Biopirati all`assalto del Brasile
Il 30 settembre 2004 il `Jornal de Brasilia` titola: «Azienda Usa vende campioni Dna di tribú brasiliane per 85 dollari». La notizia é vecchia di 8 anni, ma basta e avanza per riaprire il dibattito sul fenomeno della cosidetta «biopirateria», che coinvolge soprattutto l’Amazzonia, ma anche altre regioni del Brasile. Questa pratica, che affonda le proprie radici nel diciannovesimo secolo, consiste nel furto per uso commerciale di risorse intellettuali (conoscenze e tecniche curative degli indios), biogenetiche o biologiche delle regioni ricche in biodiversità. Il «biopirata», sia esso persona fisica o istituzione, persegue il controllo esclusivo di queste risorse o conoscenze, a prescindere da qualsiasi forma di autorizzazione dello stato o della comunità tribale guardandosi bene dal proporre qualche forma di ripartizione dei benefici ottenuti o ottenibili. Il termine fu usato per la prima volta - era il 1993 - dalla Ong Rafi (oggi Etc-Group), ma ancora permangono divergenze sul significato da attribuirgli.
La giustificazione addotta dal biopirata ruota intorno a frasi del tipo: «Se un giorno si troverà un vaccino contro l’Aids, sarà in Amazzonia». E con questi argomenti le grandi compagnie e i laboratori farmaceutici si introducono nella foresta amazzonica. Generalmente non lo fanno in prima persona, preferendo contattare trafficanti brasiliani che travestono immancabilmente da turisti appassionati di funghi, piante o animali. In altri casi acquistano aree di bosco tropicale allo scopo di procedere a classificazioni delle specie e sperimentazioni varie. Oppure fanno lavorare la fantasia e inventano scuse per accedere alle comunità indigene e farsi affidare risorse biologiche o biogenetiche. A difendere i diritti degli indios brasiliani due soli strumenti giuridici. In primo luogo la Convenzione Ilo 169 per la protezione dei popoli indigeni, firmata solo da 17 stati, Italia esclusa. Quindi la Convenzione sulla biodiversità, predisposta durante la Conferenza Onu sull’ambiente, nel ’92 a Rio; é stata ratificata dal Congresso brasiliano nel’94 ed é attualmente in vigore. La normativa impone una ripartizione giusta ed equitativa dei benefici che derivano dall’uso delle risorse genetiche ed afferma il diritto sovrano degli stati sulle varie forme di «diversità biologica» presenti nel proprio territorio.
La notizia rilanciata: sangue indio in vendita sul web
Il Jornal de Brasilia, riproponendo una vicenda del ’96 capace ancora adesso di mettere in crisi le coscienze, ha riaperto il dibattito sulla biopirateria. Del resto ancora oggi, al ragionevole prezzo di 85 dollari, é possibile acquistare sul web campioni di sangue indigeno appartenente alle tribú Karitiana e Suruí, che vivono nello stato di Rondonia. Una vignetta pubblicata dal `Jornal da Ciência` nel novembre 2003
a. É sufficiente cliccare sul sito della Coriell Cell Repositories, impresa di biotecnologie che ha svolto molte ricerche sul genoma umano ed ha sede in New Jersey. La procedura per l’acquisto é piuttosto semplice: si compila un formulario e si invia, per fax o e-mail, alla sede del laboratorio insieme alla ricevuta del pagamento. Viene comunque specificato, in un sussulto politicamente ed eticamente corretto, che non tutti i comuni mortali possono lanciarsi nel macabro acquisto; l’acquirente dovrà infatti dipendere da organismi che fanno ricerca medica, educativa oppure industriale, limitatamente all’area della salute.
La Coriell Cell inaugura la “vendita” nel 1996, e nello stesso anno, grazie alle rivelazioni dell’antropologo della Fiocruz, Carlos Coimbra, la procura della Repubblica fa partire le indagini. Nel 1997 la camera federale crea la commissione esterna di biopirateria dell’Amazzonia, al fine di investigare questo caso e casi analoghi. Ma solo nel 1999, per merito del docente di psicologia Stanley Krippner, la vicenda viene portata all’attenzione del pubblico mondiale. Secondo quest’ultimo «le aziende di biotecnologie mirano a scoprire perché gli indios sembrano immuni a malattie tropicali e come riescano a vivere in condizioni climatiche estreme. Con tali informazioni brevettano farmaci che dovrebbero essere in grado di rafforzare le difese immunitarie di soldati che combattono in zone del mondo con condizioni climatiche e presenza di malattie analoghe». Ma le indagini della procura avanzano molto lentamente, infatti solo nel 2002 il Pubblico ministero federale intenterà una «azione civile pubblica» presso la Giustizia federale.
