Le inchieste Diario d'informazione civile

28 luglio 2005
Carlo Ruta

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Ragusa, 28 luglio 2005

Cari amici, sottopongo alla vostra attenzione due fatti, di diritti negati e di violenza, di cui si sta occupando in questo momento www.leinchieste.com. Ve li propongo attraverso le parole forti delle persone che ne sono vittima, attorno alle quali sta creandosi un silenzio greve e minaccioso, malgrado le denunzie inoltrate alle istituzioni. Vi prego vivamente di darne conto, di far conoscere le testimonianze nei modi che ritenete possibile, di riproporle in altri spazi informativi, web e cartacei, e, se lo ritenete opportuno, di intervenire, perché non si consumino, nel riserbo assoluto, ulteriori scempi.
A tutti grazie e un cordiale saluto
Carlo Ruta

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La vittima del racket e lo Stato che non c'è. Clamorosa protesta dell'imprenditore vittoriese Giovambattista Gulino, davanti alla prefettura di Ragusa.

Giovambattista Gulino è un imprenditore vittoriese che non si è voluto piegare ai racket estorsivi della sua città, perché crede fino in fondo nella dignità umana. Ma è insorto pure contro l'istituzione più rappresentativa dello Stato, da cui è sentito del tutto abbandonato. E lo scorso 22 luglio ha attuato una clamorosa protesta. Ha indetto una conferenza stampa sotto il portone della prefettura di Ragusa, per reclamare il risarcimento dei danni subiti dal racket, come prescritto dalla legge 44/99. Siamo andati alla conferenza, dove era accompagnato dalla moglie Concita, giornalista, e da alcuni suoi dipendenti. Ha esposto le sue ragioni, che meritano la condivisione piena della società civile. Abbiamo raccolto alcune sue significative dichiarazioni, che proponiamo di seguito.

Vittoria ha traversato un periodo particolarmente drammatico, e tu in tale contesto, insieme con la tua famiglia, hai vissuto esperienze durissime. Sei stato tra gli imprenditori che più sono stati presi di mira dai racket estorsivi e dalle organizzazioni criminali. Ma non hai conosciuto solo attentati incendiari e minacce estorsive. Hai subìto, come hai argomentato in altre sedi, l'indifferenza colpevole se non addirittura l'ostilità delle istituzioni dello Stato. Cosa puoi dire di tutto questo?

Posso dire che ho riscontrato delle sostanze comuni, a partire dal metodo, malgrado le diversità che passano fra i vari livelli. Il racket mi ha tenuto per anni sotto scacco, al fine di distruggermi. Le istituzioni pubbliche prima mi si sono presentate "vicine", ma quando più sono stato esposto mi hanno abbandonato.

Partiamo dalla vicenda dei racket. Cosa è ti accaduto in particolare?

Nei primi anni novanta, quando Vittoria è divenuta una capitale siciliana delle cosche, io effettivamente sono stato preso di mira dal racket estorsivo, ma non ho voluto piegarmi alle minacce e agli attentati. Ho deciso quindi di denunciare i fatti alle istituzioni, che tuttavia, sin da subito, malgrado la disposizione apparentemente favorevole, hanno dimostrato carenze e scarsa professionalità. In quelle prime fasi qualcosa si è fatto beninteso, grazie pure alla buona volontà mia e di altri, malgrado la confusione imperante negli uffici operativi e i deficit di coordinamento da parte della Procura. Via via ho però capito che qualcosa non andava. Con l'ausilio dei mezzi d'informazione si voleva dare il senso della vicinanza dello Stato al cittadino che denunzia. In realtà le vittime del racket erano tenute in scarsissima considerazione. Di primo acchito i responsabili degli uffici cui mi ero rivolto promettevano di aiutarmi, di stare vicino a me e alla mia famiglia. Ma sono sopravvenute presto altre condotte. Si trinceravano nei loro uffici. Si mostravano indisponibili a ricevermi, facendomi dire che erano impegnati. Mi evitavano in tutti i modi, anche perché a corto di argomenti. E tutto questo era mortificante.

Giovambattista, il racket ha cambiato la tua vita?

