Brasile: Il vento di Lula
Forum di Porto Alegre, ha rilasciato a Gianluca Ursini per Peacereporter.
In un clima generale che intende demonizzare la politica di risanamento
sociale ed economico adottata dal presidente del Brasile, Minà ha voluto
offrire un'analisi diversa, sottolinenado come grandi mutamenti non siano
realizzabili in breve tempo.
-Cominciamo dalle perplessità sull’operato di Lula, che hanno manifestato
anche sociologi ideologicamente vicini al presidente come Emir Sader. Cosa
ne pensa?
Sader è un tipo molto duro, un trotzskista, comunista vecchia maniera, che
non approva le mezze misure. Vorrebbe fare la rivoluzione. Ma se governi
un Paese grande come un continente, con quasi 200 milioni di persone, dove
la prima cosa da fare è dare loro da mangiare, la seconda è curarli e la
terza è dare loro una casa che non sia di fango, è chiaro che sei
costretto ad andar piano. Il Fondo Monetario Internazionale è un ente
criminale che può ammazzare chiunque, anche un Paese come il Brasile.
-Un ente criminale?
Certo. Ormai lo dico a tutte le conferenze. Il Fmi è un ente criminale. Le
sue famose ‘ricette economiche’ possono distruggere milioni di persone. La
gente si può ammazzare con i cannoni, ma anche con le banche. Sfido a
smentirmi.
-Quindi non condivide l’analisi di Sader?
Non condivido l’idea così radicale di Emir Sader, anche se capisco la sua
ansia. Ma il solo fatto che adesso in Brasile ci sia una democrazia
compiuta, in cui sta tramontando l’impunità, in cui vengono perseguiti i
guardiaspalle dei ‘terratenientes’ che fino a due anni fa ammazzavano
senza conseguenze i ‘Sem Terra’, è una grande svolta. Prima di Lula la
polizia privata ammazzava i sindacalisti ‘siringueros’ - i raccoglitori di
caucciù - come Chico Mendes, adesso non è più così. L’impunità è finita!
Eccolo il risultato più immediato dell’elezione del presidente operaio. E
ricordiamo che certe conquiste sono faticose. Certo sono passati due anni
e ancora non ha fatto la Rifoma agraria! Ma la farà, non si può dubitarne.
La farà, perché è la promessa più solenne mai fatta durante la sua
rincorsa alla presidenza. E’ che in un Brasile in cui ancora ci sono zone
rimaste al medioevo, in cui ci sono signorotti feudali, fare una riforma
agraria come si deve è una questione complessa. Non dimentichiamoci che in
Europa la riforma agraria risale a fine ‘800, vale a dire oltre tre secoli
dopo la fine del medioevo. E’ dunque un problema non indifferente e ci
vuole tempo per risolverlo concretamente.
-E tutto lo scetticismo di certa parte della sinistra europea da dove
viene, allora?
C’è da dire una cosa, di cui mi prendo tutta la responsabilità: quella
certa parte di sinistra che si definisce “riformista” - un vocabolo che
non so cosa voglia dire nel concreto - non ha mai sopportato la sinistra
latinoamericana. Quella latinoamericana è troppo più fattiva. È passata da
così tante esperienze: dalla lotta armata alle repressioni più feroci del
XX secolo - persino più feroci dello stalinismo, oserei dire - e non
accetta le esitazioni di quella che chiamiamo sinistra in Europa. Questa
sinistra ha accolto con un certo sarcasmo perfino il fatto che fosse stato
eletto presidente del Brasile un operaio. Puntava, infatti, su Serra,
ministro della salute nel precedente governo di Henrique Cardoso, non su
Lula. E perché questo favore verso Cardoso? Perché da giovane era stato un
sociologo marxista. Nulla importava che poi avesse accettato di sedersi al
timone di un governo di centro-destra, colluso con i “terratenientes” che
uccidevano i “Senza Terra”.
