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Educatore e animatore sono termini che indicano due ambiti professionali caratterizzati da competenze diverse, ma anche da zone di interazione; un educatore può far ricorso nel proprio lavoro a metodi e tecniche di animazione, così come un animatore culturale, soprattutto quando lavora direttamente con bambini e ragazzi, svolge di fatto anche una funzione educativa. Semplificando un po', potremmo dire che "Una volta c'era l'insegnante...", nel senso che era di fatto l'unica figura accreditata di educatore, operatore culturale, maestro di vita... e la scuola era il "sacrario" dove avveniva la formazione del soggetto attraverso la trasmissione culturale e l'assunzione di un habitus mentale e disciplinare. Fuori dalla scuola avveniva certamente una parte significativa dell'educazione del soggetto, in famiglia innanzi tutto, ma anche in parrocchia, in associazione, nel partito ecc., ma era una sorta di "zona grigia" dell'educazione, ritenuta marginale e non iscritta all'albo ufficiale della Pedagogia e della Cultura.
Insomma, è una guida per sperimentare percorsi di Media Education. Quindi più che svelare i trucchi delle sorprendenti diavolerie da creare nel laboratorio della post produzione, suggerisce l'efficace spazio educativo che si può aprire con un approccio a "soglia tecnologica bassa", nel quale liberare lo sguardo dei ragazzi, cioè giungere al cuore dei media e dei loro messaggi. In questo approccio, l'uso delle tecnologie caratterizza le attività di animazione ma in maniera limitata e non invasiva rispetto alla finalità educativa del processo. Per realizzare gli esercizi suggeriti non occorrono grandi investimenti nè sofisticate apparecchiature. Il criterio cui si ispirano è "la massima resa (educativa) con la minima spesa (tecnologica)". Come un gioco a carte scoperte, oppure una specie di viaggio, dove alla fine si può davvero scoprire chi c'è dietro il mago di Oz.
Ovviamente la scuola non è estranea a tutto questo, anzi, essa è diventata uno degli interlocutori fondamentali dell'animazione, intesa da una parte come modalità di rendere più attivi i processi di insegnamento e apprendimento sulla base di nuovi strumenti del comunicare; dall'altra di favorire l'interazione con il territorio e le sue risorse culturali (ambiente, istituzioni ecc.). Attraverso l'animazione possiamo dire che la scuola italiana ha in parte recuperato quella "pedagogia dell'attivismo" che, per varie ragioni, le era rimasta estranea.
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Il contenuto di questo libro si colloca nell'area della Media education, un ambito di studio e di ricerca della pedagogia e della didattica che ha assunto ormai il carattere di una vera e propria disciplina e che identifica i mass-media come un campo dell'esperienza educativa, sia dal punto di vista "spontaneo e naturale", per l'uso quotidiano che se ne fa a livello individuale e sociale, sia dal punto di vista "intenzionale" e cioè facendo dei media un punto di riferimento per strategie educative (educare ai media, con i media ecc.). Ma questo contributo di Lucio D'Abbicco si colloca nella Media education sulla base di una particolare declinazione: quella della "soglia tecnologica bassa", come egli stesso la definisce, e cioè partendo dal presupposto che l'educazione ai media - usando qui il termine "educazione" in senso lato - può avere nel "basso profilo tecnologico", un elemento particolarmente significativo della propria identità, per certi versi in aperto contrasto con il "profilo alto" col quale i media si (im)pongono nella nostra vita. La soglia tecnologica bassa indica la massima resa (educativa) con la minima spesa (tecnologica); uno stile, per certi versi uno slogan, che tra l'altro si richiama direttamente al metodo della pedagogia scout...