Il racket ti distrugge, perché ti colpisce a 360 gradi. Ti colpisce nella mente, negli affetti, per timore che possano subire danni le persone che ti sono più vicine, mette profondamente in discussione tutto quello che hai realizzato in una vita. Non ti senti più padrone delle tue cose, se arrivano a bruciarti l'automobile davanti alla porta di casa. Il racket ti colpisce nelle amicizie, perché ti fa il vuoto attorno, perché ti ritrovi improvvisamente solo. Ti posso dire che in certi periodi non potevo addirittura uscire di casa: non perché avessi paura di coloro che mi minacciavano, ma perché avevo "paura" della società, della gente "onesta" che mi bollava come un perdente. La città rispondeva agli attacchi dei racket con inadeguatezza. Il cittadino osservava con distacco la mia vicenda, mi additava, mi giudicava, dicendo magari fra sé e sé "chissà cosa c'è sotto". Tutto questo io lo avvertivo e mi faceva male, più di quanto me ne facessero le vessazioni degli estortori.

Vogliamo dire adesso del tuo rapporto con le istituzioni in questi lunghi anni?

Dei cosiddetti boss, come ti dicevo, in fondo non avevo paura. Li conoscevo bene, sin da quando erano dei ragazzini. Individualmente erano dei codardi. Solo nel muoversi in gruppo acquistavano forza. Quindi non potevo temerli. E se non temevo loro, che pure mi tenevano sotto tiro, non potevo certo temere le istituzioni quando hanno preso a esibire nei miei riguardi un aspetto torbido e nemico. Debbo dire che per dieci anni ho chiesto ristoro allo Stato, e, pur avendo ottenuto il riconoscimento di vittima dell'estorsione, per dieci anni è stato fatto il possibile per impedirmi di attingere al fondo previsto dalla legge. Ho dovuto ricorrere al TAR, e questo mi ha dato ragione. Ma mi è stato nuovamente negato ogni risarcimento. Per reclamare i miei diritti ho dovuto attuare quindi una dura protesta, rivolgendomi pure ai mass media, e solo allora ho ottenuto delle tranches di quanto mi spettava.

Puoi dire quali persone e quali uffici istituzionali si sono messi di traverso, hanno cercato cioè di impedire che ti fossero risarciti i danni causati dai racket, come previsto dalle leggi dello Stato?

Faccio una premessa. Il sud-est siciliano ha accolto solitamente prefetti di pura rappresentanza, che talora hanno finito con il fare da notai degli interessi in gioco, leciti e non solo, ma ne ha ospitati anche valorosi, che hanno fatto del loro meglio per combattere le iniquità, visibili e nascoste, come Prestipino Giarritta, nei primi anni novanta. Ebbene, a mio discapito ho potuto capire che l'attuale prefetto di Ragusa, il calabrese Sandro Calvosa, incarna la tradizione principale, trattandosi di una persona inadeguata al ruolo istituzionale che ricopre. Riguardo al mio caso, tale rappresentante dello Stato ha assunto impegni morali che, premeditatamente, non ha mantenuto. Con il suo veto ha infatti reiteratamente bloccato il definitivo risarcimento dei danni da me subiti: a dispetto della legge 44, che pure è chiara, precisa, inequivoca.

Come hanno reagito i vittoriesi?

I vittoriesi sono laboriosi e ricchi di inventiva, in massima parte sono persone perbene, però in città permane molta ignoranza, pure a causa della dispersione scolastica, che non risparmia le ultime generazioni. E in tali condizioni, che diventano drammatiche in alcuni quartieri, insistono a trovare buon gioco fenomeni degenerativi come il pizzo, l'illegalità delle cosche, il traffico dei narcotici, la tradizione della "giustizia" privata. A fare da collante al tutto è ovviamente una certa cultura dell'omertà, che tarda a scomparire.

Il tuo rapporto con le istituzioni come è mutato?

Prima che vivessi le esperienze di cui stiamo parlando avevo soggezione davanti a coloro che rappresentano l'autorità. Quando mi introducevo in certi uffici pubblici provavo disagio. Sentivo lo Stato come una presenza austera, che mi incuteva timore. Ma lentamente ho maturato tante cose. L'educazione civica suggerisce che non si è sudditi bensì cittadini, che tutti siamo uguali di fronte alla legge, che la dignità umana va rispettata, che chi esercita una funzione pubblica non può arrogarsi privilegi e intimorire il cittadino, né può trasformare la sua mansione in un potere personale. Ebbene, purtroppo le cose stanno diversamente, e io ne ho fatto esperienza a mie spese. Sono stato vilipeso, isolato, mortificato. Ma, come detto, non ho avuto paura. Non ho esitato nel reclamare i miei diritti. Non ho avuto timore di dire e di scrivere al prefetto tutto quello che pensavo di lui. E oggi, nonostante tutto, non ho timore a protestare, qui, sotto la prefettura di Ragusa, perché venga fatta giustizia.

