Il ciclo integrato dell'opinione pubblica

Un volume di Alessandro Pace e Michela Manetti sull'articolo 21 della costituzione sulla libera manifestazione del pensiero
4 giugno 2006
Francesco Bilancia (docente di diritto costituzionale, università di Chieti-Pescara)
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

Del valore della libertà di manifestazione del pensiero per la qualificazione di un regime democratico - e prima ancora liberale - nessuno dubiterebbe più, almeno in teoria, nell'attuale contesto della «società dell'informazione». Espressione quest'ultima che, per quanto se ne abusi, perfettamente descrive la realtà sociale contemporanea, aperta alla complessità quanto più forte è il rilievo assunto dall'evoluzione tecnologica nella costruzione della sfera pubblica nell'era delle telecomunicazioni globali integrate.
Tanto più allora diviene rilevante lo studio della disciplina giuridica, costituzionale innanzi tutto, del diritto alla libera manifestazione del proprio pensiero, così come la riflessione circa il valore di tale diritto per la promozione della centralità della persona umana nella costruzione dell'ordinamento dello Stato. E tanto più delicata è, quindi, l'analisi dei limiti legittimamente opponibili a tale diritto nel rispetto della Costituzione a proposito, ad esempio, del diritto di satira, della salvaguardia della vita privata e familiare degli individui, del trattamento informatico dei dati personali, del segreto di Stato, della tutela del diritto d'autore e così via. A chi guardi la società contemporanea con l'attenzione rivolta al profilo della comunicazione e dell'informazione, dimensioni essenziali del concreto vivere quotidiano, l'ultimo importante lavoro di Alessandro Pace e Michela Manetti (Art. 21, in Commentario della Costituzione fondato da Giuseppe Branca e continuato da Alessandro Pizzorusso, Bologna, Roma) offrirà una ricchezza di materiali e una profondità di riflessione di rara utilità, fortunata occasione di conoscenza.
Quali sono ad esempio, oggi, la rilevanza ed il trattamento giuridico dei cosiddetti reati di opinione, alla prova di resistenza delle previsioni del codice penale del 1930 rispetto alla Costituzione repubblicana del 1948? E l'offesa al sentimento religioso senza più una religione dello Stato? E il vilipendio alla nazione, o alla bandiera? Fino a che punto, poi, la libertà di manifestazione del pensiero può consentire di tollerare la propaganda razzista e quali sono, oggi, i caratteri ed i limiti del diritto di cronaca?
Ma soprattutto, ed ancora, la riflessione deve oggi spingersi fino alla ricostruzione della disciplina dei mezzi di diffusione del pensiero, come esemplarmente fatto nel volume richiamato, tra limiti antitrust e tutela del pluralismo, stampa e radiotelevisione - troppo spesso arbitrariamente accomunate nel quotidiano politico malgrado la radicale differenza di regime giuridico - mercato delle risorse pubblicitarie e ruolo delle nuove tecnologie. L'utilizzo del mezzo radiotelevisivo quale strumento principale di propaganda politica pone, infatti, all'attenzione un diverso profilo problematico nello studio del prodotto informazione.
Diceva Hannah Arendt che la manipolazione della realtà e la sfigurazione dei fatti consentono al potere di renderli innocui al suo proprio cospetto: «la libertà di opinione è una farsa» se «l'informazione fattuale (non) è garantita e i fatti stessi... sono in discussione». In ciò risiede, allora, il pericolo delle manipolazioni della realtà, nella capacità di offuscare «la linea di demarcazione che separa la verità di fatto dall'opinione», modificando lo stato di percezione di cose che tutti conoscono, ma che pur non essendo segrete appariranno come non più vere, distrutte dal metodo di costruzione di immagini distorte, di menzogne che possono addirittura consentire di riscrivere la storia.
Non è un caso se ancora di recente, ancora nella scorsa legislatura l'esperienza italiana ha nuovamente mostrato un ritorno della censura verso chiunque osasse rompere il muro di separazione netta tra la realtà virtuale ed il mondo reale che i mass media tendono invece a costruire. Questo processo, scardina la convenzione dissimulatrice che maschera, per i destinatari dell'informazione, la realtà delle cose. Costringe la politica ad ammettere l'esistenza di un'alterità tra la realtà effettiva e quella costruita artificialmente dal sistema dell'informazione connivente. Costruisce, infatti, un ponte tra il reale ed il «reale conformato» dalla informazione e, quindi, va sanzionato, punito, ostracizzato.
Come di recente affermato da Gaetano Azzariti, la forma più grave di manifestazione del conflitto di interessi, matrice della gravissima anomalia italiana, non risiede nella miriade di interessi economici dell'ex Presidente del Consiglio Berlusconi, «riguardando prevalentemente il sistema televisivo» perché qui si danno «le regole che il sistema costituzionale pone al fine di garantire il corretto funzionamento del sistema politico democratico». La televisione conforma e costruisce i bisogni stessi degli individui e, con questi, le ambizioni, i desideri, la visione della realtà, i costumi, le aspirazioni economico-sociali, fino agli orientamenti politici dei cittadini, concorrendo a formare la percezione di sé, nella società, degli individui, destrutturando, se questa è la moda politica del momento, la loro stessa coscienza di classe, come avrebbe detto Marx. A cosa serve più, insomma, agire da «coglioni» esprimendo il voto contro «i propri stessi interessi»? Serve ancora, ed è bene che i cittadini lo comprendano, acquisendo consapevolezza di sé, dei propri bisogni effettivi, dei propri diritti e del valore della Costituzione, anche contro i processi di narcotizzazione accesi dal potere mediatico. Questo è il messaggio di civiltà che gli autori del volume inviano, e non soltanto ai giuristi.

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