Come posso non volere bene a mio fratello?
Come posso non volere bene a mio fratello?
Così mi disse quel giorno mia madre. Non c'era un motivo particolare, nessuno aveva messo in discussione il suo affetto per mio zio. Penso che lo disse solo perché sentiva il bisogno di esternare un ricordo, di condividere con noi uno stato emotivo, che stava riaffiorando in quel periodo ultimo e fragile della sua vita. Sonnecchiava gran parte del giorno per l'effetto dei farmaci, a volte riemergeva da quel torpore e raccontava qualcosa. E così fece quel giorno.
Avevo nove o dieci anni - disse - abitavamo al Parapetto, al vicolo della Pennella per la precisione, mio fratello non aveva ancora tre anni, era molto piccolo. Il babbo e la mamma rientravano tardi dai campi, d'inverno capitava che tornassero a notte. Era il periodo della raccolta delle olive, quando il sole calava brusco sul mondo e sulla fatica degli uomini. Io e il mio fratellino eravamo soli, in casa senza il fuoco, al lume fioco della lampadina. Fuori il vento portava via i rumori, le voci dei radi passanti e lo stracco scalpiccio degli asini. I rumori del giorno che prendeva congedo, lentamente. Il mio fratellino piagnucolava, chiedeva della mamma. Io lo stringevo in braccio e gli dicevo: non piangere, ci sono io, ora viene la mamma.
Ma arrivavano tardi tutte le sere, perché avevano il lavoro, il campo degli ulivi era lontano e c'era da camminare tanto, e poi l'asino e le cose da sistemare. Fuori il buio pian piano inghiottiva le case e sembrava che il mondo terminasse dietro al vetro della finestra. E io stringevo stretto il mio fratellino e lo tenevo al caldo e al riparo dal buio.
Quel buio che ora pian piano stendeva su di lei il suo velo.
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