Latina

La Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza, presieduta dal Kenya, sembra inadeguata

La lenta agonia di Haiti

Il paese è in preda al caos e alla violenza, tanto da essere definito la “Striscia di Gaza del Caribe”
3 febbraio 2025
David Lifodi

La lenta agonia di Haiti

Massacri, isolamento, balcanizzazione e paramilitarismo rappresentano non solo la quotidianità, ma anche una nuova forma di governabilità ad Haiti. Lo ha scritto, nell’articolo Operación masacre en los Balcanes caribeños, pubblicato su Diario Red il 16 dicembre scorso, il giornalista Lautaro Rivara.

Sull’edizione di dicembre 2024 dLe monde diplomatique/ il manifesto, Benjamin Fernandez spiega che, di fronte alla recrudescenza delle violenze, a partire dall’omicidio del presidente Jovenel Moïse, avvenuto il 7 luglio 2021, le organizzazioni criminali che controllano l’80% della capitale Port-au-Prince hanno ucciso oltre 12.000 persone. In questo contesto, la Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza (Mmas), che ha sostituito la fallimentare Minustah (Missione della Nazioni Unite per la stabilizzazione di Haiti), con la partecipazione di contingenti militari di paesi latinoamericani, in particolare il Brasile, e macchiatasi dei peggiori crimini (dalla violenza sessuale allo sfruttamento dei minori), sembra non riuscire a migliorare la drammatica situazione sociale del paese.

Anzi, segnala ancora Benjamin Fernandez, in Africa e nei Caraibi crescono le voci critiche che definiscono la Mmas come “un’invasione militare subappaltata dalla Casa Bianca” e di “un imperialismo occidentale dal volto nero”, soprattutto a seguito dell’invio a Port-au-Prince di un contingente militare proveniente addirittura dal Kenya, nonostante ben due anni fa la Comunità caraibica (Caricom) avesse respinto l’approvazione dell’invio delle forze di polizia ad Haiti. Successivamente, a spingere i paesi aderenti a Caricom, ma anche il Kenya ed altri stati africani, a rimangiarsi la parola data, sono state le promesse di aiuti economici e cooperazione militare promessa dalla stessa Casa Bianca.

Intanto i gruppi criminali, ampiamente foraggiati da differenti fazioni del potere politico, sono progressivamente cresciuti e, in questo scenario, si è affermato un leader sanguinario come Jimmy “Barbecue” Chérizier, ex membro delle forze speciali haitiane e macellaio agli ordini del defunto presidente Moïse. Sarebbe stato lui ad adoperarsi per riunire gran parte della criminalità organizzata haitiana allo scopo di attaccare ripetutamente la Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza sostenendo che “spetta solo al popolo haitiano decidere chi deve governare”.

Di fronte ad un collasso ormai irreversibile delle istituzioni e al rifiuto di indire nuove elezioni per far dimettere Ariel Henry, attualmente primo ministro in esilio negli Usa sostenuto dall’ambigua Caricom che, a seguito di una serie di attacchi armati avvenuti nella capitale per farlo cadere si è convinta a dar vita ad un consiglio di transizione elettorale, Port-au-Prince, come del resto tutto il paese, si va configurando sempre più come una prigione a cielo aperto controllata dai paramilitari, tanto da guadagnarsi la poco ambita definizione di “Striscia di Gaza del Caribe”.

All’isolamento di Haiti hanno contribuito inoltre il divieto Usa rivolto alle compagnie aeree a stelle e strisce, a cui è stato vietato di volare e atterrare all’aeroporto internazionale della capitale, Toussaint -Louverture, almeno fino alla primavera 2025, e la politica di chiusura della Repubblica Dominicana, il cui presidente Luis Abinader, nel settembre 2023, ha deciso di chiudere l’unico passaggio di frontiera sicuro, quello di Dajabón, situato nel nord del paese.

Non è esagerato, in relazione alla precarietà della situazione ad Haiti e ai massacri ormai quotidiani, parlare di genocidio. Gli squadroni della morte, finanziati dall’elite imprenditoriale di Haiti e spesso conniventi con il regime del Partido Haitiano Tek Kale, formazione politica di orientamento ultraconservatore e sostenuta dagli Usa, puntano soprattutto alla ricchezza del paese, in particolare relativa al petrolio e all’estrattivismo minerario.

In mezzo alla guerra tra bande criminali all’inefficienza della forza multinazionale a guida kenyana, che peraltro fatica a trovare nuovi contingenti militari in grado di affiancarla, resta una popolazione stremata. Più del 50% degli haitiani è costretta a fare i conti, giornalmente, con la fame acuta, un bambino su quattro è affetto dalla denutrizione cronica e i casi di violenza sessuale contro le donne e lo sfruttamento degli adolescenti non si contano più.

Resta difficile, se non impossibile, fidarsi degli attori attualmente presenti nel paese. Gli Usa non hanno mai interrotto il commercio di armi con le organizzazioni paramilitari, così come risulta del tutto inaffidabile anche la polizia locale. In mezzo a questo dramma, lo scorso 6 dicembre la Declaración Antifascista de Caracas, nell’ambito del Congreso Mundial Contra el Fascismo, Neofascismo y Expresiones Similares promosso dal Venezuela, ha richiamato alla solidarietà attiva con Haiti ricordando la crisi umanitaria che sta vivendo e denunciando le ingerenze straniere.

Il documento, all’insegna del motto “Ante la destrucción de Haití, no más silencio”, ha ribadito l’urgenza di un piano di azione globale per salvaguardare la sovranità haitiana affinché la prima nazione libera dell’America non si trasformi nel teatro di un genocidio poiché, come ha ricordato anche il collettivo Black alliance for Peace, il principale problema di Haiti, oltre alla violenza delle pandillas, è la costante interferenza della comunità internazionale.

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