Intervista a cura di Carlo Ruta

per contatti: gulino.gb@tiscali.it
Cell.338.2318692

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Barbara, ragazza dell'est europeo, vessata, stuprata, minacciata di morte. Ha denunziato tutto, ma rimane pericolosamente sola. Si faccia qualcosa, prima che sia tardi!

Barbara Nowek è una cittadina polacca di 28 anni, che, come tante altre, è venuta nel nostro paese per cercare lavoro, costretta dalle difficoltà economiche in cui versa la sua famiglia. E' sposata e madre di una bambina. E' arrivata in Sicilia, a Ragusa, con tante speranze, ma ha fatto presto a disilludersi. Come tante altre, nella nostra Europa "civilissima", ha subìto infatti con continuità offese e umiliazioni. In ultimo è stata stuprata e ha ricevuto minacce di morte. E tutto questo l'ha prostrata. Adesso, non potendo più lavorare, trascorre le sue giornate "barricata" in casa, ospite di un amico, Marco, che si è preso cura di lei. Barbara ha avuto il coraggio di presentare denunzia presso i carabinieri di Modica, reclamando giustizia, manca però di ogni tutela. Chiede quindi aiuto, ed è auspicabile che la sua testimonianza, che viene proposta di seguito, riesca a giungere a sedi della società civile che possano occuparsi del suo caso. Per ragioni di sicurezza non può essere esposto il numero del suo cellulare. Chi intende contattarla può farlo comunque scrivendole al seguente indirizzo email: sos.barbara@tiscali.it

Mi dica qualcosa di lei.

Mi chiamo Barbara Nowek, ho 28 anni, sono originaria della Polonia, e sono venuta in Italia per potere mantenere la mia bambina e mio marito, che ho lasciato in Polonia.

Può raccontarmi perché è venuta in Italia?

Prima di venire in Italia abitavo vicino Kielce con mio marito Mariusz e mia figlia Wiktoria di 6 anni, lavoravo in un pollaio, mi alzavo alle 4 di mattina per andare al lavoro in bicicletta, guadagnavo 400zl al mese, circa 100euro. Con questi soldi dovevo mantenere mio marito, che non riusciva a trovare lavoro e la mia bambina. Questi soldi non potevano bastare, anche perché avevamo dei debiti, e quindi ho deciso di andare all'estero.

Come è arrivata in provincia di Ragusa?

Mi sono rivolta ad un vicino che mi ha dato il numero di un certo Marco, da cui erano già andate sua figlia e sua sorella, assicurandomi che era una persona affidabile. Marco è venuto a prendermi alla stazione, e mi ha portato da una famiglia di Ragusa. Dovevo assistere un uomo di circa 80 anni seduto sulla sedia a rotelle, a Ragusa in via Generale Scrofani. Non mi hanno voluta, perchè non sapevo parlare italiano e perché ero troppo magra e piccola per potere sollevare il vecchietto.

E come ha fatto, senza lavoro e senza conoscere la lingua italiana?

Ho avuto paura che sarei dovuta tornare in Polonia. Invece il signor Marco mi ha portata a casa sua, a Modica, dove mi ha ospitata, e insieme alla sua ragazza, mi hanno insegnato un poco di italiano, a cucinare, insomma mi hanno trattata bene.

Ha poi trovato un lavoro?

Dopo una settimana Marco mi ha trovato un lavoro a Ragusa, dalla signora Maria S., in via Generale Scrofani. Lì sono rimasta dal fino al marzo 2004. Per un mese sono andata in Polonia, ho finito tutti i soldi guadagnati, e sono dovuta tornare dalla signora Maria S..

Come si è trovata in questo posto di lavoro?

Era il mio primo lavoro, non potevo fare confronti. Mi pagavano 520 euro al mese, da mangiare non compravano quasi niente, compravo quasi tutto con i soldi che guadagnavo, anche alla vecchietta davo quello che compravo con i miei soldi. Non avevo libera uscita, solo mezz'ora al giorno se la vecchietta dormiva.

E' mai stata molestata da qualcuno?

Durante la permanenza a Ragusa, sono stata moltissime volte molestata dal dottore della signora, G. C., che con la scusa di visitare la signora, veniva quasi ogni giorno, anche di domenica, e dal figlio della signora G. A..

