Latina

Cile: Pinochet alla resa dei conti

Ieri la Corte suprema cilena ha tolto al lucido «demente» l'immunità per il Plan Condor. Rovinato dai suoi «amici» La sentenza è passata, per 9 voti a 8, grazie a un'intervista a una televisione di cubani anti-castristi di Miami e all'indagine del senato Usa sui suoi depositi milionari all'estero. E dovrà rispondere anche sull'assassinio di Victor Jara
27 agosto 2004
Maurizio Matteuzzi
Fonte: Il Manifesto

Rovinato dai suoi «amici» La sentenza è passata, per 9 voti a 8, grazie a un'intervista a una televisione di cubani anti-castristi di Miami e all'indagine del senato Usa sui suoi depositi milionari all'estero. E dovrà rispondere anche sull'assassinio di Victor Jara

«Come, ci vogliono venire a raccontare che quando si tratta di ammazzare Pinochet è matto o demente ma quando si tratta di rubare è lucido?». Queste battuta, detta giovedì pomeriggio da Francisco Bravo, uno dei 7 avvocati dell'accusa, spiega meglio di qualsiasi dotto ragionamento giuridico perché, ieri mattina, la Corte suprema di Santiago ha deciso di togliere l'immunità al vecchio macellaio. Che ora, perseguito dall'ostinato giudice Juan Guzman, potrebbe essere chiamato a rispondere per un altro dell'infinità di crimini di cui si è macchiato nei 17 anni della sua dittatura, dal `73 al `90. Quella di ieri è stata la (momentanea) conclusione di una storia cominciata dal giudice Guzman che stava indagando sul ruolo di Pinochet nel Plan Condor, il piano di sterminio degli oppositori proposto (e praticato) sul finire del `74 da Pinochet ai suoi colleghi generali di Brasile, Argentina, Uruguay, Bolivia e Paraguay. Guzman aveva mandato la richiesta di «desafuero» - la revoca dell'immunità di cui Pinochet gode in quanto ex-capo di stato - alla Corte d'appello di Santiago. Che il 28 maggio, anch'essa a sorpresa, l'aveva accolta.
«La precedente sentenza della Corte d'appello è confermata», ha detto laconico il portavoce della Corte suprema. Una decisione difficile e una votiazione stretta: 9 sì contro 8 no. Ma quanto basta perché il vecchio malefico si ritrovi di nuovo sulla strada che credeva di avere chiuso per sempre grazie all'impunità di cui presumeva di godere e che proprio la corte per due volte gli aveva garantito sulla base della «demenza senile». Quella stessa diagnosi che gli aveva consentito, il 2 marzo del 2000, di tornare (dopo 17 mesi di detenzione) da Londra a Santiago anziché essere spedito a Madrid dove lo attendeva il giudice Baltazar Garzon per processarlo per terrorismo, omicidi e torture.
Fuori della Corte, commozione e giubilo.
La battaglia continua anche per gli avvocati della difesa di Pinochet che hanno già annunciato il ricorso, di nuovo, alla Corte suprema quando il giudice Guzman avrà riaperto l'inchiesta contro di lui. Non va dimenticato che nei 6 anni in cui il giudice Guzman - un cattolico moderato di grande prestigio - ha cercato di portare Pinochet alla sbarra, è andato sempre a sbattere contro la «demenza senile» sancita in ultima istanza dalla Corte suprema. Anche quando, nel 2001, dopo una precedente revoca dell'immunità per il caso noto come «la carovana della morte» - lo sterminio di 75 oppositori ordinato da Pinochet dopo il golpe del `73 -, lo mandò agli arresti domiciliari per 6 settimane.
Ma la decisione di ieri ha un valore enorme, storico e come tale va celebrata.
Ed è tanto più dolce pensare che a rovinare Pinochet siano stati, indirettamente, due dei suoi più ferventi ammiratori dei tempi belli (per lui): gli americani da un lato e gli anti-castristi cubani di Miami dall'altro.
La prova che ha fatto propendere per il sì 9 giudici della Corte suprema è stata il testo dell'intervista al «demente» Pinochet fatta dalla giornalista cubana Maria Elvira Salazar e diffusa il 24 novembre 2003 su una delle Tv della comunità anti-castrista di Miami. Nell'intervista l'ex dittatore ripeteva con estrema lucidità e protervia tutto l'armamentario di bestialità del suo repertorio. Che avrebbe rifatto tutto quello che ha fatto, che lui si sentiva «un angelo» e che i suoi nemici «marxisti» erano dei «diavoli» e via blaterando. Gli avvocati dell'accusa hanno allegato alla trascrizione dell'intervista un parere clinico che tre neuropsichiatri hanno redatto sulla base delle risposte di Pinochet: «discorsi coerenti» «adeguato maneggio del linguaggio». Conclusione: niente a che vedere con il «discorso vuoto che è proprio dei pazienti che soffrono di demenza». Inutile l'estremo tentativo della Salazar che, accortasi dell'autogol, ha spedito una lettera alla Corte in cui assicura che sì, il generale le era apparso piuttosto demente.
L'altra botta contro Pinochet è venuta, sia pure indirettamente, dagli (ex) amici nordamericani. Ed è la storia recentissima dei conti segreti su cui ha indagato un sottocomitato del senato Usa e che ha avuto un effetto devastante sull'immagine dell'ex dittatore sempre sbandierato dalla destra cilena e internazionale come un duro ma puro. Transazioni per decine di milioni di dollari effettuate di persona da Pinochet fino al 2002 di certo e probabilmente fino a oggi. E' stato questo che ha provocato la «battuta» dell'avvocato Francisco Bravo. Pinochet e tutta la sua vorace famiglia sono ora sotto inchiesta anche per frode fiscale, arricchimento illecito e malversazione di fondi pubblici e il «demente» potrebbe essere privato dell'immunità, su richiesta del giudice Sergio Muñoz, e rischia il processo oltre che come efferato assassino, anche come volgare ladrone.
Come se non bastasse (e non basta) mercoledì un giudice ha citato Pinochet come testimone (per il momento) nell'assassinio del cantautore Victor Jara. Jara fu preso, portato allo stadio di Santiago che fungeva da mattatoio nei giorni successivi al golpe, gli furono tagliate le mani e poi fu assassinato.
Che 31 anni dopo sia venuto il tempo della giustizia per il generale fellone che tradì Allende? Fu il 23 agosto del `73 che Allende scelse Pinochet come nuovo capo dell'esercito credendolo leale. Lunedì l'esercito gli ha reso omaggio per ricordare l'anniversario

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