Il ruolo dei media
Nella loro quasi totalità i dirigenti delle aziende mediatiche rimangono attenti agli interessi dei loro principali azionisti: il profitto e la riproduzione. Per farlo, occorre dar forza all’autorità di governo (al governo al potere) e contemporaneamente presentare una facciata di fiera indipendenza da questa autorità. Tenere separati questi atteggiamenti richiede una qualche finezza.
Inoltre, i networks, i giornali e le stazioni radio più importanti - la FOX di proprietà del dichiaratamente destro Rupert Murdoch, la CNN/TIME WARNER, la CBS/VIACOM, la Disney e altre ancora - foggiano l’opinione e i gusti di massa. I loro principali prodotti sono pubblicità, convincere le persone a volere ciò, di cui non hanno bisogno. Ciò vuol dire che devono imparare a aver bisogno di ciò, che non vogliono. L’estetica dei messaggi pubblicitari e i programmi commerciali contribuiscono a formare il gusto: magro (emaciato) è meraviglioso, ricco (avere tutte le cose materiali, che desideri, a portata di mano) è l’obiettivo dell’esistenza. Il mondo degli annunci pubblicitari e della programmazione identifica il giovane, alto e ben vestito (con vestiti costosi) con la virtù. Nulla di ciò ha la minima relazione con la funzione tradizionale dell’informazione e con la cittadinanza. Quel, che si fa, è distrarre il pubblico dal suo ruolo di cittadino e dirigerlo verso il consumo.
Quando i Padri Fondatori - nella Carta dei Diritti, che allegarono alla Costituzione - garantirono la libertà di stampa, non garantirono che i media fornissero ai cittadini informazione e analisi di qualità, un ruolo - quello del quarto potere - necessario a una democrazia che funzioni.
In realtà, i media più importanti si sono venuti trasformando in uno strumento, attraverso il quale la cultura commerciale dominante - banale all’ennesima potenza - riproduce se stessa. Le “news” sono diventate parte del processo riproduttivo. In effetti, i giornalisti apprendono gli assiomi del “giornalismo” come una componente del loro apprendistato. Ad esempio, i lettori di quotidiani e il pubblico radiofonico e televisivo ci aspettano che la “stampa libera” li informi dei fatti più importanti in modo che l’elettorato possa capire la politica e approvare o disapprovare. Ma i media avvalorano in maniera automatica la Presidenza - il risultato della volontà della maggioranza, dopo tutto - accettandone le menzogne come verità, anche quando sanno che sono effettivamente tali.
Facciamo un esempio. Nel 1982 i principali media “scoprirono” che il presidente Reagan aveva autorizzato una guerra sotto copertura al Nicaragua. Il New York Times e il Washington Post riferirono nel primo paragrafo lo “scoop” della CIA, fornendo i dettagli provenienti da fonti interne di un’autorizzazione presidenziale di 19 milioni di dollari, per “impedire” rifornimenti di armi ai ribelli marxisti di El Salvador da parte del Nicaragua.
Il secondo paragrafo doverosamente riportava che la Casa Bianca negava quanto le veniva attribuito. I giornalisti avrebbero dovuto iniziare il loro secondo paragrafo con la seguente frase: “La Casa Bianca, prevedibilmente, mente”. Dal momento che giornalisti e redattori sapevano di avere nelle mani una storia solida, fondata su fonti di fiducia interne, la misero in prima pagina. Perché non qualificare la Casa Bianca per ciò che effettivamente era?
Inoltre, i media più importanti nelle loro cronache non riportarono che azioni sotto copertura, quali quella che Reagan “aveva autorizzato” contro il Nicaragua, erano illegali. In realtà, questo è il motivo per cui restarono “sotto copertura”. Il popolo e il governo del Nicaragua erano sicuramente a conoscenza del coinvolgimento della CIA nella violenza in Nicaragua. I media svelarono la storia, ma contemporaneamente collaborarono coll’Amministrazione, evitando di dar conto del fatto fondamentale che tale aggressione di uno stato contro un altro stato era proibita dalla legge USA (Neutrality Acts) e da una miriade di trattati, fra i quali la Carta dell’ONU, la Carta dell’Organizzazione degli Stati Americani e il trattato di Rio.
