Lodeserto: arriva anche il peculato

16 aprile 2005
Fonte: Il Manifesto

Lodeserto, terza accusa
Don Cesare dovrà rispondere anche di peculato
AN. MAS.
Ennesimo rinvio a giudizio per don Cesare Lodeserto. L'ha disposto ieri il gip di Lecce Andrea Lisi: l'ex direttore del cpt Regina Pacis di San Foca questa volta è accusato di peculato. Avrebbe sottratto allo Stato 700 milioni di vecchie lire per costruire un altro centro a Quistello di Mantova. Un affare gestito in famiglia, visto che tra gli imputati figura anche suo cugino, Renato Lodeserto, ex militare della Guardia di Finanza. Un'altra tegola sul capo del sacerdote, che solo due giorni fa era riuscito a ottenere gli arresti domiciliari, dopo una settimana di carcere a Verona e diverse settimane ai «conventuali», in una abbazia di Noci, in seguito all'accusa di sequestro di persona, violenza e abuso dei mezzi di correzione ai danni di alcune donne immigrate, affidate al Regina Pacis in regime di protezione. L'inchiesta nata nel 2001 sfocerà nella sua prima udienza il 7 ottobre: Lodeserto è accusato dal pm Imerio Tramis, di essersi appropriato del denaro che la Prefettura di Lecce gli corrispondeva quando il Regina Pacis era ancora una Onlus e quindi non poteva perseguire fini di lucro. «All'epoca don Cesare», spiega il sostituto procuratore Giuseppe Vignola, «in cambio dell'accoglienza agli immigrati percepiva un rimborso dalla Prefettura di Lecce. In seguito ad alcune indagini scoprimmo che, attraverso suo cugino, il Regina Pacis teneva una doppia contabilità: a nostro avviso s'erano appropriati di quel denaro per costruire il centro di Mantova. Fu allora che chiedemmo, ottenendolo, il sequestro delle palazzine di Quistello». Un sequestro che l'avvocato Pasquale Corleto, ricorrendo in Cassazione, riuscì a fare decadere tirando in ballo il diritto canonico e i Patti Lateranensi, in base ai quali «l'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico». Ma quello della prefettura era un rimborso effettuato con denaro pubblico e quindi andava rendicontato allo Stato. Tant'è, aggiunge Vignola, che essendo il cpt a corto di denaro, «luce e acqua furono pagate dal Comune». Su Don Cesare pesano ad altri due procedimenti: il primo, per essersi inviato un falso sms di minacce allo scopo di ottenere una scorta; il secondo lo vede imputato, con altri operatori, dei maltrattamenti a 17 maghrebini.

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