Presidenziali Uruguay: il ritorno del Frente Amplio
Governatore del dipartimento di Canelones fino alla primavera scorsa, Yamandú Orsi aveva scelto di precandidarsi alla presidenza del paese dopo aver ottenuto l’endorsement da Daniel Martínez, sconfitto nelle precedenti elezioni da Luis Lacalle Pou. Per l’Uruguay si tratta di un ritorno al progressismo, peraltro annunciato. Tutti i sondaggi indicavano infatti la coppia Orsi-Carolina Cosse (già sindaca della capitale, Montevideo) ampiamente favorita prima dell’apertura delle urne.
Per Orsi, proveniente dalle fila del Movimiento de Participación Popular, la sfida della presidenza si preannuncia impegnativa poiché alla Camera dei deputati, a differenza del Senato, il Frente Amplio non ha la maggioranza e questo costringerà il partito a negoziare obbligatoriamente con le opposizioni.
Tra le priorità di Orsi vi saranno sicuramente delle misure volte a contrastare il crescente senso di insicurezza che avverte la maggior parte dei cittadini uruguayani e, in politica estera, cercherà di restituire al paese la centralità nell’ambito del Mercosur. Il nuovo presidente, definito come l’alfiere di una “sinistra moderna e rinnovata”, punta ad unire il paese ed è cresciuto politicamente sotto l’ala protettrice della coppia Pepe Mujica e Lucía Topolansky.
Dopo 15 anni di governi frenteamplistas, nel 2019 Luis Lacalle Pou, alla guida della cosiddetta Coalición Multicolor, frutto di una serie di alleanze strategiche, aveva conquistato la presidenza del paese unendo Partido Nacional, Partido Colorado, Partido de la Gente e l’estrema destra di Cabildo Abierto. La sottoscrizione del Compromiso País, che all’epoca aveva permesso a Luis Lacalle Pou di sconfiggere Daniel Martínez, che pure al primo turno godeva di un vantaggio sul suo avversario ben maggiore di quello di Orsi su Delgado, stavolta non ha funzionato. Non solo Partido Nacional e Partido Colorado hanno scelto di proseguire ognuno per la propria strada, ma anche l’estrema destra di Cabildo Abierto, con il discusso ex capitano dell’esercito Guido Manini Ríos, noto per simpatizzare tuttora con la dittatura di Bordaberry (1973-1985), si è progressivamente sfilata dalla coalizione.
Orsi, che ha già promesso di essere il presidente di tutti gli uruguayani, governerà probabilmente senza particolari scossoni, nonostante già durante il dibattito presidenziale pre-ballottaggio sia stato accusato da Delgado di ascoltare troppo le richieste dei settori pubblici del paese, a partire dai docenti.
Alla vigilia del primo turno, l’economista Gabriela Cultelli, esponente, come Orsi, del Movimiento de Participación Popular, di cui è membro della Direzione nazionale, spiegava, in un’intervista rilasciata alla giornalista Geraldina Colotti: “La necessità di cambiamento, in questi giorni, si avverte di più. Ci sono stati 5 anni di corruzione costante e crescente. Un piccolo paese come questo, se la destra resta al potere per altri 5 anni, finirà per disgregarsi, con i trafficanti di droga che dilagano – la forma di capitale più aggressiva e corrotta. Ecco perché la sinistra, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni interne, è l’unica opzione per questo popolo”.
È stato proprio questo, probabilmente, che ha spinto gli uruguayani a scegliere la coppia presidenziale Orsi-Carolina Cosse, quest’ultima superata dal nuovo presidente nel corso delle elezioni interne alle coalizioni. Da un lato, quello della destra, erano schierati allevatori, i proprietari di capitali e simpatizzanti di quel potere militare che aveva fatto precipitare il paese nel Plan Condor, non a caso lo stesso conservatore Delgado ha chiuso il suo mandato con un indice in caduta libera, ma non così basso come avremmo potuto aspettarci.
Sull’altro versante, al contrario, sinistra e società civile sentivano con impazienza la necessità di un cambiamento strutturale, a partire dalle modalità di redistribuzione del reddito e della ricchezza che, peraltro, difficilmente potranno essere realizzate a breve nel paese. A questo proposito, durante il dibattito pre-ballottaggio tra Orsi e Delgado, le accuse rivolte da quest’ultimo al programma del Frente Amplio, definito “ideologico e ancorato agli anni Settanta”, sono sembrate decisamente fuori dal tempo, al pari delle dichiarazioni provocatorie del senatore del Partido Nacional, Sebastián da Silva, il quale, per vincere le elezioni, contava sul voto degli uruguayani residenti in Argentina, ritenuti “héroes libertadores que cruzan a salvar la patria. Su voto nos asegura cinco años más de normalidad, vivir tranquilos”.
Di certo, gli elettori progressisti che hanno sostenuto Yamandú Orsi si aspettano una politica che non sia caratterizzata esclusivamente dalla repressione e dalla mano dura come quella del suo predecessore, che, a seguito della crescita del tasso di omicidi nel paese era riuscito a far approvare la Luc, la Ley de Urgente Consideración, fondata su una visione esclusivamente securitaria del paese. Non è un caso che il modello seguito da Lacalle Pou fosse stato quello dell’argentina Patricia Bullrich, ministra della Sicurezza del presidente argentino Javier Milei. Nonostante tutto, la ricetta di militarizzare il territorio e costruire carceri di massima sicurezza sul modello del bukelismo in El Salvador non ha dato i risultati sperati.
Del resto, la scelta di Lacalle Pou di affidare, a lungo termine, la gestione del porto di Montevideo ad una multinazionale belga poco incline a controllare i carichi della droga che, dalla capitale partono sia verso il resto dell’America latina sia verso l’Europa, ha favorito la crescita delle narcobande.
Ora starà al nuovo presidente eletto Yamandú Orsi analizzare quali sono le modalità per risollevare il paese. Sembrano poco probabili cambiamenti radicali all’orizzonte, ma un passo diverso rispetto alla precedente gestione resta comunque necessario e urgente.
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