Fukuyama si corregge, la Storia non si è conclusa
Fukuyama è diventato famoso una decina di anni fa, precisamente nel 1992 (casualmente nell' anno del centenario dell'inizio della conquista dell'America) quando ha pronunciato il grido trionfale nel suo libro "La fine della storia e l'ultimo uomo: la storia si è conclusa". Però in realtà ciò che viene detto da questo pseudo intellettuale non è né un pensiero profondo n! on è comprendere alcuna verità assoluta. La storia non si è conclusa.
Agli inizi della scorsa decade, alla caduta del muro di Berlino e al crollo del socialismo nell' Europa dell'est, il capitalismo si è sentito vittorioso e trionfante.
Tutto pareva intendere che la economia pianificata non portava da nessuna parte e che i! l mercato si imponeva come un modello unico inevitabile. Unito a questo c'era visione l' idea delle democrazie parlamentari intese come più "civilizzate" e capaci di dare risposte più concrete ai problemi sociali rispetto alle "dittature" del proletariato di un partito unico.
La sorpresa fu tale -e in larga parte, la sorpresa a livello mediatico che il capitale ha saputo dare a riguardo- che il discorso principale ha invaso tutta la discussione.
Anche la stessa sinistra rimase perplessa e senza alcun tipo di argomenti. Sembrava certo che la storia ci avesse voluto lasciare senza una risposta. Però la storia non si era conclusa.
Il termine "globalizzazione" si è impadronito degli spazi mediatici e dell'ambito accademico, diventando così sinonimo di progresso, di processo irreversibile, del trionfo del capitale sull' antiquato comunismo ch! e stava morendo. Ed è questo realtà ciò che ci hanno fatto credere. La globalizzazione,definita sempre in malo modo, è diventata il nuovo dio; secondo quanto ci hanno detto-e Fukuyama ne fu uno dei principali diffusori di ciò-la stessa globalizzazione avrebbe portato allo sviluppo e alla prosperità tutto il pianeta.
La storia si era conclusa (o meglio: era il socialismo ad essersi concluso), e il termine che lo esprimeva con eleganza-per non dire con raffinato sadismo-era globalizzazione. Non si poteva essere contro quest'ultima.
Per questo quindi l'ottimismo trionfalista del neoliberalismo in voga campeggiava in tutto il mondo. Dopo le disastrose esperienze socialiste(in realtà sarebbe da discutere anche questo supposto disastro, pensiamo al caso di Cuba ad esempio, è stato un disastro?) o meglio: dopo la presentazione mediatica che che rappresentava il capitalismo come vittorioso in tutti i fatti che hanno segnato questi anni, non è stato dato spazio ad altre alternative. Con la forza della moda, le politiche neoliberali hanno distrutto il pianeta.
E secondo quanto ci assicuravano i loro mentori, avrebbero dovuto portare pace e felicità per forza. Però oggi a distanza di quasi 20 anni da questo grido di guerra, la realtà ci mostra qualcosa di molto diverso della pace e della felicità globali. Il capitalismo è senza dubbio cresciuto, però a condizione di continuare a generare più povertà. La ricchezza viene sempre più divisa in maniera diseguale, per ciò l'unica cosa che si può dire che sia cresciuta è l'ingiustizia. E le guerre non solo non sono scomparse ma sono diventate un elemento vitale nell'economia globale; di fatto nella dinamica della principale potenza mondiale, gli Stati Uniti, è il suo vero motore, che occupa quasi un quarto di tutto il suo potenziale e definisce la sua strategia politica interna e internazionale. Allo stato attuale delle cose, la storia non si è conclusa.
Dopo alcuni primi anni di impressionante turbamento, sia nelle aree popolari che nell' analisi obiettiva dei fatti, è stato solo uscendo dallo shock che ci si è resi conto che il momento di euforia dei grandi capitalisti era un trionfo, enorme, senza dubbio, però non fu altro che questo: un trionfo preciso ( una battaglia) in una lunga storia che continua a fare il suo corso. Perché la storia avrebbe dovuto concludersi?.
"Siediti sulla riva del fiume e che aspetta di veder passare il cadavere del tuo nemico" insegnava circa 2500 anni fa il saggio cinese Sun Tzu nell'arte della guerra. Sembra che questo orientale avesse compreso meglio il senso della storia che il moderno orientale americanizzato, Fukuyama. La storia non si conclude.
Dopo aver osservato i disastri causati dal ritiro dello Stato nella dinamica economico-sociale di molti paesi si continua con le ricette (le tasse,. ovviamente) degli o! rganismi finanziari internazionali su questa onda neoliberale assoluta, c'è anche gente pensante che reagisce. Questo disastro- con enormi esodi di emigranti dal Sud verso il Nord, con i livelli di violenza sempre crescenti e con picchi disperati di terrorismo- fa si che il mondo diventi sempre più problematico e invivibile. Ed è qui che appare di nuovo Francis Fukuyama.
In realtà, nel suo nuovo libro non viene smentito radicalmente quello che è stato detto anni addietro, ma lo si sottolinea.
Cioè, in altri termini, non si tratta esclusivamente di una espressione di inconsistenza intellettuale enorme. Un grido di guerra non è teoria. E il fatto che 15 anni fa ci si è presentato come una formulazione seria e sensata - il fatto che la storia si era conclusa- non si eleva dal livello di libretto economico per provincialotti. In gioco non c'è nessun concetto rigoroso: c’è solamente una millanteria ideologica.
Se oggi Fukuyama deve fare appello a questa rivalorizzazione del ruolo dello Stato, è solo perché la storia gli ha dimostrato l'inconsistenza dello show propagandistico che ci ha lanciato anni fa. Inoltre, pone l'accento sullo Stato e non sulle relazioni strutturali che lo stesso Stato esprime . Il problema non risiede nello Stato, nella sua debolezza o nella sua forza: il problema continua ad essere nelle lotte di classe, la struttura reale della società.
La storia continua a fare il suo corso, anche se non sappiamo bene quale esso sia.
Però continua, inesorabilmente. La storia altro non è che movimento, cambiamenti, rivoluzioni, viol! enza per cambiare ciò che è duro a morire (" la violenza è la levatrice della storia."), avanzamenti e retrocessioni, un movimento continuo e alla fine di calmo non c’è niente.
Come disse in maniera azzeccata Jorge Gòmez Barata: un "ciò che ha demonizzato Carlo Marx e lo ha reso un avversario formidabile, non è stato aver predicato la rivoluzione, ma aver dimostrato la sua inevitabilità, anche se a volte accade in maniera differente a come lo ha concepito lui".
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