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Ecuador: i penitenziari di Noboa

La prigione in via di costruzione nell’Amazzonia ecuadoriana è stata bloccata dalla mobilitazione indigena e della società civile, ma per la struttura è stata decisa una riubicazione.
29 gennaio 2025
David Lifodi

Ecuador: i penitenziari di Noboa

Costruire carceri di massima sicurezza è l’ossessione di Daniel Noboa, il presidente dell’Ecuador in carica fino al 9 febbraio, quando si terranno le nuove elezioni per designare chi guiderà il paese.

Per arginare la violenza dilagante, alla quale né lui né il suo predecessore Guillermo Lasso sono stati in grado di porre rimedio, l’edificazione di penitenziari sul modello del bukelismo in El Salvador sembra essere la strada scelta dal presidente, figlio del magnate del commercio bananiero Àlvaro Noboa, in un disperato tentativo di guadagnare nuovi consensi e confermarsi a Palacio de Carondelet di fronte ad alcuni sondaggi che hanno segnalato un calo del suo indice di popolarità.

Lo scorso dicembre, dopo due settimane di proteste di piazza contro la costruzione di un carcere ad Archidona, capoluogo dell’omonimo cantone nella provincia del Napo, in piena Amazzonia ecuadoriana, Noboa ha deciso di riubicare l’istituto penitenziario a Salinas (località balneare nella provincia di Santa Elena), incoraggiato dal sindaco della città, Dennis Córdova, fermamente convinto che, per il suo municipio, «la contratación de obras es prioritaria y es sinónimo de progreso y oportunidades». Secondo il sindaco, la costruzione del carcere di massima sicurezza rappresenterebbe un’opportunità per l’intera città poiché porterebbe dei benefici dal punto di vista economico per tutta la comunità.

Il fiasco del governo, che ha dovuto cedere di fronte alle proteste della cittadinanza del cantone di Archidona e di altre località dell’Amazzonia ecuadoriana, dove per giorni si sono susseguiti blocchi stradali come forma di protesta contro la costruzione del penitenziario, è stato presentato invece da Noboa come un’opportunità di sviluppo economico per un’altra zona del paese, quella della provincisa di Santa Elena, con il giubilo del Servicio de Atención a Personas Privadas de la Libertad, che aveva assegnato l’appalto per l’edificazione dell’opera al costo di 52 milioni di dollari. Nel costo è incluso, comunque, anche l’ammodernamento del carcere di Archidona, che però non otterrà lo status di massima sicurezza.

Inoltre, a festeggiare lo scampato pericolo relativo all’annullamento dell’appalto vi è l’impresa spagnola Puentes y Calzadas Infraestructuras S.L, sussidiaria della statale China Road And Bridge Corporation, che si occuperà della costruzione della prigione, la cui inaugurazione sarebbe prevista a metà del 2025, un vero e proprio spot elettorale a pochi giorni dal voto per Noboa, fermamente convinto che la nuova struttura carceraria debba avere le stesse prerogative del Centro de Confinamiento de Terroristas salvadoregno.

L’incubo di Noboa è quello di non riuscire a trovare spazi adeguati per una popolazione carceraria inevitabilmente in crescita proprio a seguito della sua ossessione securitaria tipica del bukelismo. A protestare contro la costruzione della nuova prigione in Amazzonia sono state le organizzazioni popolari e indigene, in particolare la Confederación de Nacionalidades Indígenas de la Amazonía Ecuatoriana, ma anche enti legati allo sviluppo del turismo nella zona.

Tuttavia, anche nella provincia di Santa Elena, dove è stata spostata la costruzione del carcere con il beneplacito del primo cittadino di Salinas, è sorta un’assemblea popolare contraria al penitenziario, con la partecipazione di due consiglieri d’opposizione a Dennis Córdova e il sostegno della Junta Cívica che, in un documento, ha posto l’accento sulla problematicità di un’area già densamente popolata e, al tempo stesso, carente dei servizi minimi essenziali.

La mobilitazione contro la costruzione del carcere di massima sicurezza resta alta anche nel cantone di Archidona, nonostante il dietrofront governativo che ha comunque portato all’interruzione dei blocchi stradali. Le ragioni che hanno spinto la società civile a protestare hanno riguardato la mancata consultazione delle popolazioni archidonense, napense e amazzoniche, in barba all’articolo 57 della Costituzione ecuadoriana, dove si prevede esplicitamente di acquisire il consenso della cittadinanza, e il timore per lo stravolgimento completo del tessuto sociale nel caso in cui il progetto fosse andato in porto.

Secondo l’Instituto Nacional de Estadísticas y Censo, Napo è la provincia più povera dell’Amazzonia ecuadoriana, dove 74 abitanti su 100 vivono con meno di 3 dollari al giorno. In questo contesto l’edificazione della nuova prigione avrebbe consentito alla criminalità organizzata di mettere radici anche in un territorio dove, almeno finora, non è segnalata una presenza rilevante di gruppi di delinquenza organizzata. Il rischio che le mafie locali possano esercitare il controllo su questa zona finirebbe, probabilmente, per disgregare l’identità comunitaria dei popoli amazzonici e kichwas e mettere le mani su quell’economia informale grazie alla quale vive gran parte della popolazione, in grado di autosostentarsi soprattutto tramite la vendita dei prodotti della chakramazzonica, dai prodotti di medicina naturale al cacao fino ai proventi provenienti dal turismo comunitario.

Non è un caso che dalla provincia di Santa Elena, dove dovrebbe sorgere il penitenziario di massima sicurezza, denunciano già una crescita della criminalità registrata in altre zone del paese dove sono sorte nuove carceri. Peraltro, non si può far meno di notare che, a causa della nuova struttura carceraria, alla distruzione dei saperi ancestrali degli indigeni seguirebbero quelli legati alla devastazione della biodiversità e all’incremento della deforestazione che sono solo alcuni dei problemi più gravi delle province di Napo e dell’Amazzonia.

Il 9 febbraio sapremo se la strategia repressiva di Noboa sarà premiata nelle urne.

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