Può raccontarci qualche episodio in particolare?

Il dottore, per due volte, mi attirò con una scusa nell'ambulatorio, e dopo aver chiuso la porta, mi chiedeva ripetutamente di prenderglielo in bocca. Gli ho sempre detto di no, lui insisteva, diceva che ero cattiva perché lui mi dava le medicine e io non volevo aiutarlo. Il figlio della signora, invece, mi chiedeva di baciarlo e mi proponeva rapporti sessuali, e io dicevo sempre di no. Ma solo a parole, né il dottore, né il figlio mi hanno mai usato violenza. nè mi hanno minacciata. Una volta, nell'ottobre 2004, mi è anche capitato che un meccanico di nome Enzo, che aveva una polacca amica mia ad assistere la mamma, polacca che lui molestava in continuazione, mi ha invitata nella sua officina di sera per ripararmi il motorino, mi ha chiusa dentro, e mi ha ripetutamente proposto atti sessuali, facendomi vedere una videocassetta pornografica. Ma vedendo il mio rifiuto mi ha infine aperto.

A parte questi episodi, ha subito altro?

Certamente, capitava spesso che sconosciuti mi abbordavano per strada invitandomi ad andare con loro, capitava che sconosciuti telefonassero per conoscermi e invitarmi..., ma tutto questo è normale, capita a tutte noi straniere.

Cosa pensa di questa situazione, cioè delle molestie?

Le altre polacche mi spiegavano che è così in tutti i lavori, che in Sicilia è normale che qualcuno molesti le polacche, che in ogni casa c'è o il vecchio stesso, o un figlio, un nipote, un genero, un parente, un amico, un dottore, un infermiere, un vicino, sempre c'è qualcuno che fa proposte sessuali, che dovevo accettare questa situazione e dovevo imparare a difendermi, e se la situazione diventava pericolosa dovevo immediatamente rivolgermi a Marco che poteva parlare con loro o anche cambiarmi lavoro.

Fino a quando ha lavorato a Ragusa?

Il 6 novembre 2004 hanno arrestato Marco, il signore che mi ha trovato il lavoro, non ho capito per quale motivo, e a me hanno ritirato i documenti. Così il figlio della signora Maria S., il 10 novembre 2004, mi ha buttata fuori. Senza lavoro, senza documenti, senza famiglia, senza amici, senza nessuno, non sapevo cosa fare. Tutte le polacche che prima venivano a trovarmi sono sparite, nessuno voleva aiutarmi, nessuno mi voleva al lavoro, in Polonia non potevo tornare perchè non avevo i documenti, per l'albergo non avevo soldi.

E come ha fatto, senza casa e senza potere tornare in Polonia?

Mi ha aiutata la ragazza di Marco. Mi ha portata a casa sua, mi ha pagato da mangiare, mi ha dato per qualche settimana il suo posto di lavoro, per farmi guadagnare qualcosa per mandare alla mia bambina.

Ha poi trovato un altro lavoro?

A gennaio del 2005 ho trovato lavoro da una zia di Marco, M. S. a Ragusa in via Natalelli. Dopo meno di tre mesi mi sono ammalata, non potevo più continuare a lavorare. Allora, a fine marzo del 2005 mi sono licenziata e nuovamente sono tornata da Marco che mi ha ospitata, mi ha portata dal dottore, mi ha comprato le medicine.

Come mai non si è occupata la datrice di lavoro, della sua malattia?

Io lavoravo in nero, se stavo male dovevo lavorare lo stesso, e il lavoro era molto perché dovevo pulire due grandi appartamenti, andare in giro per le spese, portare il cane a passeggio. Ho lavorato anche con la febbre alta. Ma in ultimo non potevo più muovermi, dovevo andar via.

Come è finita a lavorare a Modica?

Dopo 14 giorni di riposo, ospite in casa del signor Marco, questi mi ha detto che aveva trovato un lavoro leggero, adatto per me che ormai ero in scarse condizioni, a Modica, vicino casa sua.

Può raccontarci qualcosa su questo nuovo lavoro?