Allo stesso modo, prima, durante e dopo l’invasione dell’Iraq del marzo 2003, i media Usa hanno anche depurato le loro cronache di punti fondamentali relativi alla politica di Bush e al diritto internazionale. Come hanno evidenziato Richard Falk e Howard Friel nel loro libro, il giornale degli annali, il New York Times ha coerentemente escluso questo tema dalla sua cronaca.
Prima dell’ordine di Bush di invadere l’Iraq e durante il dibattito all’ONU, nessun servizio dei media più importanti ha sottolineato le somiglianze fra gli argomenti, che il giudice della Corte suprema Robert Jackson avanzò al processo di Norimberga il 12 agosto 1945, per spiegare al popolo tedesco perché gli Alleati avessero deciso di processare i leader nazisti, per aver dato inizio a una guerra d’aggressione, e l’ingiustificata bellicosità di Bush contro l’Iraq.
“Dobbiamo spiegare bene ai Tedeschi che il torto, per il quale i loro deposti leader sono processati, non è per aver perso la guerra, ma di averla iniziata. E non dobbiamo permetterci di essere trascinati in un processo sulle cause della guerra, perché la nostra posizione è che nessun rancore e nessuna politica giustifichi il ricorso a una guerra d’aggressione. È assolutamente abbandonata e condannata come strumento politico”.
Sulla base delle linee guida di Jackson, Saddam Hussein alla sbarra potrebbe a buon diritto chiedere alla corte in che cosa la sua aggressione del Kuwait sia stata differente dalla “guerra d’aggressione” di Bush all’Iraq. La “guerra preventiva”, come definita dallo stesso Bush nel Documento sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale degli USA del 2002, a Norimberga era fuori legge: inventare ragioni, che non esistono, per attaccare il prossimo, non può essere trasformato in nessun concetto di guerra giusta.
Perché la gente non dimentichi, nell’agosto 2002, il vice presidente Cheney ha detto: “E’ semplicemente stabilito, non c’è nessun dubbio che Saddam Hussein ora possiede armi di distruzione di massa. Non c’è alcun dubbio che le ammassa, per usarle contro i nostri amici, contro i nostri alleati e contro di noi”.
Allorquando i cronisti non si preoccuparono di mettere in discussione tali dichiarazioni e di chiederne la prova concreta, intenzionalmente o meno permisero all’amministrazione di ripetere tale assurdità senza indagare su di essa e senza contestarla. A dire il vero, i giornalisti di TV, radio e quotidiani accrebbero l’autorità delle bugie e aiutarono Bush a giustificare i suoi obiettivi bellici. La giornalista del New York Times, Judith Miller è l’esempio di come “il giornale degli annali” abbia convalidato le accuse di Bush nella sua prima pagina, assicurando i lettori che l’Amministrazione possedeva la prova schiacciante del possesso da parte di Saddam di armi di distruzione di massa. Le sue fonti risalivano a Ahamd Chalabi e al suo Congresso Nazionale Irakeno in esilio. Chalabi aveva ricevuto dall’Amministrazione Bush finanziamenti per rifornirla di “informazioni” di suo gradimento. Una fonte del genere, soprannominata “palla ricurva”, risultò non solo essere uno sfacciato mentitore, ma anche un fratello di un importante aiutante di Chalabi.
L’intelligence tedesca ha arrestato questo farabutto e riferito alla CIA i suoi dubbi sulla sua credibilità. Si era presentato come un grande scienziato irakeno disertore, che sarebbe stato assunto per costruire, su autocarri, stazioni per armi biologiche. Bush si è servito delle informazioni di quest’uomo per annunciare ripetutamente l’esistenza “di oscuri autocarri biologici”.
Giornalisti e redattori di quotidiani hanno gradito questa robaccia. Hanno riportato la notizia dei “camper della morte”. Il segretario di Stato Colin L.Powell, a febbraio, ha addirittura usato i dati di “palla curva” nel suo rapporto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Los Angeles Times, 28 marzo 2004).
“Palla ricurva”, in realtà un impiegato di basso livello di un’impresa dismessa irakena per il blindaggio, pretendeva di aver personalmente saputo che “Saddam Hussein aveva costruito una flotta di autocarri e di vagoni ferroviari per produrre antrace e altri batteri mortali”.
