Mare Nostrum incrina la censura nei giornali della sinistra...

11 giugno 2005

da Liberazione di sabato 11 giugno 2005

La denuncia del presidente della regione Puglia e del segretario della Fnsi Serventi Longhi a Bari.
Il black-out dei media sull'inchiesta "Mare Nostrum" di Stefano Mencherini, in sciopero della fame

Cpt e informazione. Vendola: «Mafia delle parole»

Giulio Di Luzio
Bari nostro servizio
L'attacco alla libertà di informazione è a tutto campo. Gli editori non intendono contrattare alcunché e chiedono l'applicazione integrale al lavoro giornalistico delle forme estreme di precarietà previste dalla legge 30. Quella che la Fieg vuole imporre è una pagina triste per il futuro dell'informazione in Italia, hanno sottolineato ieri a Bari il presidente della regione Puglia Vendola ed il segretario della Federazione della stampa Serventi Longhi. Vi è la prospettiva di una censura preventiva che ha riempito col suo peso sinistro le stanze dell'Assostampa. Uno scenario che usa il licenziamento - a Bari contro un giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, a Milano ai danni di un collega de Il Giorno - come monito a subordinarsi agli interessi dell'editore, che polverizza il lavoro giornalistico, aumentandone la ricattabilità.
Un quadro allarmante, già denunciato dal Libro bianco sul lavoro nero e sulle violazioni dei diritti dei giornalisti a cura della Fnsi, con decine di casi di sfruttamento e censure, fatti pesare con più forza contro chi cerca di fare dell'indipendeza la propria bandiera. Come il caso di Stefano Mencherini, sostenuto da Vendola e Serventi Longhi, che porta avanti ad oltranza uno sciopero della fame contro il black-out dei media su "Mare Nostrum", la sua inchiesta censurata sui Centri di permanenza temporanea e sul Cpt Regina Pacis di San Foca nel leccese, che tuttavia registra crescenti richieste di proiezioni e una rete di sostegno - da don Gallo di Genova al Laboratorio Zeta di Palermo - alla ricerca di un distributore indipendente.

Mencherini ha lanciato un vibrante appello al giornalismo pugliese, tanto spesso supino verso i propri editori, incapace di uno scatto di reni indispensabile per abbattere quel muro di omertà ed omissioni - «mafia delle parole» l'ha definito Vendola - che proprio sul tema dei Cpt e dell'accoglienza di profughi e migranti registra gravi silenzi e sottovalutazioni. Un richiamo che certamente farà discutere, ma di cui si sentiva la necessità in un territorio come la Puglia da cui è partita la proposta di Nichi Vendola di chiudere tutti i Cpt. Un'idea che, oltre a creare qualche fibrillazione al Viminale, ha raccolto adesioni non solo al Sud, dal presidente della regione Calabria Loiero al governatore emiliano Vasco Errani, da Vito De Filippo, presidente della regione Basilicata a Luigi Nieri, assessore al Bilancio della regione Lazio.

Una proposta che punta alla chiusura dei 14 centri di permanenza temporanea esistenti in Italia e al blocco della progettazione di altri 7 sparsi su tutta la penisola, uno proprio a Bari, nel quartiere San Paolo, un'area periferica della città già gravata da forme diffuse di disagio sociale, minorile in particolare. Un Cpt non ancora in funzione ma che ha già incontrato un fronte di opposizione deciso a non fare più della Puglia un laboratorio di sperimentazione delle politiche di accoglienza di profughi e migranti.

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dal Manifesto, 11 giugno 2005, pag. 10

LECCE
«Io, torturato al Regina Pacis»
Parla testimone al processo per le violenze nel Cpt di Lodeserto
IRENE ALISON
Gira la faccia verso la luce. Perchè i segni lasciati dal manganello si vedano meglio.«Vedi questa?» dice facendosi scorrere un dito sotto il mento, «me l'anno fatta i carabinieri con i loro bastoni». Si chiama Montassar Souden, viene dal Marocco e parla con un filo di voce. In Mare nostrum - documentario del 2003 di Stefano Mencherini che ha contribuito a denunciare gli orrori del centro di permanenza temporanea «Regina pacis» di San Foca (Lecce), portando all'arresto del suo direttore don Cesare Lodeserto - aveva la faccia insanguinata e gridava con tutto il fiato che aveva in gola, le braccia spalancate come un cristo in croce. E, accanto a Mencherini, Montassar racconta la sua storia al pubblico che il documentario incontra in giro per l'Italia nelle molte proiezioni non ufficiali (non ha ancora un distributore). Giovane barbiere di Wijda, il suo viaggio Montassar lo ha cominciato in Libia, sui legni traballanti di un barcone. Lo sbarco a Lampedusa, 8 giorni di attesa e infine Regina Pacis. «Quando sono arrivato non capivo niente, non conoscevo la lingua e non sapevo che posto fosse. La prima cosa che ha detto don Cesare ai nuovi arrivati è stata: qui comando io. Gli altri marocchini, quelli che erano già a cpt, mi hanno detto subito di stare attento a lui, che non era un uomo buono». Al Regina pacis Montassar resiste per 20 giorni di «sporco, puzza insopportabile e violenza continua» poi, una notte, prova a scappare con altri 26 saltando giù da un muro. «Neanche ce l'ho fatta a mettere piede fuori» racconta, «sono saltato e i carabinieri mi hanno preso subito». Dopo, sulla pelle di Montassar e degli altri, Regina pacis ha scritto le regole della sua legge: «Mi hanno sbattuto la testa nel muro, picchiato col manganello sulla schiena, poi hanno cominciato a pestarmi la faccia, facendomi saltare 3 denti. Mentre i carabinieri mi picchiavano lì davanti c'erano tutti, don Cesare e i suoi aiutanti».

