Latina

Venezuela: una settimana con Glenda

In Venezuela con i medici della Missione Barrio Adentro, che da 18 mesi offrono un vero Piano Marshall della salute ad un popolo che non sapeva neanche di averne diritto
6 gennaio 2005
Gennaro Carotenuto

Corea è un quartiere periferico di Barcelona, il capoluogo dello stato Anzoátegui, nell’Oriente venezuelano. A poco più di un’ora di macchina c’è Puerto la Cruz, dove ci s’imbarca per il paradiso per turisti dell'Isla Margarita. Ma nessun turista si spinge fino a Corea che mi aspetta con i suoi 38 gradi ed un’umidità asfissiante. Mi aspetta con le sue strade squadrate, inspiegabilmente ingombre di macerie, spazzatura e un odore penetrante di fogna. Mentre con continui slalom evita buche che sembrano prodotte da un bombardamento, l’autista mi spiega con orgoglio che l’auto, una Chrysler mastodontica, ha appena compiuto 50 anni. Ho conosciuto Glenda Alfonso Castillo un’ora prima, nella stazione degli autobus dove mi aspettava. È un’anestesista, arrivata qui nel novembre del 2003. È da più di un anno che non vede la sua famiglia. Le manca soprattutto Glendita, la figlia di otto anni. Qui, come tutti i medici cubani -sono 800 nello stato Anzoátegui- fa il medico di base.
“Non dimenticare che ci aspetta una famiglia molto modesta”, mi dice prima di arrivare.

Il capo famiglia si chiama Guaicari, la moglie più semplicemente Margarita. Hanno quattro figli e undici nipoti. Indigeni inurbati, sono tutti bolivariani. Una pelle di coccodrillo malridotta testimonia l’antico rapporto con la selva. “Il bimbo più piccolo –mi dice Glenda mentre lo saluto in braccio alla nonna- aveva una peritonite. Nell’ospedale non lo volevano ricoverare”. Ascolterò a lungo Guaicari, portantino e sindacalista proprio nell’ospedale pubblico di Barcellona. Parla e pontifica. Insiste che fa politica perché la politica deve dargli qualcosa in cambio. È arrabbiatissimo: “Da più di 40 anni gli ospedali pubblici chiudono 15 giorni per Natale. È una tradizione che il governo vuole eliminare e per noi è un tradimento”. Glenda prova a replicare, ma poi lascia correre. Il nuovo convive con il vecchio.

Mi mostrano la mia stanza. Non ci sono finestre, il pavimento è di cemento, il tetto è di zinco. Sotto il tetto –capirò che è un lusso- c’è uno strato sconnesso di polistirolo sul quale corrono i topi. Enormi. C’è un ventilatore assassino che mi causa un’immediata sindrome di Stoccolma. Nel bagno non c’è acqua corrente. Durante la notte si riempie una tanica ed è per tutti, per tutto il giorno. La cucina di Margarita è inverosimilmente salata. Mi ammalo presto. A quest’acqua, ambiente, cibo, è difficile adattarsi. Farmaci “Made in Cuba” mi abbassano la pressione, calmano la mia diarrea, disinfettano il mio stomaco. A me come a qualunque paziente di Barrio Adentro. Non sono di ultima generazione, mi spiegano. Grazie lo stesso. Scopro che, a quindici anni dal crollo dell’Urss e dell’inizio del “periodo speciale”, Cuba si è trasformata in esportatrice di medicinali.

Glenda ritorna dall’ambulatorio ed io sono ancora nella mia stanza. Comincia a raccontare: “Viviamo rinchiusi. Male e con molta nostalgia. Questa è una missione difficile soprattutto per le condizioni ambientali. Noi cubani siamo terrorizzati dalla violenza, non siamo abituati”. La violenza è una costante della vita di strada venezuelana. Nei ranchitos, le favelas di Caracas, i medici hanno l’ordine di essere a letto alle sette di sera. Con le pallottole vaganti non si scherza. I responsabili della missione, che intervisto a Puerto la Cruz, mi danno numeri difficili da digerire: “Qui ci sono più di 12.000 morti violente l’anno ufficialmente registrate; a Cuba sono 250. La polizia uccide almeno 2.000 presunti delinquenti l’anno in scontri a fuoco”. Con una circonlocuzione, mi fa capire che l’80% sono esecuzioni sommarie.
Così devono essere morti Robson e suo cugino, due adolescenti di 15 e 17 anni uccisi il giorno prima del mio arrivo proprio all’angolo della casa di Guaicari. Con il fratello di Robson, desaparecido, erano la “banda delle scimmiette”. Non avevano niente da perdere, nessuno da lasciare, analfabeti, tossici ed un curriculum di varie rapine ed omicidi sulle spalle. La gente del quartiere lo racconta tranquillamente: le scimmiette hanno avuto quello che meritavano e adesso siamo più tranquilli. La notte stessa una prolungata sparatoria mi sveglia alle quattro di mattina. Ascolto Glenda alzarsi in corridoio. La mattina dopo saprò che non ci sono feriti.