C'è inoltre l'idea che la media education si fa "dal basso", nel senso che si abbassa, si pone cioè all'altezza dei soggetti che normalmente sono considerati gli ultimi, quelli con il più basso potere di interazione con chi produce i messaggi e con chi gestisce le tecnologie: i bambini in prima istanza, ma allargando lo sguardo, anche tutti coloro che nel mondo possiamo chiamare "i poveri". Non è un caso se una delle realtà più interessanti nel campo della media education è quella sudamericana, brasiliana in particolare, dove la Pedagogia degli oppressi di Paulo Freire nella sua istanza fondamentale di alfabetizzazione come coscientizzazione, oggi comprende anche la dimensione della media education.
Non si tratta solo di un problema "culturale": verifichiamo ogni giorno come nelle moderne democrazie occidentali l'esercizio e il governo della democrazia passino attraverso l'uso e il controllo dei media. Oltre ai facili rilievi che si possono fare a proposito, per esempio della particolare situazione italiana, si consideri come alcune realta' sociali rischiano letteralmente di "non esistere" agli effetti della pubblica opinione, nella misura in cui i media non assicurano loro la giusta "visibilita'". È propriamente anche un problema "politico" in senso lato; cioe' - per tornare alla nostra precedente affermazione - una questione di cittadinanza. Masterman sostiene che in questa prospettiva la Media Education e' destinata a giocare un ruolo vitale:
La democratizzazione delle istituzioni e la lunga marcia verso una democrazia veramente partecipativa dipenderanno in massima parte dalla capacita' dei cittadini di operare un certo controllo, di divenire forti agenti di cambiamento, di prendere decisioni razionali (spesso sulla base dei media stessi) e di comunicare tra di loro in modo efficace anche grazie a un uso e a un coinvolgimento attivo nei media.
Dunque, noi crediamo che esista un bisogno diffuso di ME, benche' non sempre esplicitato, a livello piu' generale di societa'. Cio' si puo' evincere, tra l'altro, proprio da alcuni documenti interni al sistema mediale, come il Codice di autoregolamentazione TV e minori, adottato in Italia una prima volta nel 1997 e aggiornato nel 2002: qui tale bisogno emerge per contrasto, nel senso che le emittenti si impegnano "ad aiutare gli adulti, le famiglie e i minori a un uso corretto e appropriato delle trasmissioni televisive" (Principi generali, comma B), a promuovere campagne di sensibilizzazione "per un uso consapevole del mezzo televisivo con particolare riferimento alla fruizione famigliare congiunta" (art. 5.2).
È come se si ammettesse che il consumo di televisione non possa essere considerato un fatto "naturale", nonostante l'estrema familiarita' che tale esperienza ha assunto nella societa' contemporanea: il consumo televisivo richiede, piuttosto, attenzioni specifiche, nel senso di interventi, anche elementari, di formazione.
In questa prospettiva siamo convinti che ogni educatore non possa fare a meno, oggi, di essere un edu-comunicatore: non gia' un tecnologo, ma un professionista "capace di integrare i diversi media nelle sue pratiche educative". Senza imbarazzi, ma con il gusto di scoprire nuove possibilita' formative insieme ai destinatari della propria azione. In questo modo si potra' rompere il diaframma che separa le "due realta'" e la persona potra' muoversi da "cittadino" su entrambi i fronti.
...L'educazione ai media non puo' che configurarsi come una scommessa, la scommessa della popolazione adulta di avere qualcosa da dire ai bambini, ai ragazzi, ai giovani (e magari anche a se stessi) in ordine agli strumenti e ai messaggi dei media, non certo con la pretesa di voler insegnare in maniera esaustiva e sistematica tutto quello che c'e' da sapere, ma almeno di creare delle situazioni di approfondimento riflessivo, di scoperta (anche comunitaria) di senso, di analisi critica delle situazioni e dei linguaggi.
È un'animazione senza trucchi e senza inganni, quella che Lucio D'Abbicco propone, senza gli effetti speciali delle post-produzioni, o il ricorso a sofisticati laboratori o aule attrezzate, ma che intende "arrivare al cuore" dei media e dei loro messaggi. È un gioco a carte scoperte, oppure una specie di viaggio, dove alla fine si può davvero scoprire chi c'è dietro Il Mago di Oz.
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