Sorride un poco, Montassar, mentre racconta, ma è solo per far vedere lo spazio vuoto tra i molari. Poi va avanti: «Anche i miei amici sono stati picchiati. Gli hanno infilato in bocca pezzi di maiale crudo. A un certo punto però non ho visto più niente, sono svenuto». «Quando sono rinvenuto - continua - era arrivato il dottore. Perdevo molto sangue, ma don Cesare non voleva che mi portassero all'ospedale. Il dottore però ha insistito, diceva che ero grave». All'ospedale, il giovane albanese che lo «scorta» da Regina pacis, dice al medico che Mortassar è caduto da una finestra. «Io non capivo l'italiano, ma parlo francese e quello che gli sentivo dire mi suonava strano...ripeteva "si è fatto male da solo", allora ho cercato di far capire a gesti al dottore che mi avevano picchiato». Quando, qualche tempo dopo, Montassar è potuto tornare all'ospedale per recuperare il referto medico, ha scoperto che era stato registrato con un nome falso. La sua denuncia però - insieme a quella di alcuni cittadini leccesi e di altri immigrati - ha permesso l'apertura di un processo per fare luce sulle torture che 7 operatori e 11 carabinieri avrebbro inflitto agli immigrati internati nel cpt con la complicità di due medici. Primo ad essere indagato, per sequestro di persona e abuso di mezzi di correzione, don Lodeserto.

A Montassar, restano adesso i ricordi di Regina pacis scritti in faccia e, in tasca, un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Sorride ancora, ma, stavolta, di rassegnazione: «Lavoro due giorni sì e 10 no, questo permesso non è buono per lavorare. E poi preferisco farlo vedere meno possibile: quando i carabinieri me lo chiedono e scoprono che ho denunciato i loro colleghi, non la prendono bene».

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taglio medio

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Illy aderisce al fronte anti-Cpt
Il governatore del Friuli: «Vendola indìca al più presto il forum nazionale»
ANTONIO MASSARI
E cinque: anche Riccardo Illy, presidente del Friuli Venezia Giulia, si unisce alla schiera dei governatori disobbidienti. «Mi associo volentieri all'invito del presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, e sottoscrivo il suo patto contro i Cpt», dice Illy, soddisfatto per il consenso che la proposta del governatore pugliese, lanciata attraverso il manifesto, sta suscitando nel resto del paese. «Mi fa piacere», continua, «che in questa battaglia per il superamento della Bossi-Fini si siano uniti anche i governatori della Calabria, della Basilicata e dell'Emilia Romagna. Ora affrettiamoci. Vendola propone che in Puglia si tenga un forum nazionale contro i Cpt? Bene, facciamolo il prima possibile, perché siamo intenzionati a interrompere quanto prima la costruzione del centro presente nella nostra regione». Al centro di Gradisca, Illy s'era opposto sin dal principio: «A Pisanu abbiamo chiesto immediatamente la documentazione relativa al centro», conferma Roberto Antonaz, l'assessore a Cultura, Istruzione e Pace, «considerato che il ministro dell'Interno sosteneva di aver ricevuto l'autorizzazione della Regione. Ad oggi, nonostante le nostre richieste, e dopo ben due incontri, il ministro non ci ha ancora fornito i documenti necessari. Documenti che, se fossero nelle nostre mani, potremmo finalmente impugnare. Nel frattempo i nostri uffici legali stanno lavorando perché nella nostra regione, questo lager, non lo vogliamo. Per questo speriamo che la proposta di Vendola si tramuti presto in un appuntamento: riuniamoci, incontriamoci in questo forum, perché da noi il muro del Cpt è stato completato, i lavori al suo interno procedono con rapidità e, probabilmente, l'inaugurazione potrebbe avvenire prima della fine dell'anno». E un invito all'alleanza con i governatori, per chiudere i Cpt, arriva anche dall'Abruzzo: «Chiediamo a Del Turco di aderire all'appello per un forum nazionale contro i centri di permanenza temporanea, lanciato dal presidente della Regione Puglia», dice l'assessore regionale Daniela Santoni (Prc), «un impegno al quale hanno già aderito l'Emilia Romagna, la Calabria e la Basilicata: un forum in grado, da un lato, di istituire un tavolo di discussione nazionale tra istituzioni regionali, provinciali e comunali, associazioni e sindacati e, dall'altro, di sperimentare anche progetti legislativi. A chi ci contesta, come Pisanu, sostenendo che c'è una legge nazionale alla quale le regioni non possono disobbedire, ricordiamo che c'è anche un'altra legge nazionale, quella su cui è fondata la nostra Italia, la Costituzione: all'articolo 10 sancisce l'obbligo a concedere asilo agli stranieri ai quali è impedito in patria, l'esercizio delle libertà democratiche». Una posizione condivisa anche dal senatore diessino Nuccio Iovene: «Ha fatto bene Loiero, rispondendo all'appello del suo collega pugliese Vendola, quando ha dichiarato che la Bossi-Fini non funziona, anzi non ha mai funzionato, e che è ora di cambiarla. Ora dobbiamo mettere in campo tutte le azioni per trovare una soluzione positiva al fenomeno migratorio».

Intanto, a Bari, ieri è stata riaperta la roulottopoli di Palese, chiusa da oltre due anni, per l'arrivo di 120 immigrati sbarcati nei giorni scorsi a Lampedusa. «Ho espresso al prefetto la nostra preoccupazione», commenta l'assessore comunale Pasquale Martino, «e ho sollecitato la prefettura a garantire la massima celerità nei riconoscimenti del diritto d'asilo e che sia garantito l'accesso ai rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni umanitarie».

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