Latina

Colombia: a Bogotà l'esercito mira agli attivisti

Svelato un piano delle forze armate che prevedeva l'uccisione di 85 esponenti della sinistra colombiana. Il silenzio di Uribe: nessuna reazione del presidente alla rivelazione. Tra le vittime designate anche il popolare sindaco della capitale Lucho Garzón
31 agosto 2004
Guido Piccoli
Fonte: Il Manifesto

Non era un mitomane. I dirigenti del sindacato delle municipalizzate di Cali lo capirono quando lessero i documenti «riservati» del Comando del servizio segreto militare contenuti in un Cd, consegnato loro da un uomo che non si era voluto identificare quando si era presentato in sede martedì scorso. Il presidente di Sintraemcali Luis Hernandez Monrroy e l'attivista dei diritti umani e consulente sindacale Berenice Celeyta Alayon scoprirono di essere tra le vittime designate della cosiddetta «Operazione Dragone», un piano di sterminio progettato all'interno delle forze armate, di esponenti politici, sindacalisti, attivisti umanitari e giornalisti. Tra gli ottantacinque nomi che appaiono nei documenti ci sono tutti i leader del Polo democratico e del Fronte sociale e politico, i due maggiori movimenti della sinistra colombiana, tra i quali il sindaco di Bogotá Lucho Garzón e l'ex magistrato Carlos Gaviria, probabile candidato presidenziale nel 2006, e il governatore della regione del Valle Angelino Garzón. Per i nomi scritti in rosso, ritenuti collaboratori o integranti delle formazioni guerrigliere, viene proposta una lugubre quanto chiarissima «misura drastica». Secondo i documenti, contenuti nel Cd, l'«Operazione Dragone» coinvolge, oltre alla terza brigata dell'esercito di stanza a Cali, i comandi locali e nazionali di varie polizie segrete, il ministero della difesa, anche la sovrintendenza dei servizi pubblici e il vertice della municipalizzata di Cali, impegnato in un processo di privatizzazione bloccato finora da una fortissima resistenza sindacale. Visto che nei documenti «top secret», venivano indicati altri centri operativi del piano criminale, i dirigenti sindacali sono riusciti a imporre ad un giudice una serie di intercettazioni e perquisizioni in varie città colombiane (non rivelando la loro preziosa fonte, definita impietosamente «un morto che cammina»).

In una perquisizione, realizzata a Medellín, è caduto uno degli uomini chiave della vicenda, Juliano Villate, allo stesso tempo tenente colonnello in servizio e impiegato di una delle maggiori società di consulenza aziendale del continente, la Consultoria integral latinoamericana, impegnata nei processi di liquidazione di gran parte delle imprese pubbliche colombiane. Secondo quanto trapelato, l'ufficiale avrebbe sostenuto di lavorare per una ricerca sulla «soluzione dei conflitti sindacali» soprattutto nella municipalizzata di Cali, nella cui vertenza è coinvolto da anni il presidente Alvaro Uribe: il più deciso promotore della ricetta neo-liberale ha partecipato personalmente una dozzina di volte alle infuocate trattative aziendali.

«Se ci succede qualcosa tutti sappiamo che il responsabile è Uribe» ha affermato in una conferenza stampa Wilson Borja, deputato del Fronte sociale politico gravemente ferito, quand'era un dirigente sindacale, in un attentato realizzato da militari e paramilitari nel dicembre 2000. L'unico segno di reazione governativo allo scandalo è stato il rafforzamento delle scorte di alcuni esponenti politici, minacciati di morte.

Qualcuno, come Berenice Celeyta, ha preferito comunque farsi proteggere dagli «scudi umani» dell'organizzazione Peace Brigades. Non c'è dubbio che Uribe tenterà d'insabbiare l'inchiesta con la complicità di un'amministrazione giudiziaria che, a partire dal vertice di una Fiscalía infiltrata di paramilitari, ha da tempo rinunciato ad ogni etica per giustificare qualunque nefandezza, fatta in nome della cosiddetta «lotta al terrorismo». Lo scandalo scoppiato dimostra la volontà di proseguire nello sterminio dei sindacalisti, rimasto finora clamorosamente impunito: secondo un rapporto della Commissione interamericana per i diritti del lavoro, con sede a Washington, si è ottenuta giustizia solo per cinque dei quattromila omicidi di sindacalisti realizzati in Colombia tra il 1986 e il 2002. Ma ricorda soprattutto che l'omicidio rimane l'opzione preferita dello stato colombiano per impedire qualunque possibilità di cambio sociale e politico nel paese. Se è vero, come ha affermato il sindaco di Bogotá Lucho Garzón, che «non c'è niente di nuovo in questo piano criminale», è significativo che minacci di sterminare l'intero schieramento impegnato a ostacolare la possibilità di rielezione di Alvaro Uribe.

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