Colombia, la destra scopre i paramilitari. E ne ha paura
«La Colombia è nelle mani dei paramilitari». A denunciarlo non sono gli attivisti dei diritti umani o gli esponenti superstiti della sinistr ma El Tiempo, l'organo indiscusso dell'oligarchia nazionale e di proprietà di una famiglia rappresentata in quasi tutti gli ultimi governi (adesso dal vice-presidente Francisco Santos, la «faccia pulita» dello staff di Uribe). Sebbene non riveli nulla di nuovo sul fenomeno paramilitare, la denuncia rappresenta una svolta clamorosanella vita politica colombiana. Non solo perché racconta verità finora ufficialmente negate, come l'attività svolta da vari deputati in rappresentanza delle Autodefensas, la penetrazione delle Auc nelle istituzioni regionali, grazie all'opera di fedelissimi governatori e sindaci, o l'esistenza di ospedali pubblici usati per la cura dei paras feriti in battaglia. Sostenendo che quello che si vede è appena la punta di un iceberg che può portare la Colombia a fare la fine del Titanic, la direzione de El Tiempo afferma che il fenomeno paramilitare va ben al di là dell'attività criminale: i suoi 49 Bloques sarebbero passati in un terzo dei municipi del paese «dal controllo militare al controllo sociale», con l'imposizione di un «modello economico agrario, clientelare, basato sul valore della proprietà e con relazioni di tipo feudale».
Secondo le testimonianze riportate degli stessi capi paramilitari,il potere delle Auc sarebbe assoluto sulla Costa caraibica e tra le cordigliere a ridosso del rio Magdalena ( dove non esisterebbe più nemmeno l'ombra di un oppositore politico). In via di consolidamento in altre regioni, come quelle nord-orientali e alcune meridionali, lungo la costa pacifica, la strada Panamericana e in alcune grandi città come Medellín, Cucuta, Santa Marta, Valledupar e Barrancabermeja. E solo iniziale e limitato ad alcuni centri urbani, in quelle pre-amazzoniche. In varie zone, come negli Llanos orientali, i maggiori problemi per i paras sarebbero originati più dai loro conflitti interni (e dei profitti del narco-traffico), che dagli attacchi della guerriglia, confinata nelle zone rurali più isolate.
Un quadro abbastanza veritiero con un grande omissis: El Tiempo evita di spiegare come un esercito composto realisticamente da meno di diecimila uomini riesca a dominare gran parte del paese. Nasconde il «cuore del problema», cioé la connivenza e l'appoggio ai paras da parte degli apparati dello stato centrale. Non una parola sulle lodi tessute per decenni da El Tiempo della cosiddetta «resistenza spontanea agli abusi della guerriglia» e sulla celebrazione come «capitale antisovversiva della Colombia» della cittadina di Puerto Boyacà dove, a metà degli anni ottanta, cominciò la caccia ai «rossi» per opera dei comandanti militari della zona, dei latifondisti e dei narcos del calibro di Pablo Escobar.
Sorge una domanda spontanea: chi potrebbe mettere un freno al «mostro»? Non certo Alvaro Uribe, permeato fino al midollo dall'ideologia paramilitare, come dimostra la sua storia personale, la carriera politica e lo stesso programma di governo basato sul coinvolgimento della popolazione civile nel conflitto interno. Nei giorni scorsi, lo stesso Uribe ha sottolineato il pericolo che i guerriglieri occupino gli spazi lasciati dai paras nel loro processo di smobilitazione. Come a dire, che questi ultimi sono ancora necessari. Per ora il governo di Bogotà si ostina a negare con veemenza la «paramilitarizzazione» del paese. E comunque rifiuta ogni sospetto di connivenza affermando, come ha fatto il ministro degli Interni, «che il fenomeno paramilitare non è nato il 7 agosto 200» (cioè il giorno dell'insediamento di Uribe). E' ancora meno immaginabile che s'impegnino a fermare l'espansione dei paramilitari le Forze armate colombiane, che negli ultimi decenni li hanno considerati i più preziosi alleati contro la guerriglia. A riprova delloloro imparzialità verso tutti i gruppi illegali, i militari sbandieranol'aumento del numero di paras uccisi e catturati, nascondendo però che la gran parte di questi appartengono ai gruppi dissidenti del vertice delleAuc, colpiti per rispettare un patto evidente di Uribe prima con Castaño e ora con Mancuso.
Anche se tardiva e sostanzialmente sterile, la presa di posizione de El Tiempo rappresenta comunque un ulteriore ostacolo al progetto di legalizzazione delle Auc, con annesse impunità e legittimazione dei loro bottini di guerra. Contro il presidente colombiano non vengono risparmiati colpi bassi. Dopo il dossier del 1991 della Dia, che piazzava Uribe in unalista di narcos e mafiosi, pubblicato nel luglio scorso dal settimanale Newsweek, qualcuno interno allo stato colombiano ha passato alla rivista Semanala registrazione di un incontro svolto a Santa Fé de Ralito tra il delegato governativo Luis Carlos Restrepo, e il vertice delle Auc. La rivelazione degli stratagemmi progettati da Uribe per evitare ai capi paramilitari sia l'estradizione negli Usa, dove sono richiesti come narco-trafficanti, soa un eventuale processo nella Corte penale internazionale come criminali di guerra ha aumentato di molto il nervosismo a palacio Nariño. Sono in molti ormai a scommettere sul fallimento della trattativa con le Auc. Sebbene continuino ad andare d'amore e d'accordo, Uribe e Mancuso & soci non sembrano più in grado di conciliare i loro sponsor: da una partegli Usa e il potere tradizionale colombiano e dall'altra la mafia della droga, che teme di diventare la vittima sacrificale del negoziato. E poi non è detto che Uribe e il vertice militare siano così convinti che il «mostro dalle mille teste» abbia fatto il suo tempo.
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