Al Jazeera, tv nel mirino

Il network arabo preoccupa gli Usa. Il segretario di stato alla difesa sbarca a Dubai per bloccare "i resoconti falsi". Ma dall'emittente rispondono: "fraintendete tutto perche' non capite la nostra lingua"
Donatella Della Ratta
Fonte: il manifesto - 31 Luglio 2003

La guerra in Iraq e' finita, dice il presidente Bush in questi caldi giorni di luglio (ma lo diceva anche in quelli molto meno caldi di maggio!). Sappiamo che non e' vero ora, come non lo era allora: messe per un attimo da parte le continue morti fra i civili e il caos che regna nel paese, anche sul versante della guerra di propaganda dei media la situazione non si e' affatto calmata. Anzi. Domenica scorsa dalle telecamere dell'emittente statunitense Fox News il segretario di stato americano alla difesa Paul Wolfowitz ha accusato i network televisivi arabi, Al Jazeera ed Al Arabiya in testa, di distorcere le informazioni che arrivano dall'Iraq, fomentando l'odio e la propaganda antiamericana. Durante lo show, l'anchorman della Fox, Brit Hume, ha ricordato le preoccupazioni espresse in precedenza dallo stesso Wolfowitz a proposito dei media governativi operanti in Iraq, chiedendo se si riferisse proprio "ad Al Jazeera ed Al Arabiya". Wolfowitz, confermando le accuse ai due network, ha precisato: "Quello di cui mi lamento sono i resoconti falsi e molto orientati che hanno l'effetto di incitare la violenza nei confronti delle nostre truppe, e questi governi dovrebbero smetterla e realizzare che non e' un gioco, che stanno mettendo in pericolo le vite dei soldati americani". I governi in questione sarebbero quello di Doha e quello di Dubai, i territori dove operano le due stazioni, che sono peraltro a statuto privato e commerciale, cosa che Wolfowitz ha tralasciato di precisare. Mentre ha insistito sul fatto che l'amministrazione americana sta chiedendo ai governi proprietari di questi network "una copertura informativa piu' equilibrata", pur ritenendo che la risposta "che otterremo e' che queste trasmissioni continueranno, cosa che non e' soddisfacente". Il che suona come una minaccia implicita.

Con Al Jazeera invece il segretario di stato alla difesa e' stato molto esplicito, citando come esempio di cattiva e inaccurata informazione il resoconto - "totalmente falso", trasmesso "immediatamente" dalla stazione satellitare qatarense - dell'arresto da parte delle truppe americane di un importante imam della citta' di Najaf, dopo una sua chiamata a raccolta per la formazione di un esercito islamico. Immediata, e durissima, la replica della direzione di Al Jazeera, che in una nota attribuisce "il cronico fraintendimento delle nostre informazioni al fatto che quasi nessuno in realta' guarda Al Jazeera perche' non capiscono l'arabo classico".

Il canale ha spiegato che il suo corrispondente da Baghdad Yasser Abu Hilala aveva ricevuto una telefonata dalla segreteria dell'imam in questione, Muqtada Al-Sadr, dove si affermava che le truppe americane avevano circondato la sua casa: in realta' l'attivita' delle forze militari Usa era il risultato di una manifestazione spontanea formatasi attorno al Palazzo della Repubblica, ed in questo modo la notizia e' stata riportata da Al Jazeera. "Chiaramente il signor Wolfowitz non era stato informato della differenza fra la parola hisar, che significa embargo o accerchiamento, e mu'taqal, che vuol dire detenuto", ha precisato il canale, che ha chiesto a Wolfowitz di ritrattare e fare le sue scuse ufficiali.

Il rapporto non certo idilliaco fra l'emittente satellitare del Qatar e l'amministrazione Usa non e' un fatto nuovo: le prime "divergenze" americane sulla linea editoriale del network risalgono ai tempi della guerra in Afghanistan, quando Al Jazeera comincio' a trasmettere le videocassette con i messaggi di Osama Bin Laden. Gia' all'epoca il segretariato di Stato americano tento' di intervenire per zittire il canale, rivolgendosi direttamente all'emiro del Qatar -che ne e' il principale finanziatore - ma senza successo. Segui' un bombardamento "involontario" agli uffici di Kabul della rete, in cui rischio' la vita il famoso corrispondente Tayseer Allouni; un altro, altrettanto "involontario" bombardamento nella sede irachena del canale a Baghdad, costato la vita ad un reporter di Al Jazeera; l'espulsione dei corrispondenti di Al Jazeera dalla Borsa di New York, poi successivamente ritrattata; e infine gli attacchi degli hacker al server americano del sito in inglese dell'emittente, sostituito da bandierine stelle e strisce e scritte patriottiche pro Usa. Episodi non connessi fra loro e non riconducibili al governo americano ma che hanno molto indurito i rapporti fra la rete e l'amministrazione Usa.

Nell'ultimo mese in Iraq sono stati arrestati giornalisti di Al Jazeera per ben quattro volte, con l'accusa di presunta incitazione alla violenza. L'ultimo episodio risale a domenica scorsa quando il giornalista del canale Nawfal al-Shahwani e' stato arrestato a Mosul. Le forze americane hanno dichiarato di ignorare il fatto ma Al Jazeera insiste che al-Shahwani fosse stato catturato a causa di un nastro video che conteneva le riprese di una sparatoria americana contro un veicolo civile iracheno. Il giornalista e' stato rilasciato lunedi' scorso ma, secondo il corrispondente a Baghdad della rete qatarense, il nastro video gli e' stato confiscato. Il braccio di ferro fra Al Jazeera e l'amministrazione americana va avanti. Mentre pero' la rete qatarense ne guadagna in popolarita' e sta diventando il baluardo della liberta' di espressione nel mondo - lo scorso marzo e' stata insignita del prestigioso premio dell'associazione internazionale Index on Censorship per la sua indipendenza in una regione dove "la maggior parte delle emittenti sono controllate dai governi" -, il governo Usa, nei suoi ripetuti attacchi alla stampa non allineata, e' oggetto di critiche da diverse parti.

Se infatti l'amministrazione Usa non ha digerito la decisione di Al Jazeera di ritrasmettere le immagini dei prigionieri americani e dei corpi dei militari uccisi in guerra, d'altra parte anche il mondo arabo non ha accolto con favore l'ultimo show della propaganda americana in Iraq: l'esposizione pubblica dei cadaveri dei figli di Saddam Hussein, Qusay e Uday, sui giornali e nelle dirette televisive del mondo intero. Su Internet in particolare si alzano voci di protesta contro la strategia americana dei "due pesi e due misure", come quella del sito Albawaba.com: che punta il dito contro il fatto che quando una televisione araba mostra i volti dei cadaveri americani e' violazione della convenzione di Ginevra ma al contrario se sono gli americani a mandare in giro immagini di musulmani uccisi, allora il segretario alla difesa Rumsfeld puo' dichiarare che e' un sacrificio necessario per "salvare vite americane".

Al di la' della doppia misura adottata, la scelta degli Stati uniti e' stata particolarmente infelice e pericolosa per i rapporti con il mondo musulmano, la cui tradizione esige di lavare i corpi e dare loro immediata sepoltura. Non solo offensiva dal punto di vista della religione islamica, l'operazione di pubblica e trionfale esposizione dei cadaveri dei figli di Saddam Hussein ricorda una pratica molto diffusa alla televisione irachena. I corpi dei dissidenti o dei nemici della repubblica venivano esposti in diretta televisiva per diverse ore in un programma gettonatissimo. Ma era la televisione dei tempi di Saddam Hussein. Cioe', la televisione di un "dittatore"...

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