Venezuela: conto alla rovescia per il referendum
Count-down in Venezuela
Per Hugo Chavez, il bollente ma legittimo presidente del Venezuela, e per la Coordinadora democratica, l'insieme della recalcitrante e in buona parte golpista opposizione, ieri è cominciato il conto alla rovescia. L'ennesimo ma probabilmente l'ultimo, almeno sul terreno delle regole e della legalità, di uno scontro a morte cominciato nel 2000 e che ha già portato a due tentativi di rovesciarlo con le brutte: il golpe esplicito e di breve durata dell'aprile 2002 e lo sciopero golpista (soprattutto nel vitale settore del petrolio di cui è il quinto esportatore mondiale e il secondo negli Usa) durato due mesi, fra il dicembre del 2002 e il gennaio del 2003. Entrambi falliti. Dopo di che l'autoproclamata «società civile» che fa capo alla Coordinadora ha puntato tutto sul referendum revocatorio. Un meccanismo introdotto dalla costituzione bolivariana del 2000 che prevede la revoca per via democratico-elettorale del capo dello stato e dei deputati dell'Assemblea nazionale nel caso lo chieda, con apposite firme, il 20% dell'elettorato: 2.4 milioni di elettori, in Venezuela. Dopo la raccolta delle firme, fine novembre, la Coordinadora gridò al trionfo depositando presso il Consiglio nazionale elettorale (Cne) 3.1 milioni di firme. Chavez grido alla «frode». Il Cne e i mediatori-osservatori internazionali - Organizzazione degli stati americani, Centro Carter, il Gruppo dei 5 paesi amici: Brasile, Usa, Messico, Cile, Spagna e Portogallo - convalidò 1.9 milioni di firme. Le altre erano o false o dubbie. Per queste ultime - 1.2 milioni - era necessario un secondo turno di «reparo», ossia di conferma.
Una parte dell'opposizione quella più esagitata e golpista disse che era un «golpe bianco» e che non stava più al gioco. Un'altra parte, anche per i consigli degli osservatori internazionali, accettò di andare al «refirmazo». Che Chavez ribattezzò per scherno in «refraudazo». Seguirno scontri politico-giuridici lunghi e penosi fra i vari organi dello Stato accusati di essere pro o contro Chavez o la Coordinadora.
Ieri infine è cominciato il conto alla rovescia che durera fino a domenica. In questi tre giorni dovranno essere -o meno - convalidate le firme per il referendum revocatorio richiesto contro 14 deputati dell'Assemblea nazionale (uno del Movimiento Quinta Republica, la maggioranza chavista, 13 dei diversi partiti dell'opposizione). E' l'aperitivo dell'altro e più atteso «reparo» del 28-30 prossimi quando dovranno essere riconfermate - o meno - le firme dubbie per il referendum revocatorio contro Chavez.
All'opposizione mancano 5 o 600 mila firme valide per raggiungere quei 2.4 milioni che costringerebbero Chavez a sottoporsi al referendum che potrebbe scalzarlo dal palazzo di Miraflores di Caracas ben prima della scadenza naturale del suo mandato, nel 2006. Entrambi i pugili, il detentore e lo sfidante, lanciano proclami di vittoria. «Presidente Chavez, può già cominciare a preparare le valigie», ha dichiarato Antonio Ledezma, uno dei leader della Coordinadora. «Non ce la faranno. Sono sicuro di consegnare il potere, quando dovrò farlo, a un altro governo rivoluzionario», ribatte Chavez proponendosi fin d'ora come «pre-candidato» anche alle prossime elezioni che potrebbero portarlo fino al 2013.
Una prospettiva che fa accapponare la pelle alla rabbiosa e frustrata opposizione venezuelana; agli americani che vedono Chavez come il fumo negli occhi - per loro peggio di lui, in America latina, c'è solo il suo amico Fidel - e sono attivissimi nel sostenere in tutti modi scoperti e coperti l'opposizione; ai colombiani del presidente Uribe che quanto a fedeltà a Washington è il Berlusconi latino-americano.
Il referendum revocatorio, se si farà, è fissato per l'8 agosto, ultima data utile prima del 19 di quel mese quando Chavez comincerà il quarto dei suoi 6 anni di mandato e la costituzione prevede, in caso sia costretto a lasciare, non nuove elezioni ma la sua sostituzione fino al 2006 con il vicepresidente. Che è José Vicente Rangel, un chavista doc.
Cominque finisca questo round, sia lo vinca Chavez sia l'opposizione, i rischi del dopo sono grossi e crescenti. Perché, a questo punto, né il presidente legittimo né la Coordinadora dalle forti tentazioni golpiste avranno più mezzi legali a disposizione. Con gli americani - Bush o Kerry, che ha già pensato bene di sparare a zero su Chavez - a soffiare sul fuoco.
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