Se la vita politica è improntata all'interesse particolare e all'opportunismo
Recupero un vecchio mio post su Facebook perché mi sembra molto attuale.
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Se la vita politica è improntata all'interesse particolare e all'opportunismo
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Oggi lezione su Francesco Guicciardini.
Buongiorno a tutti, in particolare ai miei studenti che sono "curvi" (spero di no...) sul libro di letteratura!
Oggi a scuola abbiamo trattato Francesco Guicciardini (1483-1540). Come abbiamo visto, fu un uomo con responsabilità politiche di rilievo. Ebbe incarichi da vari papi, che però biasimava. Fu un politico che serviva cause che non condivideva e che tuttavia riteneva utili al proprio interesse particolare, alla propria carriera. Al centro della sua riflessione vi era appunto quello che definiva il "particulare", l'utile personale.
Alla fine dell’Ottocento Francesco De Sanctis espresse una dura condanna di Guicciardini che, con il suo scetticismo e il suo disincanto pessimistico, era rinunciatario nei confronti della corruzione e della decadenza politica italiana. Era capace di comprendere la portata nefasta di tutto ciò ma era indifferente ad una politica che ne ponesse rimedio. Sempre secondo De Sanctis, l’immagine dell’uomo proposta da Guicciardini era meschina.
Perché? Perché era attenta, appunto, solo al “particulare”. De Sanctis - uno dei massimi critici della letteratura italiana - interpretava tutto ciò come puro calcolo d’interessi per un tornaconto personale.
Questo è ciò che scrive De Sanctis. Ed è di stretta attualità per comprendere i limiti e i vizi anche di tanta parte dell'attuale politica.
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Il Guicciardini biasima «l'ambizione, l'avarizia e la mollizie de' preti» e il dominio temporale ecclesiastico; ama Martin Lutero, «per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o senza vizi o senza autorità»; ma «per il suo particolare» è necessitato ad «amare la grandezza de' pontefici» e servire a' preti e al dominio temporale. Vuole emendata la religione in molte parti; ma non ci si mescola, lui, «non combatte con la religione, né con le cose, che pare che dependono da Dio; perché questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi». Ama la gloria e desidera di fare «cose grandi ed eccelse», ma a patto che non sia «con suo danno o incomodità». Ama la patria, e, se perisce, glie ne duole, non per lei, perchè «così ha a essere», ma per sè, «nato in tempi di tanta infelicità». È zelante del ben pubblico, ma «non s'ingolfa tanto nello Stato» da mettere in quello tutta la sua fortuna. Vuole la libertà, ma quando la sia perduta, non è bene fare mutazioni, perchè «mutano i visi delle persone, non le cose, e non puoi fare fondamento sul populo», e quando la vada male, ti tocca «la vita spregiata del fuoruscita». Miglior consiglio è portarsi in modo che quelli che «governano non ti abbiano in sospetto e neppure ti pongano fra' malcontenti». Quelli che altrimenti fanno, sono uomini «leggieri». Molti, è vero, gridano libertà, ma «in quasi tutti prepondera il rispetto dell'interesse suo». Essendo il mondo fatto così, hai a pigliare il mondo com'è, e condurti di guisa che non te ne venga danno, anzi la maggiore comodità possibile. Così fanno gli uomini «savi».
La corruttela italiana era appunto in questo, che la coscienza era vuota, e mancava ogni degno scopo alla vita. Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà. Non ci è più il cielo per lui, ma ci è ancora la terra. Il Guicciardini ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e desiderabili, ma li ammette sub conditione, a patto che sieno conciliabili col tuo «particulare», come dice, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse. Ne' più prepondera l'interesse proprio, e mette se francamente tra questi più, che sono i savi: gli altri li chiama «pazzi», come furono i fiorentini, che «vollero contro ogni ragione opporsi», quando «i savi di Firenze avrebbono ceduto alla tempesta», e intende dell'assedio di Firenze, illustrato dall'eroica resistenza di quei pazzi, tra' quali erano Michelangelo e Ferruccio. Machiavelli combatte la corruttela italiana, e non dispera del suo paese. Ha le illusioni di un nobile cuore. Appartiene a quella generazione di patrioti fiorentini, che in tanta rovina cercavano i rimedi, e non si rassegnavano, e illustrarono l'Italia con la loro caduta. Nel Guicciardini comparisce una generazione già rassegnata. Non ha illusioni. E perchè non vede rimedio a quella corruttela, vi si avvolge egli pure, e ne fa la sua saviezza e la sua aureola. I suoi Ricordi sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola della vita.
Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo Stato del Machiavelli. Tutti gl'ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sè, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita.
Fonte: Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana, http://www.belpaese2000.narod.ru/Teca/Cinque/sanctis53.htm
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