La cosa curiosa è che “funzionari USA non hanno mai incontrato direttamente il disertore e non hanno saputo neanche il suo vero nome fino alla fine della guerra”. A dispetto di questa svista evidente, “i dirigenti americani pensarono che fossero confermati i loro sospetti di lunga data sul fatto che gli Irakeni avessero sviluppato fabbriche batteriologiche mobili, per sfuggire alle ispezioni”. Miss Miller diede a sorbire questa pappetta ai suoi lettori sulla prima pagina del New York Times. Avvalorò, a quanto pare, l’informazione ricorrendo a Chalabi, senza farsi domande della stretta relazione di questi con “palla ricurva”.
Solo più tardi, a detta dei dirigenti USA, la CIA apprese che il disertore era il fratello di uno dei principali aiutanti di Chalabi e cominciò a sospettare che potesse essere stato istruito per fornire false informazioni. In parte per questo motivo, qualche dirigente dell’intelligence USA e qualche investigatore del Congresso teme che la CIA “abbia forse indagato e poi dato la caccia a un sistema d’armi fantasma”.
I giornalisti non solo non si preoccuparono di porre rigorose domande ai dirigenti dell’Amministrazione, ma ignorarono anche in maniera considerevole la logica più elementare. Per esempio, quando nel settembre 2002 Saddam Hussein fu d’accordo a riammettere gli ispettori dell’ONU, nessun editorialista e nessun esperto trasse dalla vicenda la conseguenza logica. Se Saddam si sottometteva e dava libero accesso in Iraq ai migliori esperti mondiali col più sofisticato equipaggiamento d’indagine, mandava un messaggio chiaro: non aveva nessun’arma di distruzione di massa. Gli ispettori avrebbero potuto ricercare in ogni angolo e interrogare tutti gli irakeni, al di là delle dichiarazioni ufficiali. Come avrebbe potuto anche un astuto dittatore tener nascoste armi e programmi di armamento a un’indagine del genere?
Venendo meno all’esame di questa logica, il Quarto Potere, è venuto meno al suo dovere di servire la cittadinanza con informazioni e analisi necessarie per una decisione cruciale: guerra o pace. Al contrario, nei mesi prima dell’invasione, i media hanno battuto i tamburi di guerra. Giornalisti e editorialisti hanno aiutato e spalleggiato Bush a commettere crimini di guerra convalidando i suoi falsi proclami. Invece di porre domande dubbiose sulle presunte armi mortali di Saddam Hussein e su come esse costituissero una minaccia per gli USA e i loro alleati, perché avrebbe previsto di condividere queste armi chimiche, biologiche e nucleari con i terroristi che hanno fatto l’attentato dell’11 settembre, hanno accettato la parola della Casa Bianca senza supporto di prove.
Dopo l’invasione e l’assenza di armi di distruzioni di massa e di legami con Al Qaeda, i giornalisti sarebbero dovuti saltare addosso a Bush. Invece, lo hanno aiutato nella sua finzione partecipando ai copioni del Pentagono per distrarre, invece che informare il pubblico. La più sensazionale cronaca di guerra c’è stata, quando i network hanno messo in onda le immagini dell’abbattimento della statua di Saddam. Più tardi abbiamo appreso che i dirigenti USA avevano messo in scena questo spettacolo apposta per le telecamere. Anche quando hanno scritto le cronache della “saga di Jessica Lynch”, i giornalisti hanno avuto come fonte direttamente i responsabili del Pentagono per la propaganda.
L’orditura militare della stampa è collegata al fatto che fin dall’inizio l’Amministrazione Bush ha temuto che la sua invasione dell’Iraq non avrebbe avuto un sostegno pubblico sufficiente. La storia di Jessica Lynch enfatizzava il coraggio di una donna soldato USA di fronte alla brutalità dei suoi catturatori irakeni. La vera storia, come la stessa Lynch l’ha raccontata dopo, dimostrava che i media volevano semplicemente accettare le menzogne del Pentagono e stamparle senza controllarle. La Lynch si era arruolata, non per vendicare l’11 settembre o per servire il suo paese contro i terroristi, ma perché “non era riuscita a trovar lavoro da Wal-Mart”.
Una storia simile è capitata in riferimento alla morte dell’ex campione professionista di football, Pat Tillman, che - si è scritto - è morto in Afghanistan per combattere i talebani dal cappello nero. Tillman avrebbe rinunciato a una lucrosa carriera atletica, per combattere il terrorismo. La vera storia è venuta fuori un anno dopo, che un falso del Pentagono aveva imbevuto il pubblico di sentimenti patriottici. Ad aver causato la morte di Tillman era stato il “fuoco amico” e l’esercito l’aveva nascosto.
