L'arma scarica della notizia
La prima arma di ogni guerra e' l'informazione, e in questo senso il mondo e' gia' in guerra. Da parecchi mesi siamo sottoposti a una gigantesca campagna di propaganda per dimostrare che un attacco armato all'Iraq e' indispensabile. Solo con la forza, dicono l'amministrazione Bush negli Stati uniti e il premier Tony Blair in Gran Bretagna, riusciremo a togliere le armi di distruzione di massa a un dittatore criminale, restaurare la democrazia in Iraq, eliminare una fonte di terrorismo internazionale, perfino portare la pace in Medio oriente... La macchina propagandistica pero' non e' riuscita a convincere il mondo che questa guerra sia necessaria - tantomeno "giusta". Al contrario, l'opposizione alla guerra attraversa governi e cittadinanze. Le ragioni sono diverse e nel libro Iraq. Dieci ragioni contro la guerra (Verso 2002, in italiano Einaudi, 2003) il ricercatore e attivista Milan Rai le elenca: non ci sono prove reali che l'Iraq possieda quelle armi, il legame tra il regime di Baghdad e Al Qaeda e' inesistente. Gli Usa non badano affatto alla democrazia in Iraq: si limiteranno a trovare un "clone" di Saddam che sia loro amico. La guerra invece puo' provocare un disastro umanitario, mettera' a repentaglio la popolazione kurda nel nord; sara' una guerra illegale, fuori dal diritto internazionale; creera' un "cerchio di rabbia" e nuovo terrorismo. Infine divide le opinioni pubbliche, ha l'opposizione di molti generali americani e britannici, puo' provocare una recessione globale.
Da buon allievo di Noam Chomsky (il quale firma l'introduzione al libro), Rai attinge a una quantita' impressionante di informazioni e materiale documentario per smontare la macchina della propaganda. Nato in India e residente in Gran Bretagna (dove lo raggiungiamo per telefono), Milan Rai e' anche tra i fondatori di Arrow, movimento pacifista e non violento inglese. Quando scrive che "le decisioni prese prossimamente si ripercuoteranno per anni o decenni", si riferisce alle decisioni dei governi "ma anche a quelle prese da noi".
Come valuta allora le manifestazioni contro la guerra che si ripetono in tutto il mondo?
Credo che le mobilitazioni di massa del 15 febbraio siano di straordinaria importanza. Qui in Gran Bretagna ha coinvolto persone di ogni posizione e retroterra politico, e questo segna una vera rottura nel panorama politico. Abbiamo visto articoli che incoraggiavano la mobilitazione sul Telegraph, un giornale di destra. Un vero rimescolamento di carte della politica britannica. Che impatto avra' questo sulla guerra? La mobilitazione ha reso piu' difficile la posizione di George W. Bush e di Tony Blair. Blair in particolare e' in una situazione assai rischiosa. Le manifestazioni hanno rafforzato il consenso internazionale a favore delle ispezioni piuttosto che la guerra. Il premier britannico spera che una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza, se ci sara', rendera' quei milioni di persone piu' disponibili ad accettare l'azione militare: qui nel Regno unito c'e' ancora una maggioranza che sosterrebbe o accetterebbe una guerra all'Iraq se autorizzata dall'Onu. E pero' la proporzione cala: da 72% un mese fa a 59% ora. Non solo: sembra chiaro che la nuova risoluzione non autorizzera' esplicitamente la guerra, dunque non risolvera' il problema politico di Blair. Per questo credo che le manifestazioni abbiano scosso i preparativi di guerra. Forse non la impediranno, ma possono aprire la strada in futuro a un nuovo tipo di movimento di massa per la pace. Il tema unificante, credo, e' che tutti hanno paura delle conseguenze di un atteggiamento unilaterale, aggressivo e cieco da parte degli Stati uniti.
Per smontare le argomentazioni addotte dalla Casa Bianca - e da Tony Blair - lei si avvale di fonti d'informazione pubbliche, soprattutto articoli apparsi sulla stampa mondiale. Questo fa molto pensare sul ruolo della propaganda nelle guerre.
