Latina

Rischia di arenarsi il processo contro l’ex capo di stato di stato maggiore dell’esercito

Guatemala: impunità per Benedicto Lucas García

Su di lui pende l'accusa di genocidio contro gli indigeni maya nel periodo 1978-1982, uno dei più sanguinosi nella storia del paese a causa dell’operazione Tierra arrasada (terra bruciata) lanciata da suo fratello Romeo Lucas García per sterminare le comunità indigene.
13 gennaio 2025
David Lifodi

Guatemala: impunità per Benedicto Lucas García

Risale al 2023 il rapporto divulgato dall’Unidad de Protección a Defensor@s de Derechos Humanos en Guatemala, dal titolo “Guatemala entre la dictadura y la democracia”. I dati di allora denunciavano già 9.496 aggressioni all’anno nei confronti di persone, organizzazioni e comunità impegnate a difendere i diritti umani.

All’inizio del 2025 la situazione è ulteriormente peggiorata come ha ricordato, solo pochi mesi fa, la Coordinación Nacional de Viudas de Guatemala (Conavigua), che riunisce le donne vedove di origine maya di tre dipartimenti del paese centroamericano: Totonicapán, Chimaltenango e Quiché.

Lo Stato, rimproverano Conavigua, Asociación para la Justicia y Reconciliación e Plataforma de Víctimas del genocidio, non ha mai riconosciuto le proprie responsabilità in merito ai casi di tortura, sparizioni forzate, massacri e altre violazioni di diritti umani compiute tra il 1960 e il 1996, all’epoca del periodo storico denominato “conflitto armato”, né ha mai risarcito le vittime e i loro familiari. Non sorprende, in questo contesto, la sospensione del processo contro il generale in pensione ed ex capo di stato maggiore dell’esercito Benedicto Lucas García, iniziato il 5 aprile 2024. Il militare è chiamato a rispondere all’accusa di genocidio. Tra il 1978 e il 1982, quando al governo del paese sedeva il fratello Romeo, i suoi uomini assassinarono 1.200 indigeni nell’ambito dell’operazione Tierra arrasada (terra bruciata) che, per anni, ha permesso ai militari di compiere efferati omicidi contro le comunità maya nella più completa impunità.

Problemi di salute della giudice, Lilian Patricia Ajcam, hanno di fatto interrotto il processo quando, dopo centinaia di udienze, mancavano soltanto le conclusioni per determinare la sentenza. Sui problemi di salute della giudice pesano le forti pressioni esercitate nei suoi confronti dalla lobby dei militari che vuol salvare l’ex generale dalle sue responsabilità, denunciano gli indigeni maya ixil sopravvissuti al genocidio, preoccupati per una eventuale interruzione definitiva del processo, nonché le destituzioni e i trasferimenti di magistrati ad hoc allo scopo di creare una corte favorevole a Benedicto Lucas García.

Si tratta del terzo processo per casi di genocidio in Guatemala. Il primo, nel 2013, fu contro il dittatore Efraín Ríos Montt, fautore del colpo di stato del 1982 che lo portò al potere. Montt, deceduto il 1° aprile 2018, era stato condannato dalla giudice Yassmín Barrios il 10 maggio 2023, ma solo 11 giorni dopo arrivò l’annullamento da parte della Corte de Constitucionalidad. Il secondo, risalente al 2018, confermò che in Guatemala c’era stato un genocidio contro la popolazione indigena, ma a farla franca, in quel caso, fu l’ex capo dell’intelligence di Montt, José Mauricio Rodríguez Sánchez, che, incredibilmente, non venne condannato.

È quindi per questi motivi che si teme un’interruzione del processo contro Benedicto Lucas García, peraltro già condannato nel 2018 per la sparizione dell’adolescente Marco Antonio Molina Theissen e per il caso delle oltre 550 vittime ritrovate legate mani e piedi in fosse clandestine emerso due anni prima. In quell’occasione gli erano stati comminati 58 anni di carcere trasformati, nel 2023, in arresti domiciliari.

Per quanto riguarda invece il processo iniziato il 5 aprile 2024, Benedicto Lucas García si trova in compagnia dei sodali César Octavio Noguera Argueta, responsabile delle operazioni militari e deceduto nel 2020, e di Manuel Callejas, uomo dell’intelligence, ma dichiarato inabile ad affrontare il processo a causa del Parkinson.

Secondo l’Asociación por la Justicia y la Reconciliación, l’obiettivo di Benedicto Lucas García era quello di sterminare il popolo maya ixiles. Tra i testimoni, Robert Nickelsberg, fotografo della rivista Times, sull’elicottero che sorvolava le terre maya nel Quiché insieme al dittatore Lucas García. Quest’ultimo, su ordine del fratello, dette il via libera per sparare sui civili. La sua logica, ha ricordato il fotografo, era quella di puntare i fucili su tutti coloro che fuggivano all’arrivo dell’elicottero perché, secondo i fratelli García, erano automaticamente guerriglieri o loro simpatizzanti.

Alle richieste di intervista da parte del quotidiano salvadoregno El Faro, anche alla presenza del suo staff di avvocati, Benedicto Lucas García non ha mai risposto. “Él dio la orden, él cometió los asesinatos”, ripetono i sopravvissuti ai massacri e i familiari delle vittime, ma se la memoria storica resiste manca quella giustizia legale che inchioderebbe realmente l’ex militare alle sue responsabilità, nonostante già nel 2023 fosse riuscito ad ottenere gli arresti domiciliari.

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