L'11 aprile 2005, sono andata ad accudire il sig. G. P. in via Sacro Cuore a Modica. Si trattava di un uomo circa 82 anni, allettato, con il catetere e la flebo. Nella casa non c'erano mobili, non c'era cucina, non c'era frigorifero. Nella stanza in cui dormiva il vecchietto c'era un altro letto in cui ho saputo che dormiva il figlio, E. P. di circa 60 anni. Veniva una signora per lavare l'anziano e due infermieri per curarlo. Il figlio E. P. con la moglie S. F. abitavano nell'appartamento accanto, sullo stesso piano. Il mangiare lo preparava la moglie S. F.. Di notte il figlio dormiva con il vecchietto.

Ma allora lei cosa ci stava a fare, qual era il suo ruolo?

Io non capivo per cosa ero necessaria: non dovevo lavare il vecchietto, non dovevo lavare i panni, non dovevo assisterlo di notte, non dovevo cucinare, a mangiare gli dava il figlio, insomma non ho capito perché volevano una polacca. Ho anche chiesto se potevo venire solo di giorno, vedendo che la notte non ero necessaria. Il figlio E. P. mi ha risposto che così si sentiva più sicuro e che dovevo restare anche di notte.

Non le sembrava un po' strana questa situazione?

Tutto mi sembrava strano, ma Marco mi ha rassicurato dicendo che non poteva succedere niente perché lui aveva raccomandato a E. P. di comportarsi bene, e perché accanto c'era la moglie S. F..

Come si comportava questo signore, cioè il figlio dell'anziano?

Fin dal primo giorno voleva sempre parlare con me, mi faceva strani discorsi, diceva che ero una donna speciale, che ero buona, che avrebbe voluto una moglie come me, che la sua donna non valeva niente, che solo voleva soldi e non voleva sapere niente di aiutare con il padre. Nei giorni successivi ha anche incominciato a dire che gli piaceva come mi muovevo, come mi vestivo, che ero molto sexy.

Si è confidata con qualcuno?

Ero preoccupata, l'ho detto a Marco, gli ho chiesto di cambiarmi lavoro, ma lui mi diceva che il signor E. P. non poteva fare niente. Ho comunque riferito quanto accadeva anche ad altre persone.

Lei ha avuto paura di questo signore?

Io dormivo in una stanza a parte, diversa da quella in cui dormivano il vecchietto G. P. e il figlio E. P., mi chiudevo sempre a chiave, non uscivo mai per andare in bagno, perchè avevo paura di lui. Quell'uomo vecchio, enorme, brutto, con i suoi modi di fare falsi, modi che avevo già visto in altre persone che volevano portarmi a letto, mi faceva molta paura.

In che condizioni psichiche lei si trovava in quel momento della sua vita?

Io ero psicologicamente distrutta, per l'arresto di Marco e di un suo amico pure di nome Marco, e perché avevano accusato anche me e la ragazza di Marco, Anita, per associazione a delinquere, perché ero rimasta senza lavoro e senza soldi, avevo paura di tutti e di tutto, non avevo più nessuna amica perché tutte si erano allontanate dopo l'arresto di Marco. Avevo bisogno di lavorare perché avevo ancora debiti da pagare e dovevo spedire ogni mese i soldi per la mia bambina. La notte non riuscivo a dormire per la paura che mi venisse a bussare, perché lui era sveglio, perché il vecchietto chiamava in continuazione di notte per essere portato in bagno, e avevo paura che mi chiamasse per essere aiutato. Ho anche notato che la notte, dopo cena, chiudeva la porta di ingresso a chiave, lasciando la chiave nella serratura, forse per impedire che la moglie potesse aprire con la sua chiave.

Quell'uomo si è limitato alle parole come gli altri, oppure è andato oltre?

E' successo, una notte, nella seconda metà di aprile 2005, che mi sono sentita male, ho avuto mal di pancia, e ho avuto bisogno di andare in bagno. Quella notte, per riuscire a dormire, avevo preso due compresse di Oxazepam da 10mg, farmaco che avevo portato dalla Polonia e che mi era stato prescritto dal mio medico. Alle 3 circa, ho aperto la porta che era come sempre chiusa a chiave, sono uscita e sono andata in bagno. Ho cercato di fare pianissimo per paura di farlo svegliare. Quando sono uscita dal bagno, ho trovato E. P. nel corridoio che mi aspettava. Mi ha presa per le braccia con la forza, lui era fortissimo, grossissimo, io ero debolissima, per il sonno, per il malore, per le pillole. Con la forza, contro la mia resistenza, mi ha spinta verso la mia stanza. Con la forza mi ha fatto delle cose orribili che preferisco non raccontare, che non riesco a raccontare.

Come si è comportato nei giorni successivi?