A essere coinvolti, il medico brasiliano Hilton Pereira da Silva e la statunitense Denise Hallak, che avrebbero convinto gli indios a donare sangue mentendo loro che lo avrebbero impiegato in ricerche per il trattamento di malaria, anemia e vermi. Secondo la deposizione di Pereira presso la commissione di biopirateria dell’Amazzonia, egli stesso sarebbe entrato in contatto con gli indios karitiana. Avrebbe accompagnato una squadra televisiva britannica al servizio di Discovery Channel, che all’epoca stava producendo un documentario sulla leggenda del Mapinguari, mostro mitologico dell’Amazzonia. Il rilancio della notizia da parte del Jornal de Brasilia ha comunque saputo generare una nuova ondata di reazioni a catena. Cosí il deputato socialdemocratico Antonio Carlos Mendes Thame, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) sulla biopirateria recentemente creata, dichiara: «Questo é un assurdo, un affronto alla sovranitá nazionale». E aggiunge che denuncerà il caso alla polizia federale e al ministero degli Esteri e che lotterà per l’approvazione di norme che stabiliscano pene rigide per i biopirati.
Rincara la dose Jorge Barbosa Pontes, capo della divisione ambientale della polizia federale, affermando che i fatti, più che rappresentare un episodio di biopirateria, integrerebbero a tutto tondo il delitto di traffico d’organi. Un caso analogo a quello appena citato vede coinvolto il governo islandese e l’azienda statunitense De Code; in pratica il primo avrebbe venduto all’”azienda” biotec le informazioni genetiche dell’intera popolazione islandese. Del resto, se la normativa brasiliana proibisce il brevetto di geni umani, negli Stati Uniti la pratica é permessa. Una delle voci più autorevoli nel campo della biogenetica, il professor Salzano dell’Istituto di bioscienze dell’universitá federale di Rio Grande do Sul, così commenta i fatti: «Bisogna fare una distinzione. Lo studio del Dna ha due sbocchi molto diversi. Una cosa é la ricerca accademica pura, senza fini di lucro, altra ben diversa é l’attuale tendenza all’uso dell’informazione per fini commerciali. Sono contrario a qualsiasi sfruttamento commerciale e all’acquisto di brevetti sul Dna umano; ma tutto ciò é cosa ben diversa rispetto all’uso del Dna per fini accademici. Si tratta di materiale molto prezioso, con una serie di informazioni importanti per lo studio biologico dell’uomo e della storia di determinati gruppi».
Il caso: Conrad Gorinsky, professore ad Oxford, biopirata in Brasile
Se a un brasiliano si parla di «biopirati», il primo nome che gli verrà in mente sarà quello del chimico inglese Conrad Gorinsky, docente a Oxford, presidente della Fondazione per l’etnobiologia di Londra, nonché titolare dell’azienda chimico-farmaceutica Biolink, insieme alla societá canadese Greenlight Comminications. Gorinsky, nato nello stato federato di Roraima da padre inglese e madre india, vive sino a 17 anni a stretto contatto con la comunità di indios wapixana, potendo così avere facilmente accesso a vari tipi di conoscenze tradizionali della tribù. É quindi semplice per il chimico inglese brevettare su scala mondiale i diritti di proprietà intellettuale su due composti medicinali estratti da piante usate dagli indios.
Dopo aver depositato, nel 1997, i tanto sudati brevetti presso il competente ufficio europeo, Gorinsky si dedica all’aspetto commerciale dell’operazione. Ormai titolare dei diritti di sfruttamento su questi prodotti farmacologici, fonda l`azienda farmaceutica Biolink al fine di venderne i diritti di produzione commerciale a due giganti mondiali dell’industria chimico-farmaceutica, la Glaxo Wellcome e la Zêneca. Il «caso Gorinsky» desta subito le coscienze, soprattutto perché la produzione di questi farmaci su scala commerciale esclude da qualsiasi profitto economico le comunità indigene. La Funai e gli stessi Wapixanas, aiutati in ciò da ong di vari paesi, ricorrono quindi presso la magistratura britannica al fine di annullare la valenza dei brevetti nel Regno Unito. L’Ufficio britannico dei brevetti deciderà poi di annullare il brevetto di una delle due sostanze, il “Cunaniol”, ufficialmente per la mancanza del requisito della “novitá”.
Conrad Gorinsky deve comunque parte della sua popolarità alle risposte spiritose e provocatorie rilasciate nel corso di una famosa intervista. Quando gli viene chiesto se conosce la conosce la Convenzione sulla biodiversità, se sa che si sta appropriando di conoscenze tradizionali, se non prova rimorso per non retribuire conoscenze tanto antiche, risponde: «Conosco tutto questo. Conosco molto bene la Convenzione; seguo questo tema da molti anni». E poi: «Perché dovrei pagare royalties per i brasiliani, perché i vostri politici rubino dei soldi?». Gorinky ha brevettato due composti farmacologici, il rupununine ed il cunaniol. Il primo viene estratto dai semi dell’albero bibiru (detto anche beberu, biruru e biribiri), il cui nome scientifico é Octotea rodioei; il rupununine ha effetto anticoncezionale, inibisce la crescita dei tumori, e secondo Gorinsky sarebbe anche in grado di controllare il virus dell’aids. Il cunaniol, che gli indios usano come veleno nella pesca ed é estratto dalle foglie di mandioca-cunany (Clibadium sylvestre), é uno stimolante (per Gorinsky il piú potente) del sistema nervoso centrale e neuromuscolare. É efficace per risolvere situazioni di blocco cardiaco e come anestetico negli interventi chirurgici ove é necessario `addormentare` il sistema cardiocircolatorio.
