Oltre il 70% della comunità latina appoggia la protesta

Stati Uniti: il May Day dei migranti latinoamericani scuote il governo Bush.

Anche in Salvador manifestazioni di solidarietà e contro la firma del Tlc
29 aprile 2006
David Lifodi

La legge Sensenbrenner (dal nome del deputato repubblicano che l'ha proposta e conosciuta anche come progetto di legge Hr4377) ha paradossalmente avuto il merito di mobilitare, come mai era successo finora, gli immigrati, e in particolare la numerosa comunità latinoamericana presente negli Stati Uniti.
Salvadoregni, messicani, guatemaltechi e più in generali tutti gli "indocumentados" di Centro e Sudamerica hanno lanciato per il 1 maggio (festa dei lavoratori in quasi tutti i paesi esclusi gli Stati Uniti, dove si celebra nel mese di settembre) una protesta clamorosa contro le norme più repressive della legge, soprattutto quelle che stabiliscono come reato l'immigrazione illegale e il lavoro, il soccorso e l'assistenza ai migranti sprovvisti di documenti.
Gli enormi cortei che avevano reso visibili gli immigrati nelle principali metropoli americane non bastavano più, c'era bisogno di un'iniziativa che mettesse alle strette il governo repubblicano, e così, dopo la famosa marcia dello scorso 25 marzo a Los Angeles è nata l'idea di una giornata di sciopero nazionale per il 1 Maggio denominata "Un dìa sin inmigrantes". L'intento della protesta, a cui hanno aderito tantissime organizzazioni sociali, religiose, e realtà di movimento intende dar vita da un boicottaggio economico allo scopo di ottenere una legge meno restrittiva in materia di immigrazione. Alcuni piccoli risultati potrebbero essere già raggiunti: è infatti in discussione al Senato, pare con l'approvazione di Bush, una legge volta a rendere legali una parte dei 12 milioni di sans papier latinoamericani e consegnar loro una sorta di carta di lavoro temporanea per gli impieghi meno qualificati. Si chiama "Programma per i Lavoratori Ospiti", ma è comunque evidente che questo certamente non basta a soddisfare le richieste dei migranti, che hanno già diffidato il governo statunitense dall'adottare misure repressive come le retate contro i senza documenti avvenute in questi ultimi giorni per scoraggiare l'adesione al boicottaggio del 1 maggio.
Il "Programma per i Lavoratori Ospiti" mostra tra l'altro non poche ambiguità: prevede infatti che i migranti possano chiedere la cittadinanza dopo aver ottenuto in precedenza due permessi di soggiorno (rispettivamente di 5 e 6 anni) e aver dimostrato di apprendere le basi del sistema civile americano.
"Dimostreremo la forza e l'unità del movimento dei migranti e siamo disposti a pagarne le conseguenze, ma la nostra lotta avrà termine solo quando raggiungeremo l'amnistia totale e la messa in regola di tutti coloro che sono sprovvisti del permesso di soggiorno". Alcuni sondaggi rivelano che oltre il 70% della comunità latinoamericana appoggia la protesta, sostenuta con forza anche da organizzazioni religiose: "Questo è un momento senza precedenti nella storia della Chiesa Evangelica Ispanica negli Stati Uniti" – ha spiegato il reverendo Samuel Rodriguez – "mai si era vista una mobilitazione così massiccia". Su una protesta così clamorosa pesano i dubbi, condivisibili, di alcuni gruppi meno radicali che temono l'effetto boomerang sugli aderenti allo sciopero, ad esempio il licenziamento immediato dai luoghi di lavoro ed una linea ancora più dura che potrebbe seguire l'Amministrazione Bush. Alcuni campesinos del Texas e del Nuevo Mexico hanno denunciato licenziamenti delle imprese in seguito alle marce avvenute durante l'ultimo mese.
Nonostante questo rischio, i migranti sono decisi allo sciopero totale: "non vogliamo più essere schiavi, né possiamo limitarci alle marce di protesta per farci ascoltare", ha sottolineato Juan Josè Gutierrez, uno tra i principali animatori della protesta, mentre oltre alla giornata di boicottaggio sono previsti veglie e presidi di fronte ai luoghi di lavoro insieme alla creazione di punti informativi per assistere legalmente i migranti. La giornata di lotta non si svolgerà però soltanto negli Stati Uniti. In Salvador i sindacati scenderanno a loro volta in piazza per protestare sia contro le leggi repressive varate dal governo Bush contro i migranti sia contro il trattato di libero commercio che Washington vuol imporre al piccolo paese centroamericano.
Nel frattempo, soprattutto per la forte spinta dei repubblicani, il governo Bush si appresta destinare altri fondi per rafforzare le frontiere contro la cosiddetta "immigrazione clandestina, poiché i mancati controlli alle frontiere rappresentano una minaccia per la nostra sicurezza nazionale", ma la May Day dei migranti latinoamericani potrebbe mettere in grande difficoltà l'amministrazione statunitense. A Bush non sta sfuggendo dalle mani soltanto il continente latinoamericano, da sempre considerato il "cortile di casa", ma adesso sono i migranti provenienti dal cortile di casa stesso a creargli problemi proprio nel suo territorio.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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