I media sono diventati così addomesticati che hanno accettato l’ordine dell’esercito di “arruolare” giornalisti nelle unità militari. Come ha acutamente osservato il giornalista israeliano Uri Avnery, tale comportamento porta rapidamente alla “presstitution”[n.d.t.:gioco di parole intraducibile da press (stampa) + prostitution (prostituzione]. I giornalisti accettano i limiti, che impone il Pentagono, al fine di vedere la guerra “da dentro”. Sfortunatamente quello, che i reporter dentro-l’esercito vedono, non riflette quello, che il pubblico ha bisogno di vedere. Per capire quello che succede in Iraq, i lettori seri devono ricorrere alla stampa straniera e a internet, per le loro informazioni e le loro analisi.
In effetti, non si può contare sul fatto che quotidiani e network verifichino dichiarazioni, che si potrebbero facilmente dimostrare false. Per esempio, tutte le più importanti agenzie di stampa nel 2002, mentendo, riferirono che nel 1998 Saddam aveva espulso dall’Iraq la squadra di ispettori, nonostante il fatto che - all’epoca - i loro stessi organi avessero riferito diversamente.
Il 18 dicembre 1998 il New York Times scrisse dello “sbrigativo ritiro dall’Iraq mercoledì - da parte di Butler, senza il permesso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU - di tutti i suoi ispettori e di quelli del’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, che conduce monitoraggi sui programmi nucleari irakeni”.
Eppure, il 3 agosto 2003 un editoriale del New York Times ha scritto che “l’obiettivo dell’America dovrebbe essere assicurarsi che l’Iraq sia disarmato di tutte le armi non convenzionali...Per impedire questo obiettivo, Bagdad quattro anni fa ha espulso gli ispettori dell’ONU”.
Il Washington Post il 18 dicembre 1998 riferiva che “Butler aveva ordinato ai suoi ispettori di evacuare Bagdad, in previsione di un attacco militare, martedì notte, a un’ora in cui la maggior parte dei membri del Consiglio di Sicurezza dovevano ancora ricevere il suo rapporto”.
Ma il 4 agosto 2004, un editoriale del Post conteneva la seguente frase: “dal 1998, quando sono stati espulsi gli ispettori dell’ONU, l’Iraq quasi certamente lavora alla produzione di un numero sempre maggiore di armi chimiche e biologiche”.
Anche il venerando Daniel Schorr di National Public Radio (NPR, Radio Pubblica Nazionale) il 3 agosto 2002 ha dichiarato che se Saddam “ha armi segrete, le ha da quattro anni, da quando ha liberato il campo dagli ispettori, per nasconderle tutte”. Schorr avrebbe potuto digitare su Google “UN Weapons Inspector Iraq 1998" e in pochi secondi avrebbe letto quello che il suo collega della NPR, Bob Edwards aveva riportato il 16 dicembre 1998: “Le Nazioni Unite hanno nuovamente ordinato ai loro ispettori di lasciare l’Iraq. Il ritiro di oggi fa seguito a una nuova diffida del capo degli ispettori Richard Butler, che accusa l’Iraq di non preoccuparsi ancora una volta di cooperare con gli ispettori. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano ripetutamente ammonito l’Iraq sul fatto che un suo rifiuto a collaborare con gli ispettori avrebbe potuto portare a bombardamenti aerei”.
Nel 2002, ammesso pure che si siano comportati senza ambiguità e senza pigrizia, tuttavia i giornalisti hanno aggiunto benzina anti Saddam al fuoco di Bush per invadere l’Iraq, facendo credere che aveva cacciato gli ispettori proprio con lo scopo di sviluppare armi di distruzione di massa. I cittadini, privi di accesso a fonti d’informazione indipendenti, non avrebbero avuto nessuna ragione per dubitare dell’accuratezza di una tale informazione e sarebbero stati più propensi a credere all’argomentazione di Bush per la guerra preventiva.
La politica e lo shopping. Il ruolo dei media.
