Latina

Maquita, fratellanza della cioccolata

Ecuador: Come fu che un prete italiano organizzò migliaia di cacaoteros

La vicenda di Padre Graziano Mason, che scelse la missione di fare concorrenza alla Nestlé e che finì per vincere; e dei suoi amici che accettarono di commerciare con lui, in modo equo e solidale, divenendo tutti insieme il numero uno nel cacao ecuadoriano
23 febbraio 2005
Gianni Beretta

«Un mondo diverso è possibile». Non è solo il volenteroso auspicio del World Social Forum. E' l'affermazione che, a ragion veduta, ci ha fatto padre Graziano Mason, trevigiano, promotore di un'esperienza assolutamente straordinaria in Ecuador, dove opera da una trentina d'anni. Padre Mason racconta: «ricordo che ero arrivato da poco in una zona di cacaoteros, quando vidi una contadina che portava sulle spalle un sacco di cacao da vendere in paese; era delusa dal prezzo che le veniva offerto e chiedeva qualcosa in più; il commerciante inveiva contro di lei. Il suo cacao poteva anche darlo ai cani; e alla povera donna non rimase altro che accettare quei quattro soldi». Da quel giorno padre Mason ha sentito una «santa rabbia» che lo ha portato a «metter mano nel satanico mondo del commercio, per provocare buone notizie per i poveri». E' nata così a Quito nel 1985 la fondazione Maquita Cushunchic-Commercializzando come Fratelli (Mcch) che ha cercato di strutturare l'incontro diretto fra produttori poveri della costa e consumatori poveri della sierra indigena. La fondazione muoveva da un semplice presupposto: scavalcare la lunga catena di intermediazione. Con una task-force di qualche decina soltanto di operatori molto motivati, sparsi in tutto il paese, Maquita ha avuto subito successi incoraggianti sul mercato interno dei generi di primissima necessità (alimentari e non solo). Ma è nel cacao che ha sfondato clamorosamente raggiungendo nel 2003 il primo posto tra gli esportatori di cacao in grano dell'Ecuador.

Luis Morales, cacaotero di 58 anni, ci accoglie, machete alla cintura, nella sua finca di sei ettari, a tre ore di cavallo da Quinindè, nella provincia di Esmeraldas (zona caldo-umida lussureggiante, poco lontana dal Pacifico nel nord dell'Ecuador). La coltivazione del cacao lo impegna quasi tutto l'anno; finché ne raccoglie i frutti, simili a splendide lampadine gialle; li apre, li sgrana e ne sottopone a fermentazione i grani, prima di essiccarli e di metterli nei sacchi: «una volta seminavamo secondo la volontà di dio; e i commercianti baravano sulla pesa e sul grado di umidità (valutato a occhio) delle fave di cacao; che poi significa ancora minor peso; ma un giorno un amico mi disse che c'era Maquita che dava aiuto tecnico e che pagava di più; è stato come un sogno a occhi aperti». Luis si è così associato, e da allora porta il cacao nel centro di raccolta di Quinindè, uno dei 16 della rete di Maquita, sparsi in quattro province dell'Ecuador. Sono ormai oltre 8.000 i cacaoteros come lui, organizzati in 120 cooperative autonome di piccoli produttori.

Un debito di 80 dollari

Maquita compra loro il cacao a prezzo pieno e lo porta direttamente nei suoi magazzini nella città portuale di Guayaquil; in più fornisce assistenza e formazione agricola, oltre che amministrativa. La differenza è presto fatta: Luis Morales arriva a guadagnare circa 200 dollari puliti al mese; non un gran che, ma pur sempre quasi il doppio del suo vicino Lorenzo Diaz, che vive anch'egli in una casa di legno su palafitte ma assai malmessa: «so che esiste Maquita; ma non posso iscrivermi perché da anni vendo il cacao al signor Galo Cedeno, che non mi nega mai un prestito quando mi ammalo o abbiamo una necessità in famiglia». Nel suo stato di ignoranza e di bisogno Lorenzo è persino grato al commerciante Cedeno, un «chulquero» (usuraio) che di fatto gli ipoteca ogni volta il raccolto. «Quando avrò onorato il debito di 80 dollari che gli devo - ci dice rassegnato prima di salutarci - andrò anch'io da Maquita; fino ad allora mi dovrò accontentare di questa miseria».

