I media Usa "si allacciano le cinture"
NEW YORK
"Una volta iniziata la guerra, ogni americano pensera' principalmente alla salvezza della nostre truppe, al successo della loro missione e alla minimizzazione delle vittime tra i civili iracheni. Non sembrera' il momento giusto per lamentare come l'America sia arrivata a questo punto. Oggi e' il momento giusto. Questa guerra e' il coronamento di un periodo di terribile fallimento diplomatico, il peggiore, da parte di Washingon, da almeno una generazione" - la citazione e' dall'editoriale di ieri del New York Times. La mattina dopo l'ultimatum di Bush a Saddam Hussein, il piu' prestigioso dei quotidiani americani, si pronuncia in modo molto duro contro la politica della Casa bianca, accusandola di obiettivi e logiche in continua variazione, di tempistiche arbitrarie, antipatia per i do ut des intrinseci al processo diplomatico, di forzarture di mano pubbliche e di aver fallito nel dimostrare al mondo che ci si trova di fronte a un pericolo imminente. La guerra, conclude l'editoriale, "non era ne' predestinata ne' inevitabile".
Per quanto forte e sentita, questa presa di posizione contro la scelta unilaterale del governo Bush e' stata probabilmente delle ultime manifestazioni di quel diffuse dissenso pubblico tra gli americani e Washington che effettivamente esiste ma che e' destinato a essere riassorbito nel generale riallineamento dell'opinione pubblica che si verifica in occasione di un'azione armata. Gia' da qualche giorno, i sondaggi di opinione anticipavano tale riallineamento e il discorso di Bush alla nazione ha fatto il resto. Pronte come al solito ad armarsi fino ai denti le televisioni (preallertate dalla conferenza stampa mattutina di Colin Powell), sono state prontissime a reagire al nuovo "stato di guerra".
In uno speciale di due ore condotto da Peter Jennings, a seguito del discorso di Bush, la Abc forniva dettagli dell'imminente campagna militare, approfondimenti sulla situazione dei curdi, collegamenti da Baghdad e dalla basi Usa. La Cbs aveva messo insieme un programma analogo nell'ora che ha preceduto il discorso. Piu' "a sinistra" degli altri, la Pbs ha mandato in onda un ottimo documentario della serie Frontline sugli ultimi vent'anni dei rapprti Iraq/USA - roba da far accapponare la pelle - a cui e' seguito uno speciale di Bill Moyers che discuteva le catastrofiche implicazioni economiche della guerra e le difficolta' della cosiddetta "democratizzazione" dell'Iraq.
Un salto di telecomando sulle televisioni via cavo all news registrava un cambio di temperatura ancora piu radicale. Paradossalmente all'unanimita' con il suo antagonista liberal, in un talk show in onda sulla MSNBC, l'ex candidato alla presidenza Usa Pat Buchanan (iper-reazionario ma anche repubblicano della vecchia guardia, quindi isolazionista) invitava gli spettatori ad "allacciarsi le cinture di sicurezza" perche' "la politica estera Americana e' cambiata per sempre. L'Iraq e' solo l'inizio" . Iran a Corea spiegava Buchanan - e chissa' quali altri paesi- sono gia' sulla tabella di marcia.
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