L’ambulatorio è un’oasi. Potrebbe stare in qualunque posto del mondo, ma è sorprendente a Corea. Nel patio persone modeste attendono tranquillamente il turno. Qualcuno legge il giornale. Fino a due anni fa non esisteva nulla di simile per questa gente; adesso lo vive con normalità. Arriva una donna da un quartiere vicino. Grida, suda, è scandalizzata! Il suo medico è andato in vacanza. Per lei è intollerabile. La rapidità del cambiamento è impressionante: quello che fino a ieri era impensabile adesso è considerato un diritto da difendere. Glenda la calma e visita lei come tutti.
Simón è stato dimesso proprio oggi: “ha 35 anni, un’ulcera ad un piede. L’ho curata ed ho scoperto che aveva un diabete cronico mai curato. Aveva già problemi gravi d’impotenza. L’ho visto tutti i giorni per due mesi. Qui prima era impensabile”. Lara, dentista, compagna di Glenda, mi mostra il suo ambulatorio. Tutto è modesto, portatile, ma efficiente e sterile: “le tre specialità, cardiologia, dentistica e oculistica sono quelle che formano l’operazione miracolo. Restituiamo alla vita persone che avevano semplicemente bisogno di un paio d’occhiali o di un’operazione di cateratta”. Gli interventi si fanno a Cuba. È antieconomico, ma l’ostracismo dei medici venezuelani impedisce di utilizzare gli ospedali pubblici. “Gli ospedali pubblici per noi cubani sono un girone dell’inferno. Purtroppo non abbiamo alcuna relazione con i medici venezuelani. Siamo intrusi venuti per motivi politici”. Il dottor Celestino Estrada, uno dei pochi medici venezuelani della missione, un anziano minuscolo che osserviamo operare con molta esperienza, ci dà dettagli sui sindacati medici, tutti dell’opposizione e sul programma d’inserimento dei medici venezuelani in Barrio Adentro: “Siamo 1.200, ma in cinque anni saremo 6000”. Glenda vorrebbe tornare a fare l’anestesista: “Di recente, dopo il referendum che ha consolidato Chávez qualcuno ha accettato di intrattenere rapporti, ma non ancora di lavoro. Appena adesso gli ospedali stanno iniziando ad accettare pazienti inviati dalla Missione”.

DROGA, MACHISMO, AREPAS, ALCOOL. “Di là, da quella casa in avanti, fino alla fine della via, spacciano tutti. Questo è il motivo del relativo fiorire economico di Corea”. Siamo sulla porta di casa. M’inoltro tra le casette, tutte di un piano solo, di latta rabberciata, di zinco, di cemento. Qualcuna è in migliori condizioni, ma sono tutte blindate, completamente ingabbiate. Perfino dal patio si vede il sole a scacchi. Anche le classi medie urbane vivono così, esagerando, ma almeno dentro hanno ogni bene di consumo. In condizioni simili di povertà, in Brasile, non ci sarebbero neanche le porte. Qui solo la televisione è onnipresente. Le grate aumentano l’angustia e la sensazione d’insicurezza. Neanche i taxi vogliono venire a Corea. Imparo che non bisogna dare l’indirizzo esatto, altrimenti non ti lasciano neanche salire. Ti fai avvicinare e poi offri il doppio perché ti lascino alla porta di casa. Dentro le gabbie non sono pochi i fuoristrada da 50.000 dollari. Sono prodotto specialmente del crack che crea fortune mangiando cervelli di adolescenti. Forse potevo andare molto meno lontano per trovare camorristi, spacciatori e paura di uscire per strada: Scampia, Secondigliano.
Barcelona è brutta. Ma Corea è un quartiere bruttissimo, sgraziato e senz’alberi, anche se siamo ai margini di una foresta tropicale. È brutto com’è brutta la vita delle persone. A sera sono troppi gli ubriachi. La vita dei bambini è triste. In un paese dove la benzina costa tre (3!) centesimi di Euro al litro: “i bambini non sono abituati a bere latte. Lo prescrivo, ma le famiglie non ascoltano. Le conseguenze sono carie, ritardo nella crescita e, a lungo termine, ritardo mentale. Sono piccoli che avranno difficoltà d’apprendimento e un basso rendimento scolastico. Le abitudini alimentari delle famiglie sono pessime. Gli adulti mangiano il meglio e gli avanzi sono per i figli, se qualcosa avanza. E allora il bambino mangia arepas (frittelle di farina di mais), non mangia proteine”. Si capisce perché Hugo Chávez insiste spesso nei suoi discorsi sulla salubrità dell’alimentazione: “Non mangiate troppi grassi, evitate i fritti”. Dall’Europa o dai quartieri privati per ricchi lo accusano di essere populista.
È così che i medici si trasformano in educatori. Ascolto Glenda dare lezione d’economia domestica a una giovane madre. Lo fa con estremo rispetto. “Ritardo mentale, stile di vita sbagliato che i figli ereditano; in questo posto sono quasi tutti analfabeti o semianalfabeti. Qui gli adulti che hanno finito le elementari si contano sulle dita di una mano. Solo adesso c’è la Missione Robinson – il programma d’alfabetizzazione che lavora su di un milione di venezuelani- ma ancora non è arrivata a tutti. Ho una paziente di 19 anni, Elvia. Ha un figlio ed è di nuovo incinta. È completamente analfabeta, vive qui, in questo stesso isolato”. Povertà, ignoranza, sottosviluppo: “le gravidanze adolescenziali sono la regola. I padri quasi non esistono. Ma in più di un anno qui, sento che le cose stanno cambiando. Un’altra paziente ha 16 anni e due figli; sua madre sosteneva che le donne non hanno bisogno di andare a scuola. Ma adesso, ogni volta più donne cominciano ad alzare la testa”. Dicono ai loro uomini che non li aspetteranno ubriachi per tutta la vita. Vogliono uscire e lavorare. Cambia, todo cambia, canta Mercedes Sosa.
Per adesso però, dal venerdì alla domenica, gli uomini bevono senza freni e la violenza aumenta. Si muore per strada, per una lite, si muore di cirrosi. “L’alcolismo non fa parte della missione dei medici, ma della parte educativa. Facciamo in modo che gli adolescenti capiscano che ci si può divertire anche senza ubriacarsi. L’obbiettivo è modificare lo stile di vita, l’alimentazione, l’educazione alla salute. La cosa più importante è educare la popolazione”. Dico addio a Glenda che sogna Glendita e le sue vacanze cubane. L’alito di Guaicari ubriaco mi perseguita fino all’auto. Cambia, todo cambia, ma senza fretta.