A seconda della distanza fra luoghi di coltivazione e centri di raccolta del cacao (e dunque del numero di passaggi di mano) e tenuto conto del livello di trucchi e inganni degli intermediari, il contadino arriva a ricevere anche meno della metà del valore del suo cacao. Al contrario, il commerciante, se fosse onesto, dovrebbe trattenere (per i costi di primo trattamento e di invio al porto) non più di 3 o 4 dollari sui 140 dollari per ogni quintale che riceve attualmente dall'esportatore di Guayaquil. Naturalmente il signor Galo Cedeno non si è fatto trovare; e i commercianti meno avidi con i quali abbiamo parlato a Quinindè, ammettono che con l'entrata sul mercato di Maquita le cose sono cambiate: «ora tutte le mattine ascoltiamo per radio il prezzo che offre Maquita ai suoi cacaoteros, e ci regoliamo di conseguenza». E pensare che, come ci sottolinea Josè Santos, responsabile per le esportazioni di cacao di Maquita a Guayaquil, «all'inizio sia gli intermediari che gli altri esportatori si burlavano di noi; e quando hanno visto che facevamo sul serio hanno fatto di tutto per boicottarci con assalti ai nostri camion e intimidazioni ai nostri tecnici». Ora invece Maquita fa parte a tutti gli effetti dell'Associazione di esportatori di cacao dell'Ecuador (Anecacao) che sono una trentina, compresa la Nestlè-Ecuador. Il crescente successo di Maquita, ong senza fini di lucro che reinveste ogni centesimo in sostegno ai cacaoteros e alle loro comunità, è dovuto evidentemente ai sempre più numerosi contadini che entrano nella sua rete; ma anche alla qualità del cacao che producono sotto la sua assistenza.

Le richieste dei compratori Usa, dell'Ue e del Giappone sono conseguentemente lievitate, tanto che per onorare gli impegni internazionali, Maquita è paradossalmente costretta anch'essa a comprare parte del suo cacao dai commercianti, pur selezionati e a prezzo calmierato. In ogni caso, facciamo notare a Santos che anche se Maquita ha migliorato di molto le cose, non è che i suoi cacaoteros siano tanto ben pagati: «siamo riusciti a saltare la rete di intermediazione qui; e in certi casi vendiamo direttamente anche ai compratori del Nord del mondo, senza passare dai brokers dei porti d'arrivo, come con la Ferrero, che ci permette di spuntare un prezzo migliore; ma il prezzo internazionale di riferimento lo definiscono inesorabilmente le borse di Londra e di New York, dove per altro la speculazione sui contratti dei futures muove fino a dieci volte il volume fisico totale del cacao effettivamente trattato».

Il mercato si autoregola cinicamente. Fissa un prezzo che risponde al livello minimo di sussistenza perché un cacaotero continui a produrre. Naturalmente il nostro produttore di cacao, Luis Morales, non ha la più pallida idea di questi meccanismi e dei profitti che si fanno alle sue spalle: «hanno paura a dircelo perché dev'essere un'enormità, anche più di un'enormità». Si sa infatti dei margini di guadagno di ciascun attore ecuadoriano nel viaggio del cacao dal produttore al porto d'imbarco; ma di lì in poi tutto si fa misterioso: non parlano i brokers che dagli scali marittimi finali vendono il cacao alle industrie di cioccolato; così come si negano a interviste i traders della borsa di Londra che gestiscono il mercato dei futures. Mentre le fabbriche di cioccolata non parlano dei loro utili, cresciuti per la caduta del dollaro; e sono subito pronte ad alzare il prezzo della tavoletta se il cacao sale (come per la recente guerra civile in Costa d'Avorio), mentre quando il cacao ridiscende adducono mille pretesti (spese di distribuzione, tasse, pubblicità, variazioni degli altri ingredienti...) per non ritoccare al ribasso la cioccolata al consumo.

Un circuito equo e solidale

Sta di fatto che, secondo lo studio di un centro specializzato francese, solo il 5% del costo di una tavoletta di fondente finisce nelle tasche del cacaotero. Il successo di Maquita in Ecuador è dunque assai lusinghiero ma il vero business lo fanno le industrie di cioccolato per il valore aggiunto molto più elevato che ne traggono. E quando facciamo notare al responsabile cacao di Maquita, Josè Santos, che la potente Nestlé-Ecuador esporta meno cacao di loro ma ne impiega la maggior parte per produrre cioccolata nella sua fabbrica di Guayaquil, ci risponde: «non abbiamo certo la presunzione di voler fare concorrenza alla Nestlé; ci interessa innanzitutto far sapere che dietro al cacao, che addolcisce le vostre tavole, c'è la dura storia di un produttore che ha il diritto di essere pagato meglio».

Prima di accomiatarci, e quasi sorridendo sotto i baffi, Josè tira comunque fuori da un armadio delle tavolette di fondente senza etichetta e ce le fa assaggiare: «stiamo sperimentando con una piccola fabbrica locale la produzione di "cioccolato Maquita"; è ancora un sogno, ma sarebbe come chiudere il cerchio: dal cacaotero al cioccolato finito». Cioccolato che sarebbe immesso nel circuito equo-solidale; così come fu per il primo container di cacao in grano inviato in Europa nel 1992. Anche se attualmente, delle 10.000 tonnellate di cacao esportate da Maquita, solo l'1% finisce nella rete del commercio giusto, che non poteva crescere al suo ritmo vertiginoso. «Dobbiamo credere e sognare, ogni giorno, per poter trasformare questo mondo; altrimenti siamo destinati a sparire insieme a lui» afferma con passione padre Mason. La sua creazione, Maquita, mostra come si possa sfidare con certo successo anche un gigante come la Nestlé, e «aggredire» strutturalmente il mostro-mercato senza rinunciare ai propri principi sociali e di equità nei confronti di tutti e senza per questo rischiare di rimanere confinati in una nicchia.

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