Era il "raccomandato" del mio capitano
Quel soldato che non si presentava mai all'alzabandiera
Dormiva, sapendo di essere intoccabile. Era una situazione che da sottotenente non potevo tollerare: un esempio diseducativo per tutto il plotone che comandavo. Gli detti la consegna di rigore. Il capitano per tutta risposta lo mandò a casa in licenza premio.
23 agosto 2024
Era l’agosto del 1981, un’estate calda e lunga che ricordo ancora come fosse ieri. Avevo 23 anni, stavo facendo il militare. Ero a L'Aquila, sottotenente di complemento, e - allora come oggi - credevo fermamente nell'uguaglianza, quella che dovrebbe essere alla base di ogni società. Avevo la convinzione che il rispetto delle regole dovesse valere per tutti, senza eccezioni.
In quei giorni entrai in un conflitto indiretto con il mio capitano. Era un uomo che proteggeva un raccomandato. Questo soldato non si presentava mai all'alzabandiera. Dormiva, sapendo di essere intoccabile. Era una situazione che non potevo tollerare, era diseducativo per tutto il plotone che comandavo. Così, feci quello che ritenni giusto: gli detti alcuni giorni di consegna di rigore, come si faceva con tutti in questi casi.
Mi dissero di fare attenzione, che quel soldato era protetto dal capitano, e che poteva costarmi caro.
Mi aspettavo una reazione immediata, ma questa non arrivò. Il capitano un giorno mi prese da parte e bonariamente mi raccontò che quel soldato gli teneva in ordine le carte. Un rapporto di aiuto, nulla di più, che lui ricambiava esonerandolo dall'alzabandiera. Tuttavia, poco dopo, il capitano fece qualcosa che mi stupì. Avevo dato consegna di rigore al raccomandato, ma lui gli concesse una licenza premio. Era un chiaro segnale: le regole le dettava lui.
Non potevo lasciare che passasse sotto silenzio.
Con la Costituzione alla mano, decisi di scrivere al comandante della caserma, un generale. Citai l’articolo 3, quello che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini. Scrissi che se quel soldato raccomandato veniva premiato invece di essere punito, allora non avrei più punito nessuno. Stavo aprendo un problema enorme ed ero consapevole delle possibili conseguenze.
La mia presa di posizione evidentemente non fu ben digerita. A Ferragosto, quando ero responsabile della sicurezza della caserma perché tutti gli alti ufficiali erano in ferie, il generale decise di testare la prontezza dei miei soldati con un blitz. Forzò un posto di sorveglianza con la sua auto e arrivò a tutta velocità davanti al mio posto di comando. Frenò bruscamente davanti a me, scese e cominciò a urlare davanti a me e a tutte le sentinelle. Mi gridò contro parole come: "E se fossi stato delle Brigate Rosse?"
L’intera scena mi parve assurda.
Tutti lo avevano riconosciuto: la sua Renault azzurro metallizzata era ben nota a tutti. Il suo volto e la sua fisionomia erano stati riconosciuti.
Ci mancava poco che qualcuno gli rispondesse: "Generale, ma lei non è delle Brigate Rosse!"
Mi sembrò di essere in un film.
Il giorno dopo decisi di rispondere per le rime al blitz del generale.
Feci il giro d’ispezione di tutta la caserma e preparai un rapporto dettagliato su ogni punto vulnerabile della struttura. Elencai tutti i luoghi dove un esterno poteva entrare facilmente. “Ecco i punti in cui i brigatisti possono entrare”, scrissi nel rapporto, con l'intenzione di colpire l’orgoglio del generale. Invece, il mio rapporto arrivò nelle mani di un tenente colonnello, un imboscato responsabile della sicurezza che non avevo mai visto in giro. Quando si presentò da me, mi mostrò sbalordito il rapporto che avevo scritto. E mi disse solamente queste parole: "Marescotti... ma ti rendi conto di cosa hai fatto!?"
Quell'estate segnò un punto di svolta per me.
Avevo creduto in certi principi, e per essi avevo sfidato l’autorità. Ma quelle sfide, quei confronti tesi con i miei superiori "in nome dei principi", mi costarono caro. Le note caratteristiche negative stilate alla fine del servizio mi chiusero ogni prospettiva di carriera, anche dopo il congedo. Altrimenti, oggi sarei un tenente colonnello in pensione. Quando ricevetti le note negative, scrissi da congedato al comandante del battaglione una lettera per contestarle. Non perché volevo entrare nell'esercito, anzi, ma per una questione di principio.
Non ho mai rimpianto quelle mie scelte. Quei principi li avrei conservati e spiegati ai miei studenti, tre anni dopo, nell'ora di educazione civica. A 26 anni diventai docente. E ricevetti, dal preside Franco Scherma, quelle note caratteristiche positive che mi erano state negate alla fine del servizio militare.
Note: Post scriptum - Cosa scrissi al mio comandante di battaglione alla fine della mia lettera? Prima di incollare il francobollo sulla busta, vidi che era rimasto uno spazio vuoto alla fine del foglio. Ricopiai questa frase di Albert Einstein: "Disprezzo profondamente chi è felice di marciare in ranghi e nelle formazioni al seguito di una musica; costui ha ricevuto solo per errore il cervello: un midollo spinale gli sarebbe più che sufficiente". Era tutto virgolettato, la citazione era attribuita all'autore. Se partiva la querela se la beccava l'ideatore della teoria della relatività.
Parole chiave:
memoria, servizio militare
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