L’attualitá: 58 anni, tedesco, e con 500 uova di ragno in valigia
Il 25 settembre il biologo e medico tedesco Carsten Hermann Richard Roloff, di 58 anni, viene arrestato dalla polizia federale presso l’aeroporto di Brasilia. Motivazione: sorpreso con 500 uova di ragno in valigia. Ipotesi di reato: «traffico di animali silvestri», visto che in Brasile manca una normativa specifica che reprima tutte le varie fattispecie che vengono generalmente definite come biopirateria. Visto che - in altre parole - questo reato non é previsto. Per la delusione della poco garantista stampa locale, l’esperto in ragni e veleni da essi prodotti é stato liberato all’alba del giorno seguente, non gli é stata inflitta nessuna multa, non gli é stato intimato di lasciare il Paese.
La polizia ha cominciato a pedinarlo dopo che il suo comportamento a Rochedo, in Mato Grosso do Sul, ha destato più di un sospetto: si muoveva infatti perennemente equipaggiato con tutto il materiale necessario alla ricerca biologica. Pochi giorni dopo Roloff, dopo vario peregrinare in Pernambuco, raggiunge finalmente Pirenópolis, nell’interior di Goiás, e alloggia in una umile pousada. I Federali però non lo mollano e con l’autorizzazione della magistratura installano una videocamera nascosta nella sua stanza, presumibilmente godendosi il rabbrividente spettacolo di centinaia e centinaia di ragni sistemati in brocche e bottiglie vuote di acqua minerale.
In seguito il tedesco si imbarca all’aeroporto di Brasilia con una valigia contenente 500 uova di ragno. E ciò lo ha compromesso definitivamente, visto che la foto a raggi x del bagaglio ha mostrato con tutta chiarezza la presenza di organismi viventi che compaiono sotto forma di una macchia molto scura. Il biologo, sottoposto a cinque ore di interrogatorio, ha confessato che voleva rubare i ragni (portandosi via le uova) per fabbricare farmaci, aggiungendo di avere già inviato per posta molte uova. Secondo la Polizia federale si tratterebbe del primo caso interamente provato di biopirateria in Brasile. Queste le parole del già citato delegado Jorge Barbosa Pontes: «Sicuramente ci sono 200 biopirati come lui che stanno operando adesso in Brasile. Abbiamo bisogno di un meccanismo efficiente per combattere questo tipo di reato».
La storia: nel 1876 vengono trafugati 70mila semi di seringueira. Comincia l’era della biopirateria.
Nel 1876 il botanico inglese Alexander Wicklam imbarcava clandestinamente, sulla nave britannica Amazonas diretta in Gran Bretagna, settantamila semi di seringueira, la Hevia brasiliensis, da cui si estrae il caucciù per la produzione di gomma. Cominciò così la distruzione dell’«economia della gomma» e fu l’inizio della fine di un periodo di ricchezza, prosperità e progresso senza precedenti in Amazzonia. I semi contrabbandati furono quindi trasportati e piantati a Ceylon, ove la decima parte del carico riuscì a germogliare ed a produrre un caucciù meno caro e di qualità migliore rispetto a quello brasiliano. Qualche decennio più tardi, verso l’inizio del ventesimo secolo, non c’era più soltanto la gomma inglese a far concorrenza alla brasiliana: gli olandesi avevano piantagioni nelle loro colonie orientali, i tedeschi in Africa e i francesi in Indocina.
Cosí, se nel 1910 la gomma brasiliana rappresentava il 50 per cento della produzione mondiale, questa percentuale sarebbe scesa progressivamente al 5 per cento del 1926. Ma, oltre un secolo dopo, ben poco pare esser mutato e le risorse genetiche brasiliane, comprese quelle umane, continuano ad essere contrabbandate da botanici, zoologi, etnologi ed altri specialisti. Questi ultimi, quasi sempre travestiti da turisti, missionari o ambientalisti, carpiscono anche le conoscenze delle popolazioni indigene sull’uso di queste risorse.
La storia della biopirateria in Brasile non risparmia l’Italia. La “Siemens-prodotti farmaceutici” fece proposte di «collaborazione e ricerca» agli scienziati dell’Inpa (Istituto nazionale di ricerche dell’Amazzonia), specificando addirittura i mezzi di trasporto da usare per l’invio del materiale raccolto presso i propri laboratori italiani. E non solo. La facoltá di Farmacologia medica dell’universitá di Roma ha proposto formalmente di retribuire scienziati brasiliani per la raccolta e l’invio di pelli di certe particolari rane dalle quali si possono ricavare analgesici molto più potenti della morfina e con minori effetti collaterali. E se si tratta di forme di biopirateria meno evidenti, ciò non significa che sia minore la gravità dei fatti.
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