Questa è la stessa sinistra che ha dovuto accettare la vittoria di Lula
col sorriso, ma che non l’ha mai amato. È salita sul carro del vincitore
all’ultimo, scegliendolo quale unico uomo di sinistra latinoamericano da
digerire. Tutte le altre esperienze in piena evoluzione, infatti, che
stanno sconvolgendo i piani degli Usa, non sono assolutamente ben viste
dalla sinistra europea. Vedi tre esempi eclatanti: il Venezuela di Chavez,
messo a dura prova dai referendum di popolarità architettati
dall’opposizione e sempre vinti in scioltezza. L’Uruguay, dove ha appena
vinto Tabaré Vazquez, assicurando al Paese un governo di sinistra del
tutto avverso alle mire Usa. E infine, le rivolte popolari in Bolivia
capeggiate dai leader indigeni per impedire la svendita delle risorse
naturali, come il gas, alle multinazionali statunitensi.
Ecco, verso tutto questo c’è l’incomprensione più assoluta. Non capiscono
cosa stia succedendo in America Latina. Ecco dove colloco l’atteggiamento
ironico nei confronti di Lula.
-Perché non viene capita l’importanza per il Brasile di avere Lula al timone?
Lula rappresenta una svolta clamorosa. Il Brasile è un Paese che ha visto
una dittatura, tanti governi corrotti. È un Paese che ha visto finti
presidenti di sinistra come Cardoso.
Il presidente operaio è il cambiamento radicale. Certo, forse in politica
economica Lula sta proseguendo la stessa strada del suo predecessore, ma
come svincolarsi in un batter d’occhio dall’abbraccio della Banca Mondiale
e del Fondo Monetario? E’ grazie a lui, ripeto, che sono tramontate le
impunità, e che sono state avviate operazioni sociali del livello di Fame
Zero.
Per questo non sono d’accordo con chi critica duramente e in toto il suo
governo. Certo non chiudo gli occhi. Mi rendo conto che anche Frei Betto,
consigliere del presidente, a un certo punto si è sentito in difficoltà in
questo governo e si è ritirato, ma non per questo adesso getta la croce su
Lula.
-Quindi, diamo ancora fiducia a Lula e speriamo che venga rieletto?
Certo. Non dimentichiamo che se cade l’esperienza Lula, per il Brasile non
ci sarà perlomeno per altri 50 anni la possibilità di vedere l’area
progressista governare a Brasilia.
-Non esiste alternativa a Lula?
No. Lula ha una storia politica di 20 anni. Ha fondato il Pt, che è il più
grande movimento di sinistra del continente latinoamericano. Come trovarne
un altro? Negli anni Ottanta, Lula capì che la sinistra tradizionale
sarebbe stata incapace di competere con le forze conservatrici brasiliane
e fondò quindi un raggruppamento alternativo che appunto è diventato il
partito dei lavoratori più grande del continente. Ha raggruppato tutti i
movimenti d’opposizione. Una grande esperienza. Un grande uomo.
-Ma Lula ha un difficile equilibrio da mantenere nel suo governo?
Non si deve dimenticarlo! Nell’esecutivo, il ministro all’Economia è
Palocci, ex governatore del Banco centrale brasiliano. Un uomo certo non
inviso al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale. Difficile conciliare
Palocci con la sindachessa di Fortaleza, neo eletta, appartenete all’ala
critica a Lula del Pt. Non è semplice far conciliare queste anime così
diverse.
-A livello internazionale, si può parlare di “effetto Lula”?
Con l’avvento di Lula s’è accodato un intero mondo. Prendiamo Kirchner in
Argentina, per esempio. Un peronista del sud, lontano dalla corruzione di
Buenos Aires e dai giochi alla Menem che, una volta eletto, ha preso una
linea progressista copiata da Lula. Poi consideriamo Chavez o il Frente
Amplio in Uruguay, o i movimenti indigeni, non solo in Bolivia, ma anche
in Ecuador, dove hanno affrontato il presidente Gutierrez che s’è
rimangiato le promesse di sinistra per soddisfare gli interessi
statunitensi.
E’ stato il vento di Lula ad alimentare questi movimenti. Il vento di
sinistra.
Il Pt di Lula, il Frente amplio uruguagio hanno messo in atto la vera
democrazia partecipativa, dimostrando che può non essere solo uno slogan.
È qualcosa che si realizza giorno dopo giorno in molti stati, città,
comuni e pueblos del Brasile. Il Pt può anche aver perso Porto Alegre ¬
per le solite lotte interne della sinistra - ma governa molte più città e
stati rispetto a quando Lula non era presidente. Avranno anche perso San
Paolo alle recenti amministrative, ma hanno conquistato altre cinque
grandi città. Per questo dico che bisogna andare piano nel giudicare.
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