Il punto e' come vengono presentati i fatti. Un conto e' registrarli, un conto e' metterli nel contesto: un fatto puo' essere riferito sulla stampa ma presentato in modo tale che nessuno riesce a capirne il senso. A proposito di media, nel libro cito Noam Chomsky per dire che i grandi mezzi d'informazione (corporate media) funzionano in modo tale da mistificare in modo sistematico gli eventi. La questione chiave oggi e' se le domande elencate da Hans Blix la settimana scorsa - le questioni a cui Baghdad deve ancora rispondere circa le sue armi di distruzione di massa - diventeranno il parametro su cui misurare l'ottemperanza dell'Iraq alle risoluzioni dell'Onu sul suo disarmo. E' ben questo che chiede la Risoluzione 1284, quella che istituisce la missione Unmovic, l'attuale missione di ispezioni guidata da Hans Blix: entro 60 giorni dall'inizio delle ispezioni, la Unmovic e l'Aiea dovevano poter definire le questioni chiave a cui l'Iraq dovra' rispondere per essere considerato adempiente. Questo finora non e' successo e credo che l'unico motivo sia la pressione degli Stati uniti. Il fatto e' che l'opinione pubblica generale non sa molto sulla risoluzione 1284, mentre a Washington e Londra serve ridefinire di continuo la questione in modo da poter dire che l'Iraq non ha rispettato le risoluzioni. Ecco un altro esempio in cui l'informazione c'e' - tutti possono leggere la risoluzione 1284 - ma non e' alla portata dei piu'.
Lei dimostra che gli Stati uniti hanno contribuito a demolire la prima missione di ispezioni, Unscom, infiltrandola di spie, e poi hanno fatto di tutto per ostacolare una nuova agenzia di ispezioni. Nonostante tutto, la nuova missione di ispezioni e' cominciata. Quale potrebbe essere ora l'elemento che innesca la guerra? I missili Samoud 2?
Credo che i fautori dell'attacco siano davvero in una posizione difficile. A meta' gennaio alti funzionari britannici predicevano con grande sicurezza che entro fine mese gli ispettori avrebbero fornito prove tali da convincere tutti della necessita' di disarmare Saddam Hussein con la forza: ma non e' successo. Tutto quello che hanno trovato sono quelle testate vuote, e un pacco di vecchi documenti che mostrano il tentativo di arricchire l'uranio con un processo complicato che a quanto se sa non e' mai riuscito. Cosi', e' davvero difficile dire come Usa e Regno Unito riusciranno a convincere il mondo, e i membri del Consiglio di sicurezza. Forse vorranno che Hans Blix dichiari che l'Iraq non sta cooperando appieno - lo aveva detto il 27 gennaio, ma non l'ha ripetuto il 14 febbraio. Ma per ora Blix dice che gli ispettori lavorano senza ostacoli. Certo, se Blix dicesse che non c'e' collaborazione da parte irachena, al punto che gli ispettori non sono in condizione di lavorare, allora poco importeranno le prove reali dell'esistenza di armi di distruzione di massa: Washington e Londra potranno sostenere che serve la forza. La questione centrale delle ispezioni sono le armi biologiche e chimiche che Baghdad notoriamente aveva e di cui non ha piu' reso conto. Finora, l'Iraq ha dato agli ispettori una lista di persone che sono state coinvolte nella distruzione di quelle armi. Se gli ispettori intervisteranno quelle persone - per il momento non e' successo perche' rifiutano i colloqui in presenza di un registratore o un funzionario del regime - ma se li intervistano, forse alla fine si ricostruira' in modo credibile come sono finite quelle armi biologiche o chimiche. Considerate che gran parte delle armi chimiche oramai sarebbero comunque inservibili. Le uniche cose di cui preoccuparsi sono l'iprite (mustard gas), forse i VX, gas nervini. Ora l'Iraq sta cominciando ad aiutare gli ispettori a stabilire se le armi chimiche sono state davvero distrutte, e si puo' sperare che cio' faranno per le armi biologiche. Ma il fatto che l'Iraq abbia cominciato a collaborare sulla questione sostanziale delle ispezioni e' del tutto irrilevante per Usa e Regno unito. Anzi, l'ultima cosa che vogliono dall'Iraq e' una vera collaborazione con gli ispettori...