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Che cos’è “Barrio Adentro”
Per la OMS, cubani o marziani fa lo stesso. L’importante è il diritto alla salute.

Secondo il pensiero unico neoliberale, la salute è una merce. Secondo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è un diritto umano. Una volta concluso aristotelicamente che di conseguenza il neoliberismo è contrario ai diritti umani, nella Costituzione del Venezuela bolivariano di Hugo Chávez, hanno deciso che la salute è un diritto –gratuito- di tutti e, cosa ancora più grave, hanno deciso di compiere il dettato costituzionale.
Così nel 2002, con lo scopo di dare a tutta la popolazione cure mediche di base gratuite, nasce la Missione “Barrio Adentro”, dentro il quartiere. In un paese dove la salute è stata sempre privata e privatizzata non esisteva assistenza medica di base pubblica, né medici disposti a curare poveri. L’unica possibilità di garantire il diritto alla salute di quell’80% di popolazione esclusa dal modello, era rappresentata dalla vicina Cuba. Questa produce professionisti e medici in surplus ed ha oggi un medico ogni 120 abitanti, uno degli indici più alti al mondo.

In un complesso accordo che semplificheremo nello scambio petrolio-salute, in più dei 300 dei 330 municipi nei quali si divide il Venezuela, sono arrivati 18.000 medici cubani. Collaborano con circa 1.200 medici del posto. Questi ultimi, nel giro di cinque anni, dovrebbero integrarli e sostituirli. Tutti insieme, negli ultimi 18 mesi, hanno curato almeno 17 milioni di venezuelani, con circa 100 milioni di visite tra domiciliarie e ambulatoriali e hanno sviluppato centinaia di migliaia di attività educative. I medici cubani sono chiamati a compiere un periodo di 24 mesi in Venezuela, vivendo nelle stesse condizioni -pauperrime e spesso degradanti- della popolazione locale. Almeno uno è stato assassinato in un attentato. Guadagnano circa 200 dollari al mese. Fonti vicine al governo venezuelano parlano di 30-35 abbandoni volontari. L’opposizione, senza peraltro fornire alcuna prova, decuplica questa cifra. Calcolano di salvare almeno 380 vite la settimana, anche se continua il boicottaggio dei sindacati medici locali che impedisce loro di lavorare negli ospedali pubblici.
A nessuno sfugge che Barrio Adentro è anche una gigantesca operazione di consenso politico. L’opposizione ha opposto un iniziale durissimo rifiuto. Accusava il governo di demagogia, populismo, definiva la missione irrealizzabile, uno spreco di denaro pubblico. Denunciava che i cubani non erano altro che propagandisti o peggio, paramilitari venuti a preparare la dittatura. Oggi nessuno più nega che i medici cubani abbiano conquistato la fiducia di milioni di venezuelani. La stessa opposizione afferma che i cubani devono restare anche dopo l’agognata caduta di Chávez. È un assurdo che testimonia il successo della missione stessa.
Secondo il rappresentante in Venezuela dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Renato Guzmao, “quello che sembrava impossibile da realizzare in decenni –offrire ad indigeni e poveri che non hanno mai avuto accesso a nessun programma di salute ed alle classi medie salassate dal sistema privato- servizi sanitari efficienti e gratuiti- improvvisamente è diventato possibile con una semplice decisione politica”. Per Guzmao “che lo realizzino medici cubani o marziani è indifferente per l’OMS. I cubani sono risultati eccellenti medici, ma l’importante è che con Barrio Adentro siano curati in maniera rapida, oggettiva ed opportuna, 17 milioni di pazienti. E che la missione sia irreversibile”.

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