Il giorno dopo quell'uomo mi ha gravemente minacciata per dissuadermi dal raccontare quello che era successo.

Si è rivolta a qualcuno?

Quel giorno, dopo pranzo, sono andata come al solito a casa di Marco, con il motorino che questi mi aveva prestato. Lì lavorava una ragazza di 22 anni di nome Emilia che conoscevo da quasi due mesi. Emilia ha visto che ero strana, che non parlavo, che mi tremavano le mani, allora ha domandato con insistenza cosa era successo. Io mi sono messa a piangere, e dopo che mi ha giurato di non dire niente a nessuno, le ho raccontato che ero stata violentata da E. P., che ero stata minacciata, che non potevo dire niente a nessuno, e le ho chiesto di aiutarmi, di consigliarmi. Così mi ha consigliato di dire che mia figlia sta male, che ha bisogno della mamma e che devo perciò tornare in Polonia.

Ha seguito il consiglio della sua amica?

Sì, il pomeriggio, ho detto al signor E. P. che dovevo andare in Polonia al più presto perché mia figlia si era ammalata e cercava sua mamma. Per non farlo arrabbiare gli ho detto che sarei tornata dopo due settimane e che avrei pregato Marco di dargli un'altra persona in sostituzione. Così lui ha telefonato a Marco ed è andato a prendere una ragazza di circa 25 anni di nome Alicja, che doveva stare insieme a me fino alla mia partenza, cioè fino alla domenica 1 maggio.

Come si è comportato questo signore fino alla sua partenza?

Da quando ho detto che dovevo partire, E. P. dalle minacce era passato alle promesse. Prometteva che, se lasciavo mio marito, avrebbe mandato via la sua donna, mi avrebbe sposata, avrebbe venduto tutto e sarebbe venuto a vivere con me e mia figlia in Polonia. Prometteva che se non volevo lasciare mio marito, potevo farlo venire insieme alla bambina e ci avrebbe ospitati nella casa di campagna, dove avremmo lavorato entrambi, che ci avrebbe fatto il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro. Diceva che ci regalava un'automobile, per me e mio marito, che mi avrebbe fatto prendere la patente. Anche ripeteva che quello che aveva fatto era stato uno sbaglio, che si era lasciato prendere dall'eccitazione, che non l'avrebbe fatto mai più. Comunque da quando lavoravo insieme con Alicja, E. P. non ha avuto più possibilità di usarmi violenza. Infatti io dormivo chiusa nella mia stanza, Alicja dormiva con il vecchietto, e E. P. dormiva nell'altro appartamento con la moglie. Di giorno io stavo sempre vicino a Alicja.

In totale, quanti giorni ha lavorato in casa di quest'uomo?

Diciannove giorni, e il primo di maggio sono andata via da questo inferno.

Ha avuto contatti con quest'uomo, mentre era in Polonia?

E. P. ha continuato a chiamarmi in Polonia, a casa di mio padre e al cellulare, perché ho fatto lo sbaglio di dargli i numeri prima che mi violentasse. Continuava a fare le solite promesse, e io per non irritarlo, gli promettevo che sarei tornata da lui.

Quando è ritornata in Italia, e dove è andata?

All'inizio di giugno, sono partita per andare a lavorare in una città vicino Palermo. Questo lavoro mi è stato trovato da una amica di mia cognata, perché non volevo che qualcuno sapesse cosa era successo. Purtroppo è andata male. Era un lavoro in un pub, fino alle 3 di notte, era pieno di uomini che mi mettevano paura. Abitavo in una casa in affitto, con l'altra polacca che lavorava in quel pub. Questa polacca portava uomini a casa di notte, uomini che invitavano anche me a stare in loro compagnia. Avevo paura, quella situazione non mi piaceva. Ero anche stata ingannata, mi avevano promesso prima di partire che avrei guadagnato 650 euro al mese, ma quando sono arrivata mi hanno detto che potevano pagare solo 400 euro al mese e dovevo con questi soldi pagarmi l'affitto e il mangiare. Ho deciso di andare via e, non avendo scelta, ho telefonato a Marco pregandolo di aiutarmi. Avevo lavorato quasi due settimane e non mi hanno pagato nulla, dicendo che per me avevano pagato all'intermediaria 250 euro, e che perciò non mi spettava nulla. Avevo solo 20 euro, che mi bastavano appena per arrivare a Modica. Dovevo lavorare, non potevo tornare in Polonia senza niente. Così ho preso da Palermo l'autobus diretto per Modica.