Se il vero scopo della guerra non sono le armi di distruzione di massa, e meno ancora la democrazia in Iraq, qual e' il vero obiettivo della guerra? Crede che basti il petrolio a spiegare un tale accanimento - o forse ridisegnare la mappa strategica della regione, affermare un potere imperiale?
Il gruppo di persone a capo dell'amministrazione - il vicepresidente Dick Cheney, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld, il suo vice Paul Wolfovitz, - ha una lunga storia di aggressivita' verso l'Iraq e non ha mai fatto mistero che vuole eliminare Saddam. Fin dal `91 il governo Usa voleva attaccare l'Iraq: ma la situazione internazionale non era favorevole, e neppure l'opinione interna. L'11 settembre ha cambiato le cose: sembra aver cancellato la sindrome del Vietnam dall'opinione degli americani, l'opposizione a operazioni militari aggressive all'estero. Era l'occasione giusta: per questo gia' il 12 settembre, prima che fosse chiaro chi e come aveva organizzato l'attacco alle torri, Rumsfeld ha proposto al presidente di attaccare l'Iraq. Perche'? Le due motivazioni sottostanti alla lunga campagna contro Baghdad sono in primo luogo la credibilita' americana: Saddam Hussein e' il primo esempio al mondo di uno che ha sfidato gli Usa ed e' sopravvissuto, e questo e' il "messaggio sbagliato". Credo che la guerra al terrorismo, propriamente intesa, e' una guerra per dimostrare che non si puo' sfidare gli Usa e farla franca. Il petrolio e' un altro elemento: ma non tanto procurarsi nuove fonti di greggio o controllare il prezzo del barile: cio' che vogliono le compagnie anglo-americane e' una redistribuzione delle concessioni sui pozzi petroliferi iracheni, ovviamente a loro vantaggio. Gran parte dei contratti iracheni oggi sono a favore di Russia, India, Cina e altri, e le aziende americane sperano che i vecchi contratti e accordi saranno cancellati e loro avranno la parte del leone in una nuova redistribuzione. Infine - e' un elemento minore ma entra in gioco - i profitti sulla ricostruzione dell'Iraq: saranno una grande affare.
Andranno alla guerra comunque, ma a quale prezzo?
E' un azzardo. La scommessa dell'amministrazione Bush e di Tony Blair e' un rischio che altre amministrazioni non avrebbero accettato, ne' a Washington ne' a Londra. Scommettono che una vittoria veloce e schiacciante in Iraq demoralizzi gli oppositori, umiliando chi si era opposto. Un po' come nel `91, quando il tentativo europeo di trattare in modo diverso il problema palestinese crollo' e gli europei si arresero l'agenda americana. Si', ci sara' da aspettarsi un aumento del rischio di terrorismo suicida, ma alla Casa Bianca e Downing Street pensano che sia un costo contenibile, un prezzo accettabile in cambio del vantaggio di rafforzare il controllo militare e politico internazionale. Questo e' l'azzardo. Ma potrebbe andare diversamente da come sperano. Il costo politico di quest'avventura sara' allora di delegittimare sia le istituzioni politiche e della politica estera americane e britanniche, sia le organizzazioni internazionali. E' un azzardo pericoloso.
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La propaganda Milan Rai e' un ricercatore e un attivista, e' nato in India e vive in Gran Bretagna. Il suo "Iraq. Dieci ragioni contro la guerra" e' dedicato a smontare l'imponente costruzione della propaganda bellica americana
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Le fonti Impressionante la quantita' di informazioni e materiale documentario, sorprendenti
le fonti: spesso i "corporate media", i grandi mezzi d'informazione. Che raccontano gli eventi, ma mistificandoli sistematicamente
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L'esito L'effetto collaterale del (relativo) fallimento della propaganda bellica e' enorme. Ha creato, ad esempio, un'opinione mondiale contraria alla guerra. E l'azzardo di sfidarla
e' la vera, letale scommessa di Bush e Blair
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