I media italiani, Nicola, Giuliana, Silvio e l'atlantismo

7 marzo 2005
Gennaro Carotenuto

I media italiani, televisioni, radio, giornali, passato il primo sconcerto stanno imbastendo come previsto l’enorme cortina fumogena per confutare la tesi che l’uccisione di Nicola Calipari e il ferimento di Giuliana Sgrena non siano casuali. Rispetto a un’opinione pubblica dal bellicismo sempre incerto il timore che l’omicidio Calipari potesse dare la spallata finale a quella che è appena una sopportazione dei motivi ufficiali della presenza in Iraq, è indispensabile rispondere con un fuoco di fila importante. Tanto importante da risultare sorprendente.

Per lo scontato Massimo Teodori, l’ineffabile Antonio Polito, gli imperturbabili Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco, tutto quello che è successo a Bagdad è stato chiaro e solare dal primo momento. Tutte le colpe sono innanzitutto di Giuliana Sgrena, che si è andata ad impicciare di problemi non suoi. Se una tesi simile –pur se espressa da giornalisti- non sorprende, altre colpe sono ripartite anche tra i nostri servizi segreti e il governo Berlusconi, per quella loro contiguità criminale che li porta a tentare –per umanità o calcolo – di salvare gli ostaggi. Questa tesi fa più effetto ma tutto è lecito pur di scagionare preventivamente i presunti autori materiali.

Non può stupirci. Anche la nostra opposizione può permettersi di attaccare (blandamente) il governo, ma non può mettere in dubbio le basi diseguali della nostra politica internazionale. Come per l'11 settembre, anche questo evento servi per fare la conta. E politici, intellettuali, comunicatori, opinionisti, devono mostrare fiuto nel loro posizionamento. Ha impressionato, come di fronte alla dignitosa prima reazione di Silvio Berlusconi, con la convocazione dell’Ambasciatore, Gianfranco Fini si sia precipitato ad occupare lo spazio politico della totale supinità all’alleato.

Le ipotesi di Pierre Scolari sono probabilmente indimostrabili. Ma sono solo probabilmente indimostrabili, non automaticamente indimostrabili e quindi false. Di fronte a un omicidio e tre persone ferite, il reato che si configura è quello di tentata strage. Ma è necessario escludere tale ipotesi investigativa, attribuendola alle fantasie di un marito particolarmente provato.

Ma la tesi di Scolari sarà davvero indimostrabile solo se le autorità italiane riotterranno il cellulare di Calipari sequestrato dagli stessi autori dell’omicidio, se potranno esaminare l'auto di proprietà del nostro corpo diplomatico sequestrata, se gli autori del "gesto" saranno interrogati liberamente da magistrati italiani o almeno indipendenti.

Ma se così non sarà allora anche le tesi sulla casualità dell'incidente, sono altrettanto indimostrabili come le parole forse avventate di Pierre Scolari. E resteranno indimostrabili se il comando statunitense, ovvero i vertici della catena di comando dalla quale dipendono i presunti autori materiali di un omicidio -preterintenzionale o volontario che sia sempre omicidio resta- non collaboreranno con organi investigativi competenti e indipendenti. Se non collaboreranno, mettendo immediatamente a disposizione le prove e rendendo possibili gli interrogatori, questa indisponibilità diverrebbe un fatto processualmente rilevante. Non è possibile accettare supinamente il costume statunitense di non farsi processare e non accettare inchieste indipendenti. La legalità internazionale è incompatibile con qualunque dubbio di impunità e questo dovrebbe andare innanzitutto negli interessi degli SU. Se così non sarà, sarà un fatto che, se non può corrispondere a una condanna, aiuterebbe oggettivamente a comporre il nostro giudizio sui fatti rivalutando le ipotesi di Scolari.

Questo semplice ed inoppugnabile ragionamento, non appassiona chi ha già alzato la cortina di fumo innocentista, che è disposta a sacrificare non solo Nicola Calipari, e lapidare Giuliana Sgrena, ma perfino Silvio Berlusconi, che infatti è sparito perché ha capito che come si muove, sbaglia.

Infatti la nostra stampa moderata non ha difficoltà nello stabilire le sue priorità. E priorizza l’interesse all’assoluzione preventiva dei presunti autori materiali all’interesse della famiglia Calipari e dello stesso governo.
Fa riflettere il fatto che in qualunque contesto avvenga un fatto di sangue che coinvolge nostri corpi dello stato, il sistema fa quadrato e questi risultano avere sempre ragione: Pinelli si è buttato dalla finestra, Giorgiana Masi si è suicidata, Carlo Giuliani ha avuto quello che meritava.

Questa regola ammette una sola eccezione: la fedeltà atlantica. Di fronte all'atlantismo tutto salta, i morti di Ustica e quelli del Cermis se la sono cercata e il fuoco amico è così amichevole da dovere essere accolto con sportività. Sul povero Calipari si può costruire una stantia retorica patriottarda, che salva capra e cavoli, e vada incontro alla giusta emotività popolare. Ma, come per i macchinisti dei treni che quando muoiono in servizio è sempre per colpa loro, la morte di Calipari deve essere stata casuale e, se dovesse essere necessario, dovuta alla sua imperizia o ad una politica del governo sbagliata.
I nostri grandi opinionisti hanno come sempre risposto ad un riflesso condizionato che è un istinto di sopravvivenza. Nessuno ha mai dettato a queste lucide menti indipendenti come devono comportarsi. Stanno semplicemente alle regole di questo gioco, si adeguano automaticamente, non c'è bisogno di ordini. Il Minculpop e le sue veline non servono in democrazia eppure la madre dei velinari è sempre in cinta. In ballo ci sono articoli di fondo di giornale pagati 1000-2000 Euro, i passaggi radiofonici di 60 secondi che fruttano anche 500 Euro stando in ciabatte a casa, e le comparsate televisive da 1-2000 o perfino 5000 Euro di cachet. Queste, a loro volta, portano migliaia di Euro di diritti per i libri che questi signori pubblicano a scadenze fisse pieni di aria fritta. Tanto tutti sanno che un Berlusconi (tanto più un Calipari) passa, ma gli interessi economici che rappresenta restano.

Note: http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?id=110

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