Una giornalista Cnn accusa: «Sull'Iraq Bush ci ha imbavagliati»

inizia a rompersi il muro di falsita' che aveva gestito l'informazione USA durante il conflitto in iraq
16 settembre 2003
Toni Fontana


Anche le star si pentono. Christiane Amanpour, il voto più noto della Cnn, giornalista «embedded» durante la guerra, tra i primi reporter a raggiungere Baghdad al seguito delle truppe di occupazione, punta il dito contro Bush accusandolo di «aver imbavagliato la Cnn» e gli altri media «disseminando disinformazione» nel corso del conflitto. Pur essendo passati quattro mesi e mezzo dalla fine «ufficiale» della guerra le dichiarazioni della star del piccolo schermo vanno registrate perché finora i reporter «embedded», cioè reclutati dall’esercito americano, avevano fatto muro difendendo l’informazione fornita nel corso dell’avanzata dei marines verso Baghdad.

Circa 600 giornalisti, in massima parte americani e inglesi, erano stati accettati delle truppe d’invasione e hanno seguito il conflitto seguendo le truppe Usa e, in molte occasioni, vestendo le divise dell’esercito americano fino a confondersi con i soldati. Per essere accettati nella fila degli «embedded», i reporter hanno sottoscritto cinquanta «regole», imposte dal comando Usa che, nella sostanza, obbligavano i giornalisti al seguito a non specificare mai le località, la consistenza delle truppe e l’esito dei combattimenti.

La Cnn, come altri grandi reti televisive americane, ha schierato una cinquantina di giornalisti durante il conflitto e tutti avevano accettato le «regole», cioè l’autocensura preventiva. Perché oggi il volto più conosciuto della televisione di Atlanta decide di voltare le spalle al giornalismo «embedded»? Secondo quanto ha detto la giornalista nel corso di un talk-show ospitato dalla Cnbc, i media, ed anche la Cnn, non hanno messo in discussione le motivazioni proposte da Bush per giustificare l’intervento. A giudicare dalle parole di Christiane Amanour è stata la questione del mancato ritrovamento delle armi di distruzione di massa a modificare il suo giudizio e ad indurla a puntare il dito contro l’amministrazione che ha «imbavagliato alcune televisioni, compresa la mia, che si sono lasciate intimorire da Bush e dai suoi fanti, come la Fox News». L’altro obiettivo delle critiche dell’Amanpour è dunque la rete avversaria di proprietà del magnate australiano Murdoch, che, durante la guerra, ha inviato i reporter in prima linea schierandosi senza remore in favore dell’intervento. Fox New ha subìto risposto alle critiche della star della Cnn con un velenoso commento rivendicando che «dovendo scegliere» e meglio «essere visti come fanti di Bush che come portavoce di Al Qaeda». Scoppia dunque una guerra tra le varie anime del giornalismo «embedded» americano e le dichiarazioni della Amanpour potrebbero aprire una falla nel muro che i reporter hanno eretto per difendere l’informazione fornita durante il conflitto.

Il mancato ritrovamento delle armi di Saddam e, soprattutto, la catena di uccisioni (anche ieri è un soldato americano è stato ucciso a Baghdad) stanno condizionando pesantemente gli umori dell’opinione pubblica americana e le affermazione della star della Cnn esprimono la riflessione, anche autocritica, che alcuni giornalisti hanno avviato.

I tempi che si annunciano fanno ritenere che altri equilibri stanno per spezzarsi, alcuni membri del governo ad interim hanno detto ieri che gli americani «maltrattano» gli iracheni. Colin Powell è stato applaudito in Kurdistan dai sopravvissuti delle stragi ordinate da Saddam, ma poi è volato in Kuwait lasciando alle sue spalle un paese nel quale la pace appare ancora un lontano miraggio.

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