L'elenco del petrolio
L'elenco degli "Stati canaglia" - Iraq, Corea del Nord, ecc. - ha un suo seguito: anche i "paesi instabili" preoccupano la Casa Bianca, malgrado non sfidino le sue politiche. Sono 25, sono "candidati per l'intervento (militare)" degli USA e sono diventati "una sfida centrale della politica estera dal momento che c'è il rischio che fomentino i gruppi terroristici e che possano contare con armi di distruzione di massa" . (Financial Times, 30-3-05).
Il Consiglio Nazionale d'Intelligence del Dipartimento di Stato ha confermato l'esistenza di questo elenco. E' segreta ma, grazie alle dichiarazioni di alti funzionari nordamericani, indica chiaramente che è composta tra gli altri da Venezuela, Perù, Bolivia, Nigeria, Sudan, Somalia e Camerun. La giustificazione dell'intervento è prevista nel mandato del fiammante Ufficio per la Ricostruzione e Stabilizzazione che dipende dal Consiglio sopra menzionato: la sua missione è "aiutare a stabilizzare e ricostruire società in transizione che hanno attraversato un conflitto o una guerra civile, perché possano incominciare il loro cammino verso la pace, la democrazia e una economia di mercato" . (www.state.gov/r/ei/biog/365630.htm).
In altre parole: sarebbe suscettibile d'intervento militare qualsiasi paese con un progetto nazionale che non segua le orme neoliberali e che svegli, pertanto, "l'incertezza strategica" di Washington. Sopratutto se possiede petrolio, gas naturale e/o oleodotti importanti e delle vie per il rifornimento dell'oro nero.
Il Pentagono si prepara ad appoggiare questa missione attraverso una riorganizzazione completa della sua presenza militare in tutto il mondo. Nel documento "La strategia della difesa nazionale degli Stati Uniti" che fece conoscere il 18 marzo - nella cui copertina guarda con occhio minaccioso una feroce testa d'aquila - si stabilisce una nuova colossale dislocazione degli effettivi, che ridurranno le truppe statunitensi di stanza in Germania, Giappone e Corea del Sud che si trasferiranno in Europa Orientale, la regione del Mar Caspio, il sudest asiatico e Africa.
Lo faranno in modo tale che ha già creato problemi di lessico a Donald Rumsfeld, capo del Pentagono, che, disse, sta "cercando di trovare la fraseologia corretta". Non si chiameranno basi militari, ma qualsiasi sarà il nome che le battezzerà, il documento definisce perfettamente il suo obiettivo: si tratta di instaurare "un modello più centralizzato della gestione mondiale della forza' che permetta di spiegare velocemente le truppe disponibili in qualsiasi parte del mondo".
E' una strategia offensiva, non meramente difensiva, destinata a garantire il dominio statunitense del pianeta e diversa da quella imperante durante la Guerra Fredda. Allora Washington istallava basi militari attorno all'URSS, adesso mira a controllare la produzione ed i rifornimenti di energia imponendo la sua egemonia militare. Si stanno prosciugando i pozzi del Nord e si avverte la tendenza all'aumento delle esportazioni petrolifere dei paesi del Sud. Nel 1990 - secondo gli algoritmi del Dipartimento per l'Energia degli USA - questi ultimi (in particolare Africa, America Latina e Golfo Persico) fornivano 32 milioni di barili di oro nero al giorno, il 46% della produzione mondiale.
Si stima che nel 2005 questa cifra aumenterà fino a 77 milioni di barili, il 61 per cento del totale. Nello stesso periodo, la produzione degli Stati Uniti, Canada, Messico ed Europa scenderà dal 29 al 19 per cento del totale. L'infrastruttura industriale e agricola nordamericana dipenderà sempre di più delle importazioni dal Medio Oriente, Africa e delle altre zone che non comprendono il chiamato Occidente. La premessa di difendere questi rifornimenti costi quel che costi, fu stabilita dal presidente Jimmy Carter quando nel 1980 promise solennemente di garantire il flusso del petrolio dal Golfo Persico agli USA "con ogni mezzo necessario, compresa la forza militare". Siamo a questo punto.
Sono aumentati gli argomenti per intervenire nei paesi non ostili a Washington. Il documento del Pentagono sottolinea la minaccia di una "guerra asimèttrica" che "paesi instabili" o gruppi di civili scatenerebbero attraverso vie "diplomatiche e legali". E specifica : "La nostra forza come nazione continuerà ad essere sfidata da quelli che adoperano la strategia dei deboli che consiste in (ricorrere) ai fori internazionali, ai processi giudiziali e al terrorismo ..."
Il N° 3 del Pentagono Douglas Feith ha chiarito questo concetto in conferenza stampa: "Ci sono diversi attori in tutto il mondo che vogliono attaccare o costringere gli USA e troveranno dei modi creativi per farlo, che non sono gli scontati attacchi militari convenzionali... Dobbiamo pensare a fondo sulle linee di attacco diplomatiche, linee di attacco legale, linee di attacco tecnologiche, a tutte quelle forme di guerra asiméttrica che i diversi attori possano utilizzare per limitare o modificare le nostre azioni" (www.globalresearch.ca, 7-4-05).
E' evidente il riferimento alla Corte Penale Internazionale, che la Casa Bianca rifiuta con vigore dato che esige l'immunità delle sue truppe in qualsiasi parte del pianeta si trovino e qualsiasi fossero i crimini commessi. Rimane chiaro anche che un'azione diplomatica governativa o non governativa che contrasti gli obiettivi degli USA sarebbe oggetto di azioni militari e di intelligence. Che potrebbero essere preventive e unilaterali: "Agiremmo assieme ad altri quando potremmo", avverte il Pentagono.
I "falchi" si propongono di spostare il centro di gravità della potenza militare statunitense per insediarlo in Asia Centrale, Sudest Asiatico, Medio Oriente e zone limitrofi dell'Africa. Questo aumenterà l'ingerenza degli USA nella politica interna dei paesi di queste regioni e, molto lontani del combattere il terrorismo - asse dichiarato di simile "missione" - non farà altro che aumentarlo. E chi non gradisca la politica di Washington, né diritto internazionale né gestione diplomatica: stare zitti è il suo unico diritto.
Tradotto da Alejandra Bariviera per www.peacelink.it
Il testo e' liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e il traduttore
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