molto dubbio, per il quinquennio 1995-2000. Tra il 2007 e il 2015, dopo la sua fuga in Giappone all’inizio del suo terzo mandato, è stato estradato in Perù, dal Cile, dove si trovava all’epoca, e tra il 2007 e il 2015 è stato condannato ad un totale di 52 anni e mezzo di carcere, in più processi, dalla giustizia peruviana.

Fujimori non ha mai chiesto scusa per i crimini commessi, anzi, la figlia Keiko Fujimori, leader del partito di estrema destra Fuerza Popular, aveva già annunciato alla stampa che lo avrebbe voluto ricandidare alle presidenziali del 2026 (all’età di 88 anni, se l’avesse raggiunta) nonostante fosse inabilitato.

Sono molti i crimini commessi da Fujimori che resteranno, probabilmente, senza giustizia, a partire dalla sterilizzazione forzata di 30.000 donne (in grande prevalenza indigene), solo nel periodo 1996-1998, come denunciato da una di loro, María Elena Carbajal, a Telesur Tv nel corso del programma Los Nadies. “Non si è trattato di un fatto isolato, ma di una pratica sistematica”, ha spiegato la donna, ricordando che dallo Stato è ancora in attesa di una riparazione integrale, fisica e mentale che, probabilmente, non arriverà mai.

María Elena Carbajal ha ripercorso quello che rappresentò, per lei, un vero e proprio trauma, a partire dalla separazione con il marito, da cui era stata abbandonata poiché era convinto che fosse la donna stessa ad aver scelto di sottoporsi all’operazione per non avere figli. Le sterilizzazioni forzate avvennero soprattutto nelle zone del paese a maggioranza indigena, dove si parlava quechua e aymara. Sono stati ben 182 i casi di sterilizzazione forzata non pianificati, come lo Stato e il fujimorismo hanno sempre voluto far credere, peraltro contraddicendosi nel momento in cui giustificavano questa operazione per impedire che le donne partorissero e poi fossero costrette a far vivere i propri figli in un contesto di estrema povertà. “Las mujeres no le faltaba un pan, tenían que comer”, ha rivendicato Carbajal, non dimenticando inoltre i danni permanenti al suo organismo e a quello di molte altre donne che non ce l’hanno fatta a seguito di interventi mal riusciti.

Gli ultimi cinque governi hanno sempre rifiutato di prendere a cuore le denunce delle vittime, ha sottolineato Carbajal, ad esclusione di Pedro Castillo, che aveva dichiarato la sua volontà di aiutarle, salvo poi non fare niente di concreto, probabilmente anche per il brevissimo periodo durante il quale è stato presidente.

Prima delle sterilizzazioni forzate, Fujimori si era reso responsabile di altri crimini, a partire dai massacri di Barrios Altos (1991) e La Cantuta (1992), in cui i diritti umani erano stati palesemente violati. La strage nel quartiere di Barrios Altos, nei pressi di Lima, pianificata da Fujimori e Vladimiro Montesinos, avvenne il 3 novembre 1991 ad opera dal Grupo Colina, un gruppo paramilitare che sparò all’impazzata uccidendo 15 persone ritenute appartenenti Sendero Luminoso. In circostanze analoghe, il 18 luglio 1992, un docente universitario e nove studenti dell’Universidad Nacional de Educación Enrique Guzmán y Valle furono sequestrati e assassinati sempre dai paras del Grupo Colina, i cui membri si erano infiltrati nell’ateneo e, grazie ad alcuni delatori, li identificarono e uccisero perché considerati vicini alla guerriglia senderista. Nel dicembre 2023 Fujimori aveva goduto dell’indulto della Corte costituzionale, che gli aveva tolto i 25 anni di condanna.

A tutto ciò si aggiungono le accuse di peculato e falso ideologico, nonché la violentissima repressione contro il commando del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru, che nel dicembre 1997 aveva occupato l’ambasciata giapponese a Lima. I guerriglieri avevano preso in ostaggio oltre un centinaio di diplomatici. L’occupazione terminò il 22 aprile 1997 con l’intervento delle teste di cuoio peruviane addestrate da istruttori Usa che uccisero a sangue freddo gli emmeretistas quando si erano già arresi.

La proposta di dichiarare tre giorni di lutto, proveniente da Juan Burgos Oliveros, del partito Podemos Perú, rappresenta un ulteriore affronto per un paese che, sotto la presidenza Fujimori, ha visto crescere la corruzione in maniera dilagante. Tuttavia, nonostante la consapevolezza, anche da parte dell’attuale governo, altrettanto responsabile di repressione e violazione dei diritti umani, di rendere omaggio ad una figura quantomeno controversa e divisiva, l’Asociación Nacional de Familiares de Secuestrados, Detenidos y Desaparecidos del Perú (Anfasep) ha espresso la propria indignazione per i tre giorni di lutto nazionale.

Nel 1992 Fujimori accusò l’associazione di sostenere il terrorismo. Proprio la battaglia scatenata contro i gruppi guerriglieri, in particolare Sendero Luminoso, ha reso Fujimori una sorta di eroe sia per l’alta borghesia peruviana sia per i media conservatori e non solo, latinoamericani, ma anche europei, che dimenticano però quanto sia stato alto il prezzo per aver sconfitto i senderistas instaurando un vero e proprio regime di terrore protrattosi per molti anni.

Lo scorso 8 agosto, la cancellazione definitiva dei crimini fujimoristi era arrivata dal Congresso, che aveva promulgato la Ley de la impunidad, volta ad archiviare delitti di lesa umanità e crimini di guerra compiuti tra il 1980 e il 2002. Oggi, la santificazione di Fujimori tramite l’omaggio dello Stato serve non solo a ripulire la sua immagine, ma a cancellare la memoria storica del paese, il dolore delle vittime del fujimorismo e a rilegittimare quella bancada fujimorista capeggiata, in primo luogo, dalla figlia Keiko.

La minaccia urlata dall’altro figlio del dittatore, Kenji, “El Chino jamás va a morir. Se lo digo a los adversarios de mi padre”, rappresenta un sinistro avvertimento nel segno del negazionismo della storia e della rivendicazione dei delitti come una modalità di agire politico che non riconosce i diritti umani.

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