Così lei è ritornata a Modica, da Marco?

A metà giugno sono arrivata a Modica alla stazione degli autobus dove Marco è venuto a prendermi. Gli ho subito detto che avevo paura e che stavo troppo male per andare subito a lavorare, e gli ho chiesto di ospitarmi finché non mi sarei sentita meglio. Anche lui, vedendo in che condizioni ero, magra, tremante, con una tosse insistente, ha detto che nessuno mi avrebbe preso al lavoro, che sembravo una malata di anoressia. Così mi ha ospitata nella sua casa di campagna, insieme alle altre due donne che già lavoravano nella sua proprietà.

E il signor E. P. sapeva che lei era tornata a Modica e che si trovava da Marco?

Sicuramente, perché di pomeriggio veniva a fare visita alle polacche che lavoravano da Marco, Alicja, la ragazza che lavorava da E. P.. Veniva con una bicicletta che le era stata prestata da Marco. Sicuramente lei lo informava di tutto.

E' successo qualcosa mentre lei si trovava ospite di Marco?

Un sabato sera, circa 10 giorni dal mio arrivo a Modica, io, la ragazza di Marco, e Marco stesso, uscivamo dal supermercato, dopo avere fatto delle compere. Il supermercato si trova nello stesso stabile, in via Sacro Cuore, in cui abita E. P.. Quando siamo usciti insieme, io e la ragazza di Marco ci siamo dirette verso lo scooter di lei, e Marco verso il suo ciclomotore. Abbiamo visto che, ad aspettarlo, c'era E. P. appoggiato alla parete accanto al motorino. Marco non si è accorto di lui, ha appeso il sacchetto al manubrio, quando E. P. l'ha aggredito iniziando a picchiarlo. A questo punto, io e Anita abbiamo chiesto aiuto alle molte persone presenti e siamo andate via terrorizzate. Ho poi saputo che E. P. aveva fratturato una mano a Marco. Dopo pochi minuti che eravamo partite, Marco ha telefonato al cellulare di Anita invitandoci a tornare, perchè era arrivata la Polizia. Così siamo tornate sul posto. Appena arrivate, l'E. P. non c'era più. C'era invece la moglie che parlando e gridando ai presenti diceva "Marco e Barbara sono due delinquenti, ci ricattano per estorcerci dei soldi".

Come faceva E. P. a sapere che il Marco sarebbe andato a fare la spesa?

Non poteva saperlo, perché il Marco non ha abitudini e raramente va a fare la spesa. Sicuramente E. P. e la moglie hanno tenuto sotto controllo il parcheggio per tutto il pomeriggio, dal balcone, e forse per diversi giorni.

Secondo lei perché E.P. ha fatto questo?

Penso per spaventarci, per fare capire che non scherza, per non farmi denunciare l'accaduto. E ha aggredito Marco in pubblico, incurante della presenza di numerose persone. Dopo questo grave episodio, Marco si era insospettito e ha incominciato a farmi domande, sul perché E. P. poteva avere fatto una cosa del genere. A questo punto ho dovuto raccontargli cosa era successo. Mi sono decisa anche per un altro motivo. Verso la metà di giugno, mentre ero ospite da Marco, chiamando a casa da mio padre, ho saputo che qualcuno stava cercando in quale scuola materna andava la mia bambina, che qualcuno aveva telefonato alla direttrice della scuola materna, quella frequentata da mia figlia, e faceva domande su di me e sulla bambina. E per questo ho avuto molta paura, perchè ho subito ricordato le minacce proferite da E. P. dopo che ha abusato di me sessualmente.

C'è stato qualche altro episodio, successivo a quest'ultimo, e collegato alla vicenda?

Il giorno successivo all'aggressione, di notte, si è presentato a casa di Marco un signore, con la scusa che aveva bisogno di una badante per il padre. In realtà, appena arrivato, ha detto che era un amico di E. P., e Marco mi ha subito fatta chiamare. Era un uomo enorme, forse 130kg o più, che può avere intorno a 35 anni, che avevo visto in casa di E. P. alcune volte, che si chiamava Michele, e che mi faceva paura. E in questa occasione, ha minacciato me e Marco per dissuadermi dal denunciare l'accaduto.

Quali erano, secondo lei, le intenzioni di E. P.?