Dopo che negli ultimi decenni pochi giganti multinazionali hanno conquistato il controllo dei media, le priorità dei media sono venute di pari passo modificandosi, sviando i lettori e i telespettatori dalle preoccupazioni politiche e indirizzandoli verso lo shopping. I mass media distraggono i cittadini distorcendo le loro priorità, attraverso l’invio di 3600 messaggi giornalieri, che li inducono a fare i conti con la loro personale inadeguatezza a spendere. Il succo di questo fuoco di fila di messaggi è: “Tu, consumatore (non cittadino), sei inadeguato per l’aspetto, per l’abbigliamento, per il tipo di auto che guidi, per il deodorante, che usi, e per ogni altro motivo. Ma puoi affrontare i problemi del tuo grasso eccessivo, della tua eccessiva magrezza, della tua eccessiva gioventù, della tua eccessiva vecchiaia, acquistando prodotti per ogni segmento del tuo corpo, della tua mente e della tua vita esteriore”.
Se notizie di più ampio respiro conquistano una qualche attenzione, ciò è strettamente legato alla distrazione dell’interesse del pubblico dalla guerra in Iraq, da un reddito famigliare immobile e dall’abolizione delle tasse ai ricchi, in direzione della patetica figura di Michael Jackson, il cui processo per molestie ai bambini ha occupato i primi posti delle “top stories” di TV, radio e giornali, più che la guerra in Iraq.
Si guardi la TV, si ascolti la radio, si leggano i principali quotidiani e si potrà facilmente concludere che Viacom, Disney, Sony, Time Warner e i pochi altri giganteschi media transnazionali non hanno alcun interesse a un mondo di cittadini. Essi puntano a un mondo di consumatori che sarebbe ideale non avessero alcun interesse per la politica.
I proprietari delle corporation mediatiche hanno buoni motivi per consolidare l’autorità dello stato. Il governo USA lavora attivamente per loro nelle istanze nazionali e internazionali, come il WTO, per “deregolamentare” i media, tagliare la tasse alle corporation, favorire le fusioni fra media e aprire dovunque mercati per i media. Queste gigantesche entità finanziarie morderebbero la mano che li nutre, se mettessero in questione le politiche di un governo, dal cui aiuto e dalle cui agevolazioni dipendono per una loro vantaggiosa riproduzione. È impensabile che tali media possano agire come difensori della cittadinanza.
Al contrario, sostengono le politiche illegali dello stato - come l’invasione e l’occupazione dell’Iraq - e distraggono i lettori, gli ascoltatori e i telespettatori, inducendoli a preoccuparsi delle loro personali propensioni all’acquisto e non alle questioni della società.
Nei modelli pluralisti liberali, i mass media o quarto potere, sono diventati i guardiani della democrazia, i difensori dell’interesse pubblico. Edmund Burke diceva che c’erano “tre stati nel parlamento, ma laggiù nella galleria dei cronisti siede un quarto stato, più importante di tutti gli altri...Chiunque parli, parlando adesso all’intera nazione, diviene un potere, un’articolazione del governo, con un inalienabile peso nel legiferare e in ogni atto dell’autorità. Non importa di che ceto sia, quali rendite o decorazioni abbia: la cosa, che è necessario che abbia, è una lingua che gli altri sentiranno; questo e nulla più è il requisito” .
Jurgen Habermas sosteneva che nell’Inghilterra del XVIII secolo è sorta una “sfera pubblica”, una sfera che “ media fra società e stato”. La stampa è sorta fianco a fianco una cultura, che comprende il teatro, l’editoria libraria e le biblioteche. Siccome il pubblico ricco è diventato più colto, i media hanno consentito all’élite di discutere di politica in maniera diversa.
“Questa è la seconda volta in un mese che la Commissione Speciale dell’ONU ha tirato fuori esplicitamente la possibilità di un attacco USA. Ma questa volta non c’è possibilità di ritorno. Gli ispettori hanno messo insieme i loro bagagli personali e caricato l’equipaggiamento presso il quartier generale dell’ONU dopo un ordine d’evacuazione prima del tramonto. Faccenda di ore, se ne saranno andati, più di 120 di loro in volo alla volta del Bahrain.” (Hane Arraf, CNN, 16/12/1998)
“Quello, che Bush è spinto a fare da molti consiglieri, si incentra sul semplice fatto che Saddam Hussein, alla fine della Guerra del Golfo, ha firmato un pezzo di carta, promettendo che le Nazioni Unite avrebbero avuto mano libera nell’invio di ispezioni sugli armamenti in Iraq. Sono passati diversi anni da quando quegli ispettori sono stati cacciati via”. (John King, CNN 18/8/2002)
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