Laboratorio di scrittura

Mentre il nostro motoscafo si avvicinava ho provato a contare occhi e mani, a farmi un’idea del loro numero

L'odore del sale

Ho afferrato quel piccolo fardello di ossa e stracci. L’ho stretto al mio petto, premendo le mie labbra su quella spugna di capelli salmastri. E mi sono riempito di quell’odore.
19 febbraio 2018
Francesco Picca

Ho scoperto l’odore del sale.

Sono riuscito a distinguerlo tra quelli della gomma, del sudore e dell’urina.

Mentre il nostro motoscafo si avvicinava ho provato a contare occhi e mani, a farmi un’idea del loro numero. Ho solo percepito una massa non misurabile. Un unico corpo sofferente. Un corpo di donna. Una giovane donna. A tre metri da quella zattera ormai sgonfia ho incrociato due occhi trasparenti. Giovani e trasparenti. Avevano la trasparenza dell’aldilà. Non l’inferno, non il purgatorio. L’aldilà.

Ora conosco l’odore del sale e il colore dell’aldilà. E conosco il sibilo della voce di Dio, soffiata a fatica da due piccole narici intasate dai muchi.

Quegli occhi trasparenti hanno seguito il movimento delle mie braccia in avanti e hanno dato forza a due mani bianche di sale. Ho allungato le mie, intorpidite dall’inadeguatezza. Ho afferrato quel piccolo fardello di ossa e stracci. L’ho stretto al mio petto, premendo le mie labbra su quella spugna di capelli salmastri. E mi sono riempito di quell’odore, mentre provavo a dipanare i brandelli di stoffa per dare consistenza alle misere ossa.L’odore del sale. Il sibilo della voce di Dio. Lui così piccolo, ed io pure. Piccoli e dispersi.Ho tenuto le mie labbra su quella matassa di riccioli e sale. Ho pensato alla spugna e all’aceto. Non sentivo voci, non distinguevo rumori. Solo il rollio muto del motoscafo e quel sibilo, che sapeva di morte e di vita. Morte e vita nel mulinello del mio respiro imbarazzato, consumato a metà, ridotto a metà, affinché non togliessi altra aria a quelle narici intasate, altra vita a quella vita.Ho pensato alla spugna e all’aceto. Alla colpa. Alla punizione. Alla salvezza.

Ho cercato ancora quegli occhi trasparenti. Ho ruotato il mio busto a destra e a sinistra, senza staccare le mie labbra dalla spugna di sale. Quegli occhi erano là. Li sentivo addosso, puntati sulle mie colpe, sulla mia inconsistenza. Ne avvertivo la carezza, il perdono.

Il rollio dello scafo e la massa informe avvinghiata alla gomma. Le piaghe. La sferzata indistinta e invadente di urina.

Ho chiuso gli occhi e ho respirato ancora, piano, come fosse la prima volta, abbracciato alla mia salvezza, come in un sogno trasparente.

L’odore del sale. Lo sento ancora.

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