Ripeto che fin dal primo giorno di lavoro, quell'uomo ha mostrato di avere delle intenzioni ambigue. Ho sempre avuto la certezza che la mia presenza era del tutto inutile, in quanto quel lavoro non era un lavoro come gli altri. Negli altri posti la badante sta con la persona anziana, e basta. E si occupa di tutto. Invece lì con l'anziano ci stava E. P., ci dormiva lui, lo vestiva e lo imboccava lui, veniva una signora italiana per lavarlo, venivano due infermieri per curarlo, il mangiare lo preparava la moglie per tutti.

Quindi la badante non serviva per l'anziano?

Assolutamente no, per quello che ho potuto vedere, e che ho subito, sono certa nel potere dire che questo E. P. cerca le badanti per suo uso personale e non per accudire il padre, e che la sua condotta era certamente premeditata.

C'è qualche altro episodio che conferma che quest'uomo avesse brutte intenzioni?

Certamente! Dopo il mio ritorno in Polonia, E. P. ha voluto una seconda persona, che dormisse nella stanza col padre di notte, si è rivolto a Marco il quale gli ha affidato una Renata che lavorava da lui. Dopo solo un giorno E. P. l'ha riportata indietro, dicendo che Renata non aveva la forza per sorreggere il padre. Ma Renata è molto più alta e forte di me (io sono alta 150 cm e peso 40 kg), Renata lavora con i muratori in casa di Marco, solleva e scarica i sacchi di cemento, i blocchi di pietra, impasta il calcestruzzo. Però Renata ha 40 anni, ne dimostra 50, non ha denti, ha gli occhi storti, cammina storto, è assai bruttina.

Quindi l'ha buttata fuori perché non era gradita fisicamente, non perchè era debole?

Sicuramente sì. E quando E. P. ha riportato al mittente Renata, ha visto Emilia che lavorava con i muratori, 22 anni, bella, bionda, abbronzata, in pantaloncini. E ha detto a Marco "mizzica! questa mi dovevi dare". E questi gli ha risposto educatamente che gli ha dato Renata perchè la riteneva più adatta per stare con un vecchio ammalato.

Da chi ha saputo queste cose?

Da Marco, da Emilia. Una delle volte che E. P. ha telefonato da me in Polonia, per chiedermi di tornare, mi ha raccontato di questa Renata, e di averla mandata via perché era senza denti.

E la moglie o convivente che sia, che ruolo aveva?

E' molto strano il ruolo della moglie, in tutta questa vicenda. Infatti dopo la violenza, la signora S. F. è diventata stranamente più gentile con me. Mi ha fatto dei regalini, mi ha portata in giro con la sua automobile, faceva di tutto per essere mia amica. Sembrava quindi che sapesse tutto e volesse evitare al suo uomo le conseguenze di quello che aveva fatto.

Come si sente lei adesso, come affronta la vita?

Dopo questi avvenimenti, ho perso la fiducia in tutti, ho paura degli uomini, ho paura di lavorare. Credo che non riuscirò più a fare il lavoro di badante, a stare in una casa in cui può entrare qualche uomo. Non riesco a mangiare, se mangio mi viene il vomito, sono molto dimagrita dopo questa disavventura. Ho anche tentato il suicidio, mentre ero ospite in casa di Marco, ingoiando circa 12 compresse di un farmaco che credevo fosse per il cuore. Invece si trattava di un antiinfiammatorio, che mi ha fatto vomitare per un giorno e mi ha bruciato lo stomaco. Sono però stata prontamente curata dal Marco stesso, che ha comprato tutti i farmaci necessari, e sono guarita in appena due giorni.

Ha un desiderio da esprimere, una speranza?

Per tutto questo, per me e per le altre che si sono trovate e possono trovarsi in queste situazioni, che possono essere vittime di E. P. o di altri come lui, per tutte quelle che vengono per guadagnare onestamente e che vengono trattate come prostitute, per tutte quelle che subiscono il mio stesso trattamento e non hanno il coraggio di denunciarlo, chiedo che venga fatta giustizia. Chiedo che venga data una lezione a tutti quelli che sfruttano le persone come me, che lasciano la famiglia spinte dalla miseria, che si trovano in un Paese straniero in cui non contano nulla, in cui nessuno le aiuta, che vengono tenute in una condizione di quasi schiavitù, a lavorare in nero con un misero stipendio, pretendendo da noi, compreso in questo misero stipendio, il nostro corpo, oltre alla nostra libertà.

Intervista a cura di Carlo Ruta

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