La legge «ad giornalem»
Se volete un indizio di come vanno le cose, eccolo: è il comunicato con cui i direttori dei giornali di partito rivendicano certezza dei finanziamenti di Stato sulla base di una normativa riservata solamente a loro. A firmare, i direttori di Liberazione, dell' Unità, di Europa, della Padania e del Secolo d'Italia.Tradotto, il comunicato significa: se proprio dovete fare dei tagli alla legge per l'editoria, salvate solo noi. Gli altri, ad esempio le cooperative come i l manifesto e Carta, vadano pure a fondo come accade in certi naufragi, quando chi è riuscito a salire su una barca prende a calci le dita di quelli che vi si aggrappano. D'altra parte, questo comunicato è l'esito di una vicenda assai poco edificante. Il ministro Padoa Schioppa, alle prese con la «manovra bis», decide che la legge per l'editoria, denunciata da Report come pozzo di sprechi e corruzione, va cancellata, e annuncia tagli che comporterebbero la chiusura di molti giornali, di partito e cooperativi. Così, si discute con il governo, e quando la «manovra bis» approda al senato, ben 84 senatori propongono un emendamento che addolcisce i tagli. Emendamento respinto. Subito dopo, un senatore, il tesoriere della Margherita Lusi, presenta tutto da solo un emendamento che in sostanza dice: se due gruppi parlamentari si fondono, i loro due giornali di riferimento continueranno ad avere diritto ai finanziamenti anche se la legge dice che un gruppo parlamentare può «adottare» un solo giornale. La norma è tagliata su misura per Unità ed Europa, i cui gruppi parlamentari di riferimento, Ds e Margherita, stanno per fondersi. Emendamento approvato. Anche a non voler ficcare il naso in casa altrui, non si può non notare che Stefano Menichini, direttore di Europa, uno dei beneficiari di quell'emendamento «ad giornalem», è lo stesso che il Corriere della Sera ha esibito l'altro giorno come esempio di coraggio, perché aveva scritto sul suo giornale, il quale ha evidentemente almeno un lettore nella redazione di Paolo Mieli, che il manifestomeritava di morire, perché troppo anti-israeliano. Quel che fa un po' senso, in questa vicenda, è che la legge per l'editoria esiste grazie alla lunga battaglia di una cooperativa, il manifestoappunto, il quale rivendicava giustamente una correzione pubblica a un mercato editoriale che, di per sé, distruggerebbe ogni pluralismo e libertà di stampa: esattamente gli argomenti che oggi i giornali di partito adoperano per se stessi. Giornali di partito che per altro furono infilati in quella legge solo perché un referendum, a un certo punto, abolì il finanziamento pubblico ai partiti. Con la conseguenza che i giornali di partito prendono più soldi e li prendono senza dover aspettare i 5 anni che toccano alle cooperative. Mentre nel tempo sub-giornali di sub-partiti, come quelli della catena di Ciarrapico, si sono travestiti da cooperative, o da organi di partiti inesistenti, come Libero e il Foglio. Conclusione: questo indizio dice che viviamo in un periodo in cui i partiti sono preda di un delirio di onnipotenza, tanto che chi si è costruito, come Rifondazione, un profilo politico-culturale parlando per anni di «movimenti», in questo caso si arrende al richiamo della foresta, senza che ad alcuno o quasi (esiste l'incoraggiante lavoro di Pietro Folena come presidente della commissione cultura della camera) venga in mente che l'informazione indipendente è ciò che può permettere alla politica di non affogare nel suo stesso stagno. Quando Bertinotti ha parlato di «allargamento della maggioranza», nessuno poteva immaginare ci si allargasse a questo punto.
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