Conversazione impertinente con José Saramago
Dov’è il busillis, l’inciampo, lo sconfacente sconfiffero per José Saramago? E’ nella crisi delle democrazie costituzionali bene ordinate, ci racconta.
Qui sta l’impasse di quella forma di governo, la democrazia, che guarda ai cittadini come soggetti liberi di agire nei limiti della ragione pubblica e, perciò, nell’ambito della ragione pubblica, liberi di optare fra quelle visioni del mondo che s’informano a una concezione del bene integrale. Che significa entro i limiti di un confronto dove nessuno pretenda d’imporre agli altri la propria visione per intero.
“La democrazia non è tale se non applica tutti i criteri della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – chiarisce lo scrittore premiato nel 1998 con il Nobel, col quale conversiamo in occasione dell’uscita del suo libro Saggio sulla lucidità (Einaudi) - e non ci può essere alcun rispetto per i diritti umani se non c’è la democrazia. Ma c’è un altro grande problema se vogliamo parlare della crisi della democrazia, e della mancanza assoluta di un dibattito veramente serio sulla questione, ed è lo stato di subordinazione della politica asservita al potere economico. Se noi ignoriamo che il potere politico è subordinato al potere economico e non facciamo qualcosa per ribaltare questa situazione, non arriveremo a capo di un bel niente. E’ incontrovertibile, la deriva sta sotto gli occhi di tutti“.
Così, senza né ai né bai, Saramago suggerisce un modo, diciamo poco ortodosso, ma legalissimo, di protestare - a suo dire - ululando. Il modo è descritto nel Saggio sulla lucidità. Il romanzo narra la storia fantasmagorica di una capitale “x” dove hanno luogo delle elezioni amministrative e oltre l’ottantatrè per cento dei cittadini vota scheda bianca. Il che è un’opzione democraticamente consentita, in nulla sovversiva, secondo il diritto, ma che in simili proporzioni può davvero bloccare l’attività delle istituzioni politiche “molto di più di qualsiasi manifestazione di protesta nelle piazze, nella cui efficacia da tempo non credo più” precisa lo scrittore. Si riferisce, ovviamente, alle proteste avvenute un anno e mezzo fa, in numerose nazioni, contro la decisione angloamericana d’intervenire in Iraq attraverso la guerra.
Saramago non è nuovo a diffondere, mediante la trama delle sue opere, messaggi provocatori come questi, ma forse è la prima volta che nello spirito giocoso di questo autore si denota un vero e proprio pessimismo per le sorti del mondo. Un futuro noir, spacciato, senza mezzi termini.
Nelle città di Pericle e Demostene abbiamo già incontrato il cittadino-animale politico, caro ad Aristotele. Saramago, però, lo vorrebbe, letteralmente, cane. “Ci sono cani e cani, naturalmente. Io adoro i cani e ho un ottimo rapporto con loro. Anzi, ne accudisco parecchi nella mia casa di Lanzarote”, ci confida. Saramago vive alle Canarie, infatti, anche se trascorre molti mesi all’anno a Madrid, dove la sua seconda moglie cura l’editing spagnolo dei suoi libri, che lui scrive nella sua lingua madre, il portoghese.
“Il cittadino-cane ha il diritto di latrare, ma io vorrei che ululasse, anzi, vorrei che ululassimo tutti insieme, come nel Libro delle Voci” (un’altra delle sue invenzioni, ma noi non abbocchiamo). Quella corale canina sarebbe indirizzata contro la rovina cui andiamo incontro, contro le ingiustizie e l’incuranza per il rispetto dei diritti umani. “Dopo aver latrato, e qualche volta esserci anche morsicati l’un l’altro, penso che un ululato universale potrebbe risvegliare le coscienze. Io, però, vorrei precisare, penso a un mondo di cani lucidi, informati, consapevoli, dove non c’è bisogno di alcun padrone”.
Sulla questione della crisi della democrazia, da James Fishkin a Bruce Ackerman, due importanti studiosi americani di governance, cui è opportuno aggiungere il danese Mogens H. Hansen, sono state delineate molte teorie che intendono affrontare il problema del miglioramento della qualità della partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica e il loro coinvolgimento nelle decisioni politiche. Un punto focale è, ad esempio, la questione della funzione dell’opinione pubblica su questi processi, anche se bisogna prendere atto che non è la maggioranza dei cittadini a esprimere una forte esigenza di venire coinvolta direttamente e su ogni questione. Tant’è vero che a osservare gli indicatori su questa materia, oggetto di vari sondaggi, si nota come crescano il disinteresse per la vita politica, l’astensionismo elettorale, il risentimento e talvolta il disprezzo nei confronti dei politici o dei politicanti.
Potrebbe essere, ad esempio, che la democrazia non riesca a liberarsi da quel perenne senso d’insoddisfazione che la accompagna fin dalla sua prima ora, quasi fosse il rovescio della sua medaglia? Potrebbe essere che in quell’esercizio del diritto di lamentarsi molti cittadini esauriscano, per così dire, tutte le loro cartucce? Saramago, che non crede che questo sia un male della democrazia e, anzi, ritiene che il diritto di lagnarsi sia una virtù esemplare, è convinto però che l’allontanamento di gran parte dei cittadini-cani dalle cose della politica sia da attribuire al fatto che quasi tutte le discussioni vertono su argomenti molto lontani dai veri bisogni delle persone.
“Cito un esempio: se l’amministrazione pubblica decide dopo una lunga manfrina di depurare il tratto cittadino di un fiume che attraversa la città, inquinato, maleodorante, bacillico, lo fa in quel percorso e basta, per poi scoprire che il fiume continua a trasportare l’inquinamento in città. Ma il motivo di questa disillusione è ovvio: bastava andare ad analizzare la sorgente del fiume per scoprire che la contaminazione partiva di lì. Ecco, il cittadino si è stufato di vedere il ripetersi di questo meccanismo vecchio come il cucco ed è per questo che non tutti hanno voglia di partecipare, né di scendere in piazza”.
Insomma, non crede che estendendo il concetto di deliberazione, fino ad arrivare a sondaggi informati, sondaggi discorsivi e giornate quali il Deliberation Day, come suggeriscono Fishkin e Ackerman, si potrebbe riportare la pratica della democrazia sulla buona strada e riacchiappare per le orecchie quei cittadini esasperati che lui vorrebbe, letterariamente parlando, aizzare verso una massiccia protesta a colpi di scheda bianca, per la serie “adesso ti faccio vedere io”? “No e poi no – risponde Saramago l’impenitente -. L’informazione è già troppo drogata dalla propaganda e più informazione non equivale affatto a buona informazione. E poi, l’opinione pubblica non è affatto pubblica. E’ semplicemente l’opinione di